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Alessandro Berti Banche Capitale circolante netto operativo Crisi finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI

La riforma (?) del codice delle crisi di impresa.

La riforma (?) del codice delle crisi di impresa.

Il decreto legge 118 pubblicato sulla G.U. del 24 agosto scorso individua un nuovo “percorso di aiuto delle imprese in difficoltà”, come recita l’articolo del Sole 24 Ore di Lucia Mazzei, introducendo la figura di un soggetto terzo e indipendente al quale sono affidati compiti assai importanti, dalla valutazione della effettiva situazione aziendale -e di conseguenza delle sue effettive possibilità di rilancio- fino all’individuazione delle ipotesi di fuoriuscita dalla crisi e all’assistenza all’imprenditore. Come sottolinea l’articolo il percorso è “del tutto volontario ed extragiudiziale” e sarà operativo a partire dal 15 novembre p.v.: slitta addirittura al 31.12.2023 il sistema di allerta automatico ed obbligatorio previsto dalla stesura originaria del Codice delle Crisi d’impresa, ovvero quella che venne poi a deragliare con i provvedimenti emergenziali emanati a seguito della pandemìa (dal Decreto “Liquidità” in poi). Non a caso l’Ordine nazionale dei dottori commercialisti invoca, al riguardo, l’avvio di un processo di riforma definitiva del Codice stesso.

Se è evidente l’intento del provvedimento, ovvero evitare l’aggravarsi delle crisi aziendali a seguito del lockdown, meno evidente appare la sua organicità rispetto alla situazione normativa nella quale operano le banche, caratterizzata dall’entrata in vigore degli Orientamenti EBA dal 30.6.2021. Gli istituti di credito, come è agevole ricordare, sono sovente i principali creditori dell’impresa in difficoltà, insieme all’Erario e agli Enti previdenziali e il realismo imporrebbe che si tenesse conto delle loro esigenze, non appena gestionali ma, soprattutto in questo momento, di natura normativa.

Che le banche siano imprese lo dice a chiare lettere la riforma operata con il T.U.B. del 1993, ma che le banche siano imprese speciali, destinatarie perciò stesso di una legislazione ad hoc e di un sistema di vigilanza dedicato non deve essere mai dimenticato: non a caso il Position Paper n.30 (agosto 2021), “Rischio di credito 2.0” dell’AIFIRM (Associazione Italiana Financial Industry Risk Managers) parla esplicitamente di un quadro normativo che nel tempo è andato allargandosi, a partire da Basilea 2, fino ad arrivare alla trattazione di aspetti fino a quel momento dati per scontati o, più semplicemente, demandati alla prassi.

È proprio il documento in parola, i cui Autori sono stati coordinati dall’autorevole Collega prof.Giacomo De Laurentis, che sottolinea il rischio che, fra le conseguenze degli Orientamenti, vi sia un credit crunch, un razionamento del credito certamente, almeno all’apparenza, improvvido, in questo momento storico: il che, d’altra parte, sarebbe coerente con gli intenti dichiarati degli Orientamenti EBA, ovvero quelli di prevenire pro-attivamente il deteriorarsi del credito fin dall’origine. Teoricamente i due provvedimenti convergono sul tema dell’evitare la deflagrazione della crisi d’impresa e delle sue conseguenze, ma sarebbe troppo ingenuo immaginare un immediato automatismo, senza riflettere su alcuni aspetti.

Il Decreto Legge 118, infatti,  pone almeno due ordini di problemi:

