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Guardie e ladri.

Guardie e ladri.

C’è un rincorrersi quasi malinconico nelle notizie di queste giorni, memori della Grande Crisi 2008-2018 (molto più lunga e devastante, a mio avviso, di quella del ’29), come se si scoprisse all’improvviso che le banche (i ladri) rischiano e quando lo fanno, coefficienti patrimoniali o no, lo fanno perlopiù con i soldi degli altri, ovvero dei risparmiatori, con le autorità di vigilanza (le guardie) che spesso intervengono a misfatto ormai compiuto.
Dalla constatazione che le banche lavorano con i soldi degli altri nasce l’atteggiamento un po’ “feroce”, almeno all’apparenza, del regolatore americano, che gli istituti di credito li lascia fallire, e non per distrazione, anche se si tratta della 16ma banca degli USA (SVB), quasi che ciò servisse naturaliter a educare i risparmiatori a scegliere la propria banca in base alla comunicazione trasparente che la banca fa (?) e alla percezione che di essa ha il cliente del grado di rischio medio ponderato contenuto nelle attività delle banche.
In poche parole, se ti scegli una banca, prima dovresti averne letto i bilanci e compreso il grado di rischio, compreso il CET 1 ratio o il Texas Ratio.
Velleitario o ingenuo che sia, questo è l’atteggiamento a stelle e strisce, che funzionerebbe meglio, forse, se fossero praticate maggiormente la trasparenza e la cooperazione: nel caso americano, ma non solo, questo vuol dire applicare effettivamente le regole degli accordi di Basilea, che anche gli USA hanno sottoscritto (la trasparenza e la comunicazione sul grado di rischio) ovvero erigere il pilastro da sempre -perlomeno da Basilea 2- mancante nella costruzione degli assetti volti ad assicurare la stabilità dei sistemi finanziari.
Trasparenza sul grado di rischio che tuttora manca anche nel Belpaese (in Italia la comunicano nella pubblicità solo Mediolanum e Mediobanca, a mia notizia, e pochi altri: e la comunicano perché hanno requisiti di capitale assai elevati) così come manca la cooperazione. Se Miss Universo dichiara di essere una bella donna, oltre che volere la pace nel mondo, nessuno le dirà nulla, semplicemente perché è vero. Se la figlia del rag.Fantozzi facesse altrettanto, la smentita sarebbe altrettanto unanime e, probabilmente, più fragorosa.
Ricordo come, nel corso di un viaggio di studi presso la British Banks Association, il funzionario che mi ricevette mi donò, con giusto orgoglio, il report contenente una classifica che la stessa associazione promuoveva, basata sul livello della qualità dei servizi offerti dalla banca così come percepito da un cliente tradizionalmente debole sotto il profilo finanziario, le PMI.
Trasparenza e cooperazione -le banche, in competizione tra loro, rendevano tuttavia possibile la compilazione della classifica, aspirando a primeggiare in essa
-, in un sistema bancario dove già all’epoca (1998) si facevano i mutui on line: questa vicenda, che purtroppo non ho più seguito, insegna che non può trattarsi di una semplice questione di regole, ma di una attitudine e di una cultura che non si creano per legge o per normativa regolamentare.
Direi piuttosto che il tema è di cultura ed educazione finanziaria, quella che dobbiamo trasmettere quando spieghiamo in università ma anche quella che si respira nel sentire comune, quella che viene fuori dalla cosiddetta economia civile, dall’impresa, dal lavoro.
La fatica che ho notato presso le banche nell’accettare la normativa degli EBA-LOM, la sua scarsa o nulla conoscenza presso le imprese e spesso presso gli stessi lavoratori bancari, riflettendo che nel documento si invoca “la diffusione di una forte cultura del rischio di credito”, mostrano che le regole non funzionano se non sono fatte proprie all’interno di una visione e di una concezione del fare banca (e del fare impresa) che chiariscano in modo trasparente la missione e lo scopo dell’agire dell’impresa stessa, bancaria e non, e che lo sottopongono al mercato.
Non si tratta solo di sottolineare l’importanza della comunicazione non finanziaria nei bilanci di imprese, le PMI italiane, che faticano a spiegare il minimo sindacale, ma di qualcosa di maggior spessore, che va al di là degli adempimenti formali. La trasparenza e la cooperazione sono un lavoro quotidiano, che non si insegna: si impara praticandole.
Abbiamo di che lavorare, nelle università, nelle banche, nelle imprese.

