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Alessandro Berti Banche Cultura finanziaria Educazione USA Vigilanza bancaria

Guardie e ladri.

Guardie e ladri.

C’è un rincorrersi quasi malinconico nelle notizie di queste giorni, memori della Grande Crisi 2008-2018 (molto più lunga e devastante, a mio avviso, di quella del ’29), come se si scoprisse all’improvviso che le banche (i ladri) rischiano e quando lo fanno, coefficienti patrimoniali o no, lo fanno perlopiù con i soldi degli altri, ovvero dei risparmiatori, con le autorità di vigilanza (le guardie) che spesso intervengono a misfatto ormai compiuto.
Dalla constatazione che le banche lavorano con i soldi degli altri nasce l’atteggiamento un po’ “feroce”, almeno all’apparenza, del regolatore americano, che gli istituti di credito li lascia fallire, e non per distrazione, anche se si tratta della 16ma banca degli USA (SVB), quasi che ciò servisse naturaliter a educare i risparmiatori a scegliere la propria banca in base alla comunicazione trasparente che la banca fa (?) e alla percezione che di essa ha il cliente del grado di rischio medio ponderato contenuto nelle attività delle banche.
In poche parole, se ti scegli una banca, prima dovresti averne letto i bilanci e compreso il grado di rischio, compreso il CET 1 ratio o il Texas Ratio.
Velleitario o ingenuo che sia, questo è l’atteggiamento a stelle e strisce, che funzionerebbe meglio, forse, se fossero praticate maggiormente la trasparenza e la cooperazione: nel caso americano, ma non solo, questo vuol dire applicare effettivamente le regole degli accordi di Basilea, che anche gli USA hanno sottoscritto (la trasparenza e la comunicazione sul grado di rischio) ovvero erigere il pilastro da sempre -perlomeno da Basilea 2- mancante nella costruzione degli assetti volti ad assicurare la stabilità dei sistemi finanziari.
Trasparenza sul grado di rischio che tuttora manca anche nel Belpaese (in Italia la comunicano nella pubblicità solo Mediolanum e Mediobanca, a mia notizia, e pochi altri: e la comunicano perché hanno requisiti di capitale assai elevati) così come manca la cooperazione. Se Miss Universo dichiara di essere una bella donna, oltre che volere la pace nel mondo, nessuno le dirà nulla, semplicemente perché è vero. Se la figlia del rag.Fantozzi facesse altrettanto, la smentita sarebbe altrettanto unanime e, probabilmente, più fragorosa.
Ricordo come, nel corso di un viaggio di studi presso la British Banks Association, il funzionario che mi ricevette mi donò, con giusto orgoglio, il report contenente una classifica che la stessa associazione promuoveva, basata sul livello della qualità dei servizi offerti dalla banca così come percepito da un cliente tradizionalmente debole sotto il profilo finanziario, le PMI.
Trasparenza e cooperazione -le banche, in competizione tra loro, rendevano tuttavia possibile la compilazione della classifica, aspirando a primeggiare in essa
-, in un sistema bancario dove già all’epoca (1998) si facevano i mutui on line: questa vicenda, che purtroppo non ho più seguito, insegna che non può trattarsi di una semplice questione di regole, ma di una attitudine e di una cultura che non si creano per legge o per normativa regolamentare.
Direi piuttosto che il tema è di cultura ed educazione finanziaria, quella che dobbiamo trasmettere quando spieghiamo in università ma anche quella che si respira nel sentire comune, quella che viene fuori dalla cosiddetta economia civile, dall’impresa, dal lavoro.
La fatica che ho notato presso le banche nell’accettare la normativa degli EBA-LOM, la sua scarsa o nulla conoscenza presso le imprese e spesso presso gli stessi lavoratori bancari, riflettendo che nel documento si invoca “la diffusione di una forte cultura del rischio di credito”, mostrano che le regole non funzionano se non sono fatte proprie all’interno di una visione e di una concezione del fare banca (e del fare impresa) che chiariscano in modo trasparente la missione e lo scopo dell’agire dell’impresa stessa, bancaria e non, e che lo sottopongono al mercato.
Non si tratta solo di sottolineare l’importanza della comunicazione non finanziaria nei bilanci di imprese, le PMI italiane, che faticano a spiegare il minimo sindacale, ma di qualcosa di maggior spessore, che va al di là degli adempimenti formali. La trasparenza e la cooperazione sono un lavoro quotidiano, che non si insegna: si impara praticandole.
Abbiamo di che lavorare, nelle università, nelle banche, nelle imprese.