  1. la reale professionalità e le reali competenze di commercialisti, avvocati e consulenti del lavoro in materia bancaria, rispetto alle quali è lecito nutrire qualche dubbio, alla luce delle ben note lacune in materia di normativa bancaria e di una visione spesso ancorata ad un passato (il valore delle garanzie in primis): sotto questo profilo non resta che augurarsi che i corsi di formazione di cui parla il DL e i cui contenuti dovranno essere definiti dal Ministero della Giustizia entro il 24 settembre, siano imperniati sui temi della valutazione dell’equilibrio economico e finanziario storici e prospettici, sulla programmazione finanziaria, sulla corretta determinazione dei fabbisogni finanziari d’impresa;
  2. la reale volontà e consapevolezza degli imprenditori (e dei consulenti che li assistono), di assoggettarsi a un processo che, su basa volontaria, inevitabilmente metterà in luce le criticità della gestione, magari fino a quel punto sottaciute o ignorate: in altre parole, il tema che si pone è senza dubbio quella della tempestività, problematica che da sempre affligge le imprese in crisi, la cui auto-coscienza si rifiuta, sovente, di guardare in faccia alla realtà.

L’indipendenza del professionista coinvolto nella composizione negoziata della crisi  e la sua terzietà da sole non bastano, del resto se, sia pure volontariamente, si pone mano al tema della crisi d’impresa quando ormai è troppo tardi o quando il processo di degrado delle condizioni di gestione è pressoché irreversibile. Il tema, in altre parole, è squisitamente di natura culturale e riguarda non solo i professionisti, la cui cultura d’impresa si è comunque fortemente accresciuta negli anni, ma soprattutto gli imprenditori, ancora prigionieri di una mentalità che considera il fallimento come una condanna, anziché come una possibilità, e la crisi come un problema che è meglio rimandare il più avanti possibile, come quasi sempre si è fatto nel passato, inseguendo spesso soluzioni finanziarie anziché economiche, di rinvio delle scadenze anziché di ripensamento del business model.

Solo così, a ben riflettere, sarà possibile che l’ennesima riforma delle crisi d’impresa non si traduca in un provvedimento utile tutt’al più a soggetti interessati esclusivamente ad incarichi professionali, ma agevoli il cambiamento della mentalità delle imprese e di coloro che le assistono.

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Alessandro Berti Banche Imprese Indebitamento delle imprese Mario Draghi PMI

Ci vediamo da Mario

Non è semplicemente un facile accostamento con una delle più belle canzoni del mio amato Liga, è un richiamo alla realtà che giunge attraverso un documento del Gruppo dei Trenta (Group of Thirty), firmato tra gli altri, appunto, dall’ex Presidente della BCE e da molti altri illustri economisti, tra cui Janet Yellen (ex Presidente della FED), Paul Krugman e Raghuran Rajan (autore, insieme a Zingales, di Salvare il capitalismo dai capitalisti).

Il documento si intitola Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid, e interviene a 360° sui temi della ripresa post pandemia, individuando alcune priorità, anzitutto metodologiche, tra le quali mi piace ricordare quelle che lo stesso documento chiama unpopular choices tra le quali:

Reducing broad support of businesses and moving to more targeted measures focused on those firms that need support but are expected to be viable in the post-Covid 19 economy“;

E, ancora:

Investing in equity and quasi-equity fo businesses“, “Be mindful of moral hazard issues without undermining the core objectives“.

Si potrebbe andare avanti ma il documento è, a mio parere, troppo ben fatto ed importante da meritare una lettura tipo Selezione del Reader’s Digest. Lo trovate qui.

https://group30.org/publications/detail/4820

Ne riparleremo, dopo il 1 gennaio, terminati i non-festeggiamenti, ci sarà molto da lavorare, non cè solo il 30 giugno alle porte e gli Orientamenti EBA. C’è da rifondare, insieme a un sistema produttivo, un sistema di relazioni, anche e soprattutto con la banca.

Ancora Buon Natale, Buon Anno e tanti auguri a tutti.

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ABI Alessandro Berti Analisi finanziaria e di bilancio Banca d'Italia Banche Capitale circolante netto operativo Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI

Prima, dopo e durante un prestito Covid-19 (senza speranza).

Prima, dopo e durante un prestito Covid-19 (senza speranza).