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Banca d'Italia Banche BCE Unicredit Vigilanza bancaria

Cara, posso spiegarti tutto.

Cara, posso spiegarti tutto.

Roy Lichtenstein, Crying girl

Giovedì o venerdì si terrà l’incontro informativo convocato da Ccb con i vertici delle circa 80 Bcc che fanno parte del gruppo. L’appuntamento è molto atteso, perchè il sistema vuole capire il senso dell’operazione voluta dai vertici della capogruppo. Secondo quanto emerso sinora l’ingresso in Carige sarebbe considerato come un’opportunità per lo sviluppo sul fronte informatico e del risparmio gestito, oltre alla presenza territoriale. Un approccio di questo tipo – considerata anche l’opzione a salire nel capitale di Carige – lascia presupporre che l’obiettivo di Ccb sia, nel tempo e al verificarsi delle condizioni, quello di assumere una posizione di controllo della banca genovese investendo, tra equity e bond subordinato, un importo non lontano da 600 milioni. Se questo scenario si concretizzasse, un gruppo bancario che fa perno sul credito mutualistico senza fine di lucro e basato sulle garanzie incrociate per garantire i requisiti patrimoniali, che assieme conta 1.500 sportelli, diventerebbe socio di riferimento di una spa con 500 sportelli sul territorio. Un passo molto lungo da spiegare al management delle 80 Bcc affiliate. Altro aspetto sul quale è concentrata è il prezzo al quale verrà fissato l’aumento di capitale da 700 milioni.”

Così Luca Davi e Laura Serafini sul Sole 24 Ore di ieri, 30 luglio. Non ho idea del piano strategico che ci sia dietro tutto questo, né che cosa Cassa Centrale Banca abbia in mente di fare nel concreto, bancassicurazione, risparmio gestito o cosa: il buonsenso mi dice che un Gruppo che vuole crescere, anche in vista di possibili-probabili future aggregazioni, mette in conto nel frattempo di digerire operazioni che sono comunque importanti (a occhio e croce, un terzo della propria dimensione, se gli sportelli sono una buona proxy) e che in prospettiva sarebbe superficiale trascurare. Ora, quando l’Unicredit di Alessandro Profumo cresceva per linee esterne a suon di acquisizioni, nessuno ha mai messo in discussione quelle scelte, tantomeno in base a criteri morali. Giudizi morali o valoriali, mai ascoltati. E invece adesso qualcuno devespiegare al management di 80 banche affiliate” perché una banca che ha come riferimento il credito mutualistico fa un’operazione di questo tipo.

Paradossalmente, si intravvede del moralismo proprio in giudizi di questo tipo, che evidentemente non si nutrono di simpatia nei confronti della cooperazione di credito: simpatia che, peraltro, il sottoscritto non ha mai nascosto. Ma non serve la simpatia per rammentare che nella cooperazione il profitto è prima di tutto un vincolo, poi un mezzo e comunque non un fine, e che la riforma delle Bcc era finalizzata a rafforzarle anche attraverso una capogruppo in grado di raccogliere capitali freschi, che dovrebbero pur essere remunerati. O no?

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Alessandro Berti Bolla immobiliare Crisi finanziaria fiducia PMI

Con parte monografica sulle cooperative.

Con parte monografica sulle cooperative.

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Quando mi iscrissi al primo anno di Economia e Commercio in Cattolica, nel lontano 1976, scelsi per il piano di studi il corso di Economia Aziendale tenuto dal prof.Manzonetto, che conteneva una parte monografica sulle cooperative. Non avevo ragioni particolari per scegliere proprio quel docente, ma mi piaceva l’argomento: ed anche se era condiviso con gli studenti del serale (e quindi andavamo a casa tardi), mi sembrava che dare rilievo alla cooperazione fosse importante, mi corrispondesse e, in qualche modo, facesse parte dei miei valori.

Non ho capito bene fino in fondo il perchè di quella scelta se non 38 anni dopo, ovvero due giorni fa, parlando al CdA di una piccola (piccola? con 6 milioni di fatturato e punti vendita solo in montagna sei davvero piccola?) Famiglia Cooperativa Trentina, ai confini del Parco Nazionale dello Stelvio. Ora, a parte il paesaggio, che da solo sarebbe valsa la fatica, l’esperienza di parlare e, soprattutto, di conoscere queste persone

IMG_0292è stata straordinaria. Prima di tutto perché dovevo cercare di spiegare l’equilibrio economico-finanziario a gestori di rifugi alpini, insegnanti di scuola media, madri e padri di famiglia senza alcuna esperienza imprenditoriale, che facevano e fanno gli amministratori per pura gratuità ed amore del territorio. E questa sfida già sarebbe valsa la pena, perché vuol dire uscire dagli schemi.

