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Tornare a desiderare.

Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare una società troppo appagata ed appiattita.

Censis, Rapporto 2010 sulla situazione sociale del paese.

Leggi il commento di Giorgio Vittadini su Avvenire del 10 dicembre Vittadini Avvenire 20101210

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Saremo perciò costretti a testimoniare un’esperienza.

Il Censis centra di nuovo il bersaglio quando identifica la vera urgenza di questo momento storico: «Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare una società troppo appagata e appiattita». Ma chi o che cosa può ridestare il desiderio? È questo il problema culturale della nostra epoca. Con esso sono costretti a misurarsi tutti coloro che hanno qualcosa da dire per uscire dalla crisi:
partiti, associazioni, sindacati, insegnanti. Non basterà più una risposta ideologica, perché di tutti i progetti abbiamo visto il fallimento. Saremo perciò costretti a testimoniare un’esperienza.
Anche la Chiesa, il cui contributo non potrà limitarsi a offrire un riparo assistenziale per le mancanze altrui, dovrà mostrare l’autenticità della sua pretesa di avere qualcosa in più da offrire. Come ha ricordato Benedetto XVI, «il contributo dei cristiani è decisivo solo se l’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà». Dovrà mostrare che Cristo è così presente da essere in
grado di ridestare la persona − e quindi tutto il suo desiderio − fino al punto di non farla dipendere totalmente dalle congiunture storiche. Come? Attraverso la presenza di persone che documentano un’umanità diversa in tutti i campi della vita sociale: scuola e università, lavoro e imprenditoria, fino alla politica e all’impegno nelle istituzioni. Persone che non si sentono condannate alla delusione e allo sconcerto, ma vivono all’altezza dei loro desideri perché riconoscono presente la risposta.

Comunione e Liberazione, Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo, dicembre 2010

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Libertà, verità e desiderio

Sironi, paesaggio urbano

Come coniugare, allora, una libertà non disgiunta dalla verità (nel libro si legge che “tutta la vicenda moderna ruota attorno al nodo antropologico della libertà e al suo tormentato rapporto con la ‘verità’”) e il “capitalismo tecno-nichilista”? Bisogna partire, risponde, dalla scoperta che è alla base della modernità: la “volontà di potenza”. Non si può negarla. Quando la si nega, anche con le buone intenzioni morali, si fa un’astrazione, non regge. Il soddisfacimento dei bisogni, il profitto, il desiderio, la volontà “egoistica” di avere fanno parte dell’uomo e della società. “Che l’uomo sia una ‘macchina desiderante’ non l’ha inventato il mercato. Il capitalismo, al limite, l’ha reso oggettivo”. Il punto è vedere dove tutto questo diventa un circolo vizioso.

Dall’intervista di Maurizio Crippa al prof.Mauro Magatti, Il Foglio, 3 luglio 2009