Si è già discusso abbondantemente in questa sede sul fatto che un prestito Covid-19 con garanzia pubblica, laddove per tale si intende quella prestata dalla SACE o dal Fondo Centrale di Garanzia, non è un prestito che la banca è tenuta a erogare, tanto meno senza valutare approfonditamente il merito di credito del richiedente. A parte i motivi già illustrati, riguardanti le best practices in materia di affidamento e le prescrizioni della Circ.285 di Bankitalia, è ormai noto l’orientamento EBA circa il fatto che un prestito in moratoria possa divenire tranquillamente un’inadempienza probabile o comunque analizzato come tale. E se da un lato non si possono segnalare sofferenze da parte delle banche (quid juris quando dopodomani riapriranno i tribunali fallimentari?), come sancito dal Decreto Liquidità, che fine faranno le valutazioni che de plano devono essere fatte sulla incapacità di adempiere se non tramite escussione delle garanzie, ovvero le UTP?

Detto questo, l’audizione del Direttore Generale del Fondo Centrale di Garanzia ha bene illustrato quello che accade qualora la fideiussione, senza eccezioni e a prima richiesta, venga escussa: il FCG verificata la sussistenza dei requisiti, paga. Nello stesso istante, tuttavia (e per comprenderlo non serviva un’audizione parlamentare) si surroga negli stessi diritti che aveva il creditore originario, cioè la banca e per recuperare il proprio credito è autorizzato ad emettere cartelle esattoriali per l’importo dovuto, più interessi e spese. Con tutta evidenza, nulla di più distante da un contributo a fondo perduto: direi, poco rassicurante.

Ma un aiuto di Stato? Si. Autorizzato? Forse (ma probabilmente no, almeno in moltissimi casi di piccole e micro-imprese).  Come ricorda un ottimo articolo apparso sul Sole 24 Ore di oggi a cura di Paolo Meneghetti e Gian Paolo Ranocchi, per quel che riguarda il contributo a fondo perduto la circolare 15/E della Agenzia delle Entrate precisa che l’aiuto non può essere concesso alle imprese che si trovavano in una situazione di difficoltà al 31 dicembre 2019, in base alla definizione di cui all’articolo 2, punto 18 del regolamento (UE) n. 651/2014. Le 4 condizioni per le quali -ne è sufficiente anche una sola- una impresa è considerata in difficoltà e quindi non può essere aiutata sono le seguenti:

1)-nel caso di srl diverse dalle neo-costituite, il patrimonio netto ridottosi del 50% a causa di perdite cumulate;

2)-nel caso di sas o di snc, i fondi propri (ovvero il patrimonio netto) ridottisi del 50% a causa di perdite cumulate;

3)-assoggettamento a procedure concorsuali;

4)-interessi passivi superiori all’Ebitda.

Non è evidentemente questa la sede per discutere, per esempio, dell’inclusione o meno nella categoria delle imprese in difficoltà delle ditte individuali -come parrebbe pacifico- né dell’esclusione dei liberi professionisti, che pure non pare in discussione. La questione vera, che il legislatore pasticcione del Decreto Liquidità e del Decreto Rilancio pare avere scordato, riguarda il fatto che tutti i prestiti e le moratorie rischiano di configurarsi come aiuto di Stato proprio per quelle imprese che più ne hanno bisogno, le tantissime snc,, sas ed srl, che hanno da tempo il patrimonio netto negativo e che versano da tempo in condizioni di squilibrio economico, finanziario e patrimoniale.

Ma se queste imprese, a seguito del cumularsi di perdite, hanno ridotto la dotazione di capitale di oltre il 50% -e ci riferiamo a imprese, quelle italiane, normalmente sotto-capitalizzate- e non solo per perdite ma, per esempio, per prelievi soci c/utili anticipati, si stanno erogando finanziamenti a soggetti che quasi certamente non rimborseranno nulla di quanto dovuto. Con le conseguenze di cui sopra. Con l’aggravante che molte di esse, destinate a fallire, avranno tuttavia nel frattempo anche ricevuto contributi a fondo perduto. Che più perduto non si può.

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Banca d'Italia Banche Crisi finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI

Codice della crisi e finanza d’impresa: facciamoci del male.