Ma in secondo luogo l’esperienza è stata straordinaria per quello che ho imparato. A parte la cordialità, l’accoglienza e il clima, queste persone mi hanno mostrato cosa si può fare quando si ha a cuore l’obiettivo ed è chiaro il senso: aspettando di cominciare leggevo gli avvisi appesi in bacheca e in uno di questi si parla di social housing. Mi chiedo perché e, subito dopo, lo domando ai presenti. Contro ogni evidenza di ricerca di facile profitto e di scelte analoghe compiute, anche da consorelle, e nonostante le critiche ricevute, la Cooperativa ha sistemato l’immobile dismesso della propria vecchia sede, che poteva pur vendere tentando di lucrare plusvalenze (magari costruendo una costosissima ed inutile nuova sede), per affittarlo a canone calmierato, alle famiglie bisognose del territorio. Abbastanza inaudito: come inaudito è scoprire che la Famiglia Cooperativa in questione tiene aperti negozi di prossimità in luoghi dove la logica della redditività imporrebbe di chiudere, per servire il territorio. Evidentemente riuscendo, con la propria struttura di costi e ricavi, a rendere sostenibile un’iniziativa che, secondo criteri normali, sarebbe priva di senso e di logica. Lo dicono i bilanci, sostanzialmente privi di debiti bancari: e lo dicono, soprattutto, le facce e le opere di quelle persone. Spero di rivederli presto.

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Banche Rischi Risparmio e investimenti

Ban-coop

Una ricerca di R&S-Mediobanca sulle Coop rende noto che le cooperative, raccogliendo presso i clienti soci, hanno raggiunto una dimensione assai ragguardevole, pari a quella del Banco di Sicilia, per esempio, o doppia di quella di Banca Mediolanum. La remunerazione riconosciuta ai clienti soci, pari al 2% lordo, è certamente assai conveniente per il grande gruppo della distribuzione italiana, che riesce in tal modo a finanziarsi a tassi molto più bassi di quelli di mercato e spunta, come è logico, sconti finanziari assai elevati presso i fornitori.

Le lezioni che se ne traggono sono molte, ma almeno due dovrebbero fare riflettere sia le banche, sia i loro lamentosi clienti.

La prima lezione è che i clienti delle Coop si fidano: il vantaggio reputazionale, non intaccato da qualche infortunio ed incidente di percorso, rende certi e sicuri i clienti, che accettano un rendimento comunque non altissimo, ma certamente sicuro e mediamente più elevato di quello del mercato.

La seconda lezione è che quello che Antonella Olivieri sul Sole 24 Ore del 20 gennaio chiama “tesoretto” è investito prevalentemente in impieghi finanziari. Non è la scoperta dell’acqua calda ma, appunto, è una lezione importante, soprattutto per i clienti delle altre banche. Rendimenti così elevati -al livello di quelli di Banca Mediolanum o di Ing Direct o di CheBanca!- si ottengono solo senza il fardello delle spese operative, ovvero tutte quelle spese legate alla gestione delle filiali e, soprattutto, al rischio di credito.

In altre parole, non esistono banche gratis, o se esistono fanno solo una parte del mestiere della banca, la raccolta. O si cerca il contatto personale e la rassicurante, almeno all’apparenza, fisicità di un luogo, di una filiale, oppure ci si attrezza e si va su internet. Tertium, al momento, non datur.

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Banche Banche di credito cooperativo

Festa dei soci.

La sede della Bcc di Monastier e del Sile

Oggi ho avuto la fortuna e l’onore di essere invitato a parlare alla Festa del Socio della Banca di Credito Cooperativo di Monastier e del Sile.

Ho visto facce vere, di gente vera, che a partire da una mossa della propria libertà decide di donare, gratuitamente, tempo, denaro, cultura -ovvero modo di vedere la vita- per non restare intrappolata nell’individualismo.

Ho visto facce di gente che lavora per musei del territorio, donati da persone senza altro scopo che creare valore per il territorio, non per le proprie tasche o quelle dei manager. Ho avuto modo di riflettere sulle ragioni di tutto questo, prima di tutto per me stesso, a partire da quanto affermato da Benedetto XVI nella sua Enciclica più recente:“Senza la verità la carità scivola nel sentimentalismo. La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali.”