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Capitale circolante netto operativo Crisi finanziaria Educazione Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese Lavoro PMI

Solo il 26% delle aziende ha usato i consulenti…

Solo il 26% delle aziende ha usato i consulenti…

…già, ma per fare cosa? Il Sole 24 Ore di oggi ci dice che per chiedere la Cassa Integrazione, in deroga e non, solo un quarto delle imprese ha fatto ricorso all’aiuto di consulenti.

La notizia merita molteplici riflessioni, soprattutto per l’argomento, di notevole importanza in questo momento storico, nel quale la questione della liquidità la fa da padrona (et pour cause). Il comportamento delle imprese, non solo PMI, nei confronti dei temi della gestione è da sempre frutto di una costante sottovalutazione di quelli strategici a vantaggio di quelli maggiormente fiscali e amministrativi, in sostanza, della gestione ordinaria.

In fondo lo si è potuto notare molto bene esaminando le varie questioni connesse ai prestiti Covid garantiti dallo Stato, per i quali si continua a sbandierare la necessità di liberarsi delle maledette “scartoffie”, impugnando la legge di conversione del decreto che avrebbe (ma non ha) eliminato ogni sorta di necessità di analizzare bilanci, budget, business plan. Ne sanno qualcosa coloro che lavorano in banca, trovatisi a operare in condizioni di totale mancanza di dialogo, certamente non favorito dall’assenza del ceto professionale proprio su un punto fondamentale, ovvero i piani e i progetti per il dopo. D’altra parte, mi giungono notizie, anche direttamente, di aziende che devono nominare il revisore legale (e, signori del Sole 24 Ore,  piantatela di dire che è solo un costo, grazie) che sono sotto ricatto del loro professionista di fiducia e che “devono” nominare Tizio o Caio. I quali verosimilmente, oltre a non approfondire troppo le questioni figlie della gestione preesistente, sottovalutando come i loro clienti il solo parziale rinvio del Codice delle Crisi di Impresa, intanto si insiederanno per constatare che gli assetti organizzativi sono inadeguati, o forse no…e poi?

La cultura d’impresa e un indirizzo più gestionale ai comportamenti imprenditoriali, comprese le relazioni di clientela intrattenute con le banche non arrivano certamente per decreto legge o DPCM, come usa ultimamente. Ma se neppure ci si vuole fare accompagnare da consulenti, peraltro a loro volta restii a una visione strategica, riusciremo certamente nel non invidiabile risultato di essere entrati nella crisi da Covid-19 per primi ed uscirne tra gli ultimi.

P.S.: quello nella foto è Luigi Malabrocca, maglia nera in numerose competizioni ciclistiche, ma lui lo faceva apposta…

 

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Banche Banche di credito cooperativo Capitale circolante netto operativo Crisi finanziaria Cultura finanziaria Educazione Fabbisogno finanziario d'impresa Indebitamento delle imprese PMI

Per ora rimando il suicidio (far finta di essere sani).

Per ora rimando il suicidio (far finta di essere sani).

(Non sanno se ridere o piangere, battono le mani).

Accade tutto contemporaneamente, troppo in sequenza per non pensarci. Dopo una fastosa ed impegnativa presentazione di quasi un mese fa -nella quale non ero stato né tenero né accondiscendente verso le imprese- al Museo 1000 Miglia di Brescia, mi comunicano che la Scuola d’Impresa, modulo sui rapporti banca-impresa, è saltato per mancanza di iscritti. A Brescia, dove i promotori sono ricchi e forti, sono tanti e la sensibilità imprenditoriale non è mai mancata.

Poi riparlo con la responsabile marketing di una Banca di Credito Cooperativo, che mi ha chiesto di stendere i contenuti di due progetti formativi, uno destinato ad imprenditori che avevano già partecipato a precedenti iniziative, uno per soggetti che non abbiano mai fatto formazione in materia finanziaria. Cerco di modulare il tutto, faccio il fine tuning, taglio, cucio e faccio le asole, evito di spalmare il tutto su troppe giornate, sintetizzo e stipo: insomma, faccio due vestiti su misura, richiesti con urgenza.

Telefonata dopo qualche giorno:

Ciao, abbiamo guardato le tue proposte: non potresti metterci qualcosa di più commerciale?

– Volentieri, ma cosa intendi dire?

Intendo che non possiamo parlare sempre delle stesse cose, del fabbisogno finanziario e del ciclo monetario: gli imprenditori queste cose le conoscono (sic); dovremmo parlare di qualcosa che dia il senso di un’evoluzione futura positiva (ri-sic).

– Cioè?