Codice della crisi e finanza d’impresa: facciamoci del male.

Per ragioni che è difficile identificare in maniera scientifica ma che appaiono aristotelicamente evidenti, il governo che (non) ci governa è formato da inetti a 360°, che riescono a dare il meglio, o il peggio, di sé in ogni campo dello scibile universale. E’ di oggi, sul Sole 24 ore , il “manifesto” di 22 studi legali nazionali e internazionali, che evidenziano rilievi critici assai pesanti sul Codice delle Crisi d’impresa approvato dal Governo nei primi mesi dell’anno e destinato a entrare in vigore l’anno prossimo. Questo blog non è sicuramente il luogo all’interno del quale occuparsi approfonditamente dell’argomento, riservandoci comunque di ritornare sul tema e di approfondire i temi della prevenzione, come abbiamo già fatto. Per adesso è sufficiente annotare che rivedere la disciplina del concordato preventivo in modo tale da privilegiare nuovamente la liquidazione giudiziale, significa ritornare indietro agli anni in cui la legge è stata approvata (1942) e a un atteggiamento del legislatore del tutto sfavorevole a salvataggi e ristrutturazioni, a scapito della continuità aziendale. A tacere del trattamento riservato a coloro che investono capitali per rifinanziare imprese in difficoltà, che potrebbero trovarsi nella spiacevole situazione di “conflitto di interesse” e di non poter votare al momento dell’approvazione del piano di ristrutturazione. Il che rende la riforma un mostro giuridico che fa indietreggiare di anni la cultura della crisi d’impresa, in ambito imprenditoriale, aziendale, legale. Ne avevamo proprio bisogno?

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Analisi finanziaria e di bilancio Banche Capitale circolante netto operativo Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI

Da dove cominciare? Dal conto economico (sempre sulla prevenzione).

Da dove cominciare? Dal conto economico (sempre sulla prevenzione).

Se prevenire la crisi d’impresa significa istituire e/o implementare sistemi di controllo di gestione interni adeguati a comprendere l’evoluzione dell’andamento aziendale, non c’è dubbio che tali sistemi debbano essere metodologicamente corretti e verificati alla luce di un semplice assunto: i problemi delle imprese nascono anzitutto (e si manifestano, soprattutto) a livello di conto economico e in particolare a livello di risultato operativo, ovvero di EBIT, quel margine intermedio così importante da essere utilizzato anche da analisti esterni, quali le banche, per comprendere se l’impresa possieda oppure no capacità di reddito.

Se l’EBIT o RO deve essere analizzato attentamente, in specie in rapporto agli oneri finanziari, ancora più importante è conoscerne la genesi, poiché, dal momento che esso è frutto unicamente dei costi strettamente attinenti la gestione tipica ed esclude la gestione straordinaria, finanziaria e accessoria, si deve valutare in maniera approfondita la congruità di costi e ricavi, soprattutto in rapporto ad eventuali politiche di bilancio. Purtroppo sono proprio queste ultime, spesso non individuate per tempo o addirittura stratificate da tanto tempo da essere divenute parte dell’arredamento contabile, che dicono che la consistenza dell’EBIT nel tempo è quantomeno discutibile, magari in rapporto a un margine commerciale lordo che cresce inopinatamente proprio grazie alle rimanenze finali o a fatture da emettere tutte da giudicare nella loro veridicità.

Sinteticamente di dovrà pertanto esaminare, nell’ordine:

  1. andamento delle vendite nel tempo e in rapporto al settore di appartenenza;
  2. congruità delle componenti del costo del venduto, tasso di rigiro delle scorte e corrispondente livello del primo margine;
  3. andamento delle voci relative agli ammortamenti e ai costi per servizi, in particolare per quanto riguarda il tasso medio di ammortamento e le lavorazioni esterne;
  4. livello e composizione dell’Ebitda, in particolare per quanto riguarda l’effettiva capacità dell’azienda di creare ricchezza;
  5. da ultimo, il grado di copertura (o di assorbimento) da parte degli oneri finanziari in rapporto al RO, ricordando che se la ricchezza prodotta dalla gestione tipica è appena sufficiente a ripagare il costo del debito, come si potrà fronteggiare quest’ultimo?