Dico grazie per tutto questo.

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Sud

Convenienza e gratificazione insieme.

Roberta Scagliarini, in un articolo sul Corriere della Sera on line, illustra la politica espansiva delle Cooperative in direzione del Mezzogiorno, proprio là dove le grandi catene estere (Carrefour, per esempio) hanno fallito.

L’articolo è denso di lodi per il colosso della Cooperazione, per il quale si parla, testualmente, di capacità di ottenere convenienza e gratificazione. La Scagliarini, purtroppo, omette di rammentare che i colossi della cooperazione rossa saranno, appunto, anche rossi, ma gli affari li sanno fare bene. Senza andare molto distanti, anzi, restando a Reggio Emilia, si potrebbe ricordare l’enorme plusvalenza ottenuta da Coopsette (colosso rosso dell’edilizia, con sede a Reggio Emilia) edificando il Centro Commerciale “Le Befane” di Rimini, ceduto in un batter d’occhio ad un fondo di private equity di matrice svizzera. Convenienza e gratificazione, insieme.

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Economisti

Premio Nobel per l’economia: riflessioni.

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Elinor Ostrom, professore della Indiana University di Bloomington e Oliver Williamson, che insegna a Berkeley, nella University of California entrambi statunitensi, hanno vinto il premio Nobel per l’economia 2009.

Il premio è stato loro attribuito a motivo delle ricerche sull’organizzazione della cooperazione nella governance economica. In particolare la Ostrom, 76 anni, è la prima donna ad essersi aggiudicata il prestigioso riconoscimento per quanto riguarda l’econonomia.

Alla Ostrom va ricondotto l’approfondimento degli studi circa il rapporto tra gli uomini e l’ambiente in particolare delle gestione delle risorse comuni e di come siano state creati nei secoli delle apposite istituzioni per la gestione delle stesse.

Quanto a Oliver Williamson, 77 anni, è creatore della cosidetta Economia Neo-Istituzionalista. Williamson sostiene che ogni organizzazione economica nasce dal tentativo di minimizzare costi di transazione in contesti caratterizzati da contratti incompleti, investimenti specifici, razionalità limitata e opportunismo. Tale circostanza comporta che ogni organizzazione economica soffre di un problema di contrattazione incompleta.

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La Ostrom, afferma il comitato, «ha dimostrato come le comproprietà possono essere gestite in maniera efficace delle associazioni di utenti». Oliver E. Williamson, da parte sua ha vinto «per la sua analisi della governance economica, in particolare i confini di un’impresa». Con le sue ricerche, prosegue la motivazione, Williamson «ha mostrato che i mercati e le organizzazioni gerarchiche, a riflesso di quanto avviene nelle aziende, hanno delle strutture di governance alternative che si differenziano per il modo diverso di risolvere i conflitti di interesse».

Le riflessioni, a caldo. Una, molto personale, riguarda la mancata assegnazione a Eugene Fama, che probabilmente sconta il suo interesse scientifico ed i suoi contributi in materia di efficienza informativa, argomento non propriamente popolare di questi tempi.

La seconda riguarda non tanto la caratura scientifica dei due premiati, quanto piuttosto il loro “reale” terreno di studi. L’economia è una scienza sociale, non una scienza esatta, per carità: la crisi si è incaricata di dimostrarlo fin troppo chiaramente. Ma gli studi della Ostrom, pur benemeriti, sembrano maggiormente di carattere politico o sociologico, piuttosto che economico. E l’enfasi sui temi ambientali pare avere fatto premio su altre considerazioni più specifiche. Quanto a Williamson, i suoi studi non mostrano il caratteristico taglio “quantitativo”, tipico di molti economisti made in USA, bensì un’impostazione, anche in questo caso più sociale, attenta ai costi delle organizzazioni ed all’efficienza delle scelte di queste ultime. Non per caso, nel dare notizia del Nobel, Il Sole 24Ore on line di oggi ha commentato che “Williamson ha sviluppato il lavoro del britannico Ronald Coase, Nobel nel 1991, prendendo le distanze dalla teoria del mercato efficiente. In parole povere e come già rilevava Coase, se il mercato fosse sempre il massimo dell’efficienza l’impresa avrebbe sempre interesse all’outsourcing. In realtà i costi di questi conferimenti all’esterno variano molto, non sempre convengono, e non sempre giustificano la rinuncia a provvedere in proprio a una produzione e a un servizio.”