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Spazzatura?

Spazzatura?

High yield o junk bond? La platea degli investitori tenderà sempre a dividersi fra chi vede nelle obbligazioni societarie con rating più basso un’opportunità da non lasciarsi sfuggire, e chi invece teme di incappare nella classica mela marcia e di perdere così il proprio capitale. Le dispute sul nome da affibbiare ai titoli, bond ad alto rendimento o spazzatura, resteranno. La realtà invece, almeno per adesso, parla di un momento d’oro per questo genere di bond. Le emissioni, per esempio, sono a livello di record: in base ai dati raccolti da Bloomberg, nei primi quattro mesi del 2011 i nuovi titoli high yield collocati sul mercato Usa sono stati pari a 112,6 miliardi di dollari, il 18% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, che già si era chiuso con il record storico per vendite sul mercato primario (287,6 miliardi).

Così Maximilian Cellino sul Sole 24 Ore di martedì 26 aprile, facendone quasi una questione di tassonomia (dove finisce la spazzatura e dove comincia l’alto rendimento?) e trascurando, invece, due dati di realtà molto evidenti.

Il primo è che se la domanda è elevata significa che a qualcuno interessano rendimenti elevati, a prescindere: 112,6 miliardi di $ non sono emissioni criminali destinate a rapinare povere vecchine, sono soldoni, che qualcuno ha speso a fronte di passività che qualcuno ha emesso. Prenderne atto non sarebbe male, anziché parlare di roulette degli “high yield”: rimane l’idea, sullo sfondo, che ci sia il banco che, al solito, vincerà tutto, barando, mentre potrebbe trattarsi di un prezzo (i tassi elevati) di equilibrio del mercato.

Il secondo dato di realtà è che gli emittenti sono la Corporate America, ovvero imprese più o meno razionate dal sistema bancario. Cellino sottolinea la preoccupazione relativa al fatto che il mercato, ad un certo punto, possa smettere di “digerire” tanta carta e che il rialzo dei tassi renda meno conveniente per gli investitori, favoriti dalla politica dei tassi zero della Fed, l’investimento nei corporate-bond. Ma, vivaddio, per una volta si potrebbe anche dire che qualcosa di buono Helicopter Ben l’ha fatta: sia pure attraverso le tortuose strade dei bond, i denari alle imprese sono arrivati. Se gli investitori che acquistano questo genere di titoli non paiono proprio mammolette e se il rialzo dei tassi si accompagna, come dovrebbe, ad un po’ di ripresa, forse gli elevati rendimenti troveranno non solo un paragone reale ma, soprattutto concrete possibilità di remunerazione.

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Banche Germania Rischi Risparmio e investimenti Unicredit

Bond rain.

La notizia che lo spread sui Bund Tedeschi è arrivato, per gli emittenti italiani, ad 80 punti base (76 per Unicredit) viene giustificata con il “diluvio” di vendite da parte degli emittenti stessi, bisognosi di fare raccolta a tutti i costi. Diluvio che unito alla scarsa fiducia degli investitori nei conti dei paesi europei, innalza il costo del funding, soprattutto per le banche.

Non vi sarebbe nulla di strano in tutto questo, ma resta un dubbio, che le vicende di questi anni non hanno certamente sopito.

Quanti di tutti coloro che stanno sottoscrivendo questi bond, a tassi più elevati perché più rischiosi, sono consapevoli della combinazione rischio-rendimento? Siamo proprio sicuri che siano solo investitori istituzionali, consci di essere alla ricerca di elevati rendimenti? E quanti “piccoli risparmiatori”, fra qualche anno, piangeranno come coccodrilli, per il “risparmio tradito”?

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Banche Imprese Indebitamento delle imprese Rischi Risparmio e investimenti

La corsa al corporate bond.