Se il conto economico è il punto di partenza, sarà l’analisi dello stato patrimoniale e del capitale circolante netto operativo, con il suo noto effetto spugna, a confermare, come quasi sempre avviene, quanto riscontrato a livello di analisi economica.

Infine, solo una piccola notazione: l’analisi della redditività è l’ultimo dei problemi che l’imprenditore vuole mettere  in discussione, perché così facendo mette in discussione sé stesso. Ed è qui che “si parrà la nobilitate” del bravo consulente e l’efficacia del sistema di prevenzione delle crisi adottato.

 

 

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Analisi finanziaria e di bilancio Banca d'Italia Banche Capitale circolante netto operativo Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI

Prevenire è meglio che curare, ma solo se fatto davvero “prima” (a proposito di crisi d’impresa).

Prevenire è meglio che curare, ma solo se fatto davvero “prima” (a proposito di crisi di impresa).

Per comprendere meglio quello di cui ci stiamo occupando si può ricorrere a una similitudine relativa alla sicurezza e alla prevenzione nei luoghi di lavoro, ovvero la normativa anti-incendio. Come è noto a chiunque osservi uffici, fabbriche, luoghi di lavoro e in generale locali aperti al pubblico, in ognuno di questi luoghi dovrebbero essere state introdotte e adottate efficaci e doverose misure di prevenzione antincendio, dagli estintori ai naspi etc..; allo stesso modo è obbligatorio frequentare o far effettuare corsi ai propri dipendenti e, più in generale, fare propria una cultura delle sicurezza basata, prima ancora che sui dispositivi, sulla attenzione quotidiana e costante, al fine di evitare anche il solo insorgere di situazioni di pericolo.

Sempre per rimanere in argomento sarebbe quantomeno singolare, per esempio, che i pompieri aspettassero, prima di intervenire, che l’incendio abbia attecchito bene, che le fiamme stiano divorando un fabbricato, che vi siano danni estesi: al contrario, essi dovrebbero intervenire anche solo se si dovesse sprigionare un filo di fumo che possa segnalare eventuali allarmi.

Bene, se tutto questo poteva essere vero in ambito di gestione economico-finanziaria delle imprese fino a qualche anno fa, ora la situazione è radicalmente mutata: le situazioni di possibile crisi d’impresa vanno individuate e tempestivamente affrontate prima che peggiorino.

Con la recente riforma, che obbliga le imprese a dotarsi di sistemi interni di autovalutazione dei segnali di possibili crisi d’impresa, la prevenzione diventa un obbligo, con possibili conseguenze, in sede di eventuali dissesti, ancora tutte da valutare nella realtà (non esiste e non può esistere giurisprudenza al riguardo) ma che facilmente riguarderanno il reato di bancarotta, semplice o fraudolenta che sia, il ricorso abusivo al credito e quella fattispecie per ora solo giurisprudenziale nota come “concessione abusiva di credito” e che riguarda, ad evidenza, in primis le banche.

Le imprese, tutte le imprese, non solo quelle di medie e grandi dimensioni, dovrebbero dotarsi pertanto di un modello di controllo interno che metta a sistema e organizzi un’adeguata reportistica di indicatori, ratios e dati, su base pluriennale, che aiutino anzitutto il consiglio di amministrazione, il proprietario-imprenditore, i soci, a comprendere quale possa essere l’evoluzione negativa della situazione aziendale. Sotto tale profilo si tratta, a nostro parere, di niente altro che innalzare il livello della cultura d’impresa, senza fermarsi semplicemente ai controlli ex-post ma adottando un’adeguata pianificazione economico-finanziaria ex-ante. Solo in questo modo, in effetti, è possibile evitare che le crisi non solo degenerino, ma che non siano affrontate e prese in tempo, evitando l’ampliarsi di ricadute economiche, finanziarie  e patrimoniali.