Qualcuno ha annotato che certi corporate bond hanno un rendimento paragonabile al costo di un caffè. E che è del tutto inspiegabile la corsa a titoli che rendono, appunto, un misero 1%, pur non rappresentando l’emittente uno Stato sovrano. Le spiegazioni sul credit crunch e sulla ritrosia delle banche a concedere nuovi fidi, che renderebbe conveniente per le imprese finanziarsi sui mercati convincono fino a un certo punto, perché spiegano solo una parte della questione. L’altra parte sembra riconducibile alla ricerca, sempre ed incessantemente perseguita, di alti rendimenti, da parte di risparmiatori dotati di liquidità. Vivaddio, gli stessi che fra qualche anno si lamenteranno, con le associazioni di consumatori al loro fianco, di essere stati truffati, trascurando di essere sinceri con sè stessi, ricordando quello che stavano cercando in quel momento, ovvero rendimenti elevati, a prescindere.

E pensare che il caffè dovrebbe rendere più svegli.

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Cultura finanziaria Rischi Risparmio e investimenti

Scottature 2.

Federico Fubini e Giuditta Marvelli, sul CorriereEconomia di ieri, 11 gennaio, propongono in prima pagina il seguente titolo: “Risparmio. La febbre dei bond. Guadagnare senza scottature.” Sottotitolo “Mai un’offerta così ricca combinata però con rendimenti minimi. L’incognita? Il rialzo dei tassi.” Se si legge l’articolo dopo aver appreso che il rendimento, in termini reali, dei BOT, è divenuto negativo, si capisce perché il gap di cultura finanziaria di cui soffre il nostro Paese, e non solo, continuerà a fare danni.

Forse sarebbe il caso di dire che, in questo momento, con le obbligazioni NON si guadagna: a meno di spericolate evoluzioni ed incursioni in territori molto rischiosi, in ossequio alla combinazione rischio-rendimento, il guadagno è minimo, appunto, quasi nullo. Tuttavia l’articolo, anzi gli articoli, non corrispondono, nei contenuti, al titolo, dal momento che -fortunatamente- si sprecano avvertimenti e warning. Ricordando -e forse sarebbe il caso di farlo a più chiare lettere- che dato il livello infimo raggiunto dai tassi, entrare sul mercato obbligazionario ora non potrà che rivelarsi un pessimo affare quando, prima o poi, i tassi saliranno, facendo scendere i corsi delle obbligazioni acquistate e concretizzando delle belle perdite in conto capitale. Ma, forse, dirlo troppo forte, non fa vendere giornali.

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Rischi Risparmio e investimenti

Scottature (da bond).

E sempre a proposito di rendimenti, da segnalare ed approfondire, un articolo del 27 dicembre comparso sul Sole 24 Ore, che illustra 5 regole da seguire per evitare di cadere nelle trappole dell’illusione monetaria legata agli alti rendimenti o nella “sicurezza garantita” delle obbligazioni, BOT in primis, rispetto ad altre forme di investimento.

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Banche Mercato

Corporate bond, festa infinita: per chi?

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Il Sole 24 Ore di oggi evidenzia, a firma Morya Longo, la situazione del mercato delle obbligazioni corporate, con scadenze per mille miliardi in cinque anni, oltre il 40% in più che negli anni passati.

Il mercato ha visto tassi di crescita elevatissimi in ragione sia della stretta creditizia attuata dalle banche, sia dalla necessità di investire la grande massa di liquidità immessa nei mercati durante la crisi. Non secondario, del resto, è stato il ruolo dei tassi di interesse, il cui livello è stato ed è tuttora certamente interessante ed appetibile per l’emittente. In sostanza, imprese (di grandi dimensioni, e solo quelle) bisognose di liquidità hanno facilmente incrociato le loro preferenze con quelle di investitori dotati di ingenti capitali da impiegare.

Il problema si pone, a quanto pare, per il coincidere delle scadenze dei bond corporate e delle obbligazioni emesse dalle banche, in una concentrazione temporale che potrebbe, così si paventa, risolversi in un certo numero di default. Il problema, evidenziato molto chiaramente dalla Longo, è sintetizzabile come segue: ”Il credito bancario è facilmente rinegoziabile, ma il prestito obbligazionario no: quando scade, scade.”

Ora, a prescindere dal fatto che il caso Parmalat insegna che numerose e successive emissioni possono sostituirsi le une alle altre rendendo possibile il rimborso stesso, i problemi che si pongono sono almeno di due tipi.

Il primo riguarda la qualità del credito, ovvero la capacità di rimborso degli emittenti. Cosa fa temere un default nell’arco del prossimi 5 anni? Perché dovrebbero aver avuto successo emissioni realizzate e collocate in un arco di tempo così prossimo alla crisi? Forse le società di rating non hanno lavorato bene (ancora una volta?) Se invece il problema fosse, come è facile che sia, che fra 4 o 5 anni i tassi si saranno innalzati, il problema delle prossime emissioni sarà rappresentato dal maggior costo per l’emittente, ma ciò non integra, di per se, le condizioni di default: semplicemente saranno variate le condizioni di mercato. E visto che tassi più elevati significano maggiore inflazione, ovvero anche maggiore sviluppo, c’è da augurarsi, in un certo senso, che questo accada davvero.

Il secondo problema lo ha descritto molto bene un anonimo operatore intervistato dalla Longo, il quale ha affermato che: ”Il mercato obbligazionario avrà sempre investitori e, in ogni caso, se mancassero, le banche garantirebbero un cuscinetto di liquidità”. Purtroppo è proprio lo svolgimento della grande crisi finanziaria degli ultimi due anni a smentire la sicurezza di questa affermazioni, poiché il processo di cartolarizzazione degli attivi (leggi subprime) si è bloccato, i default hanno prevalso sulla presunta garanzia di liquidità e si è inceppato persino il mercato interbancario. Forse sarebbe il caso di cominciare a preoccuparsi non tanto dell’esistenza di un mercato secondario, ma delle condizioni alle quali si emette nel primario. Oppure non se ne può parlare per non disturbare grandi imprese, che si finanziano, e grandi banche, che guadagnano collocando?

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Banche Borsa Imprese Indebitamento delle imprese Liquidità

La bolla dei corporate bond? Il problema non è lì.

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La notizia di oggi, comparsa sul sito del Il Sole 24Ore, è quella del pericolo che il cosiddetto “rally” dei corporate bond stia per finire, con scoppio della relativa bolla e rischi per gli investitori. Diligentemente, il quotidiano on-line di Confindustria si stupisce dei comportamenti degli investitori, alla luce del fatto che il tasso di insolvenza previsto è pari al 12%, e il totale delle emissioni è, fino ad ora, ben superiore al totale su base annua degli anni passati. Le imprese quindi,  messe alle strette dal credit crunch attuato dalle banche si starebbero finanziando largamente emettendo propri titoli di debito, che gli investitori, liquidissimi ed alla ricerca di occasioni per fare buoni affari, hanno comprato e comprano a mani basse. Il rischio, tuttavia, secondo l’articolista, risiederebbe non già nel merito di credito dell’emittente, quanto piuttosto nella volatilità, come da dichiarazioni di esperti di banche d’affari e di investimento.

La logica che viene fuori dal ragionamento mostra che non si è fatto un solo passo in avanti, dopo la crisi, per andare oltre una modalità di investimento che concepisca qualcosa di diverso da profitti di breve periodo. La volatilità del mercato obbligazionario, come noto, spaventa solo coloro che hanno modesti orizzonti di investimento, non le c.d. “mani forti” nè il capitale paziente. Le imprese hanno fatto bene a cercare occasioni di copertura del proprio fabbisogno finanziario, si sono assoggettate allo scrutinio del merito di credito fatto dal mercato attraverso lo spread ed hanno emesso corporate bond: sarebbe quanto meno singolare se dovesse ricadere sulle imprese stesse la responsabilità delle condizioni di efficienza dei mercati dove i loro titoli di debito sono scambiati. Ma, soprattutto, sarebbe quanto mai inopportuno se, per colpa di una cultura degli investitori ancora legata ai vecchi vizi, dovessero essere penalizzate, insieme alle cattive, anche le imprese sane.