Secondo noi dovresti parlare del credit crunch, dovresti dire che finirà: dovresti mostrare dei dati che facciano capire che se ne può uscire. Dovresti parlare di cose positive, altrimenti non vengono.

– Ma io pensavo di parlare di ciclo monetario, di come affrontare la carenza di liquidità, di come provare a relazionarsi costruttivamente con le banche…

Se parli di queste cose non vengono: cambia, altrimenti non si fa.

Clic.

 

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Banche Crisi finanziaria Cultura finanziaria Educazione Liquidità Mutui e tassi di interesse Regno Unito

La coscienza bancaria.

La coscienza bancaria.

Simone Giacomelli, Campagna marchigiana, presa di coscienza sulla natura (dalla rete).

Il Corriere della Sera, in un articolo che riprende un servizio del Daily Telegraph, parla di “coscienza bancaria” in riferimento all’attività di alcune banche inglesi che stanno mettendo sull’avviso (o lo faranno presto) i loro clienti riguardo al fatto che è necessario tagliare le spese e pagare i mutui. Il giornalista trova il modo di affermare che “in barba alla privacy dei dati e dei consumi, l’Inghilterra si difende anche così dallo spauracchio della crisi.”

Forse l’articolista non ha mai visto l’operatività dei back-office bancari, non è mai stata nei retro-bottega, quelli dove si fa il lavoro sporco; o forse pensa che le banche che finanziano persone fisiche con i mutui non conoscano vita, morte e e miracoli di costoro. Non è una questione di privacy, è che attraverso la lettura del conto, di addebiti e di accrediti, si conosce praticamente tutto quello che fa il cliente: che avrebbe solo un modo per difendersi dalla curiosità del finanziatore, ovvero usare solo contante.

Il problema, peraltro, non è appena di privacy, ma di educazione e di cultura finanziaria. Più volte mi è capitato di vedere clienti chiedere alla banca di procedere comunque ad addebitare le rate di Sky e di posticipare l’addebito del mutuo, comportamento che non può essere altro che frutto di mancanza di educazione finanziaria e di uno stile di vita e di consumi privo di senso del sacrificio, in cui tutto è dovuto. Le banche non avranno una coscienza, forse: ma se facessero anche in Italia quello che fanno nel Regno Unito non difenderebbero appena le loro ragioni creditizie, ma un modello di consumi e uno stile di vita che talvolta sembra non essersi reso conto della crisi.

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Banche Cultura finanziaria Educazione Mutui e tassi di interesse Ricchezza Rischi Risparmio e investimenti

Conflitti di interesse.

Conflitti di interesse.

Ed Gein, Il "macellaio" di Plainfield

Rosario Trefiletti, presidente di Federconsumatori, su Plus 24 di sabato: «È evidente che quando le banche consigliano i loro prodotti sono in conflitto di interessi. Per questo la nostra indicazione alla clientela è quella di scegliere in via prioritaria strumenti di investimento istituzionali: BoT o BTp, per esempio. Il risparmiatore in cerca di un buon consiglio lo può cercare in contrasto di interesse: chiedendo all’istituto di credito di indicargli un prodotto di un’altra banca. In ogni caso è buona regola chiedere diversi preventivi per poi scegliere a mente serena quello che risulta più conveniente: è la concorrenza che migliora l’offerta».

Chissà se Trefiletti fa il verduraio, o magari il macellaio; oppure il panettiere. Forse no. Probabilmente, per coerenza, avrebbe dichiarato fallimento, invitando i propri clienti a comprare mele e pomodori, bistecche e sfilatini presso la concorrenza. O invitandoli ad assaggiare i prodotti altrui. Nel frattempo, con proposte simili, non si dissuadono le banche dal cercare di fare raccolta a tutti i costi, anche a spese dei clienti, come ci ricorda Paolo Zucca sullo stesso giornale. «Gran parte dello sforzo delle banche – dice Giovanni Bianchini del consiglio Apb (Associazione per la pianificazione e controllo di gestione di banche e finanziarie) – è concentrato sulla raccolta, per avere la liquidità necessaria e flussi dai propri clienti. Quindi una garanzia forte contro eventuali choc esterni. Si sta tornando a un rapporto del 70-80% massimo di impieghi sulla raccolta, in parte perchè l’economia tira poco e in parte perchè una consistente raccolta diretta tranquillizza tutti, autorità comprese, ridimensionando gli eccessi nell’utilizzo dell’effetto leva. L’enfasi è quindi sulla raccolta con obbligazioni e altri strumenti “di casa”, c’è meno interesse al collocamento di prodotti di terzi».

Non è appena la concorrenza che migliora l’offerta, checché ne dica Trefiletti: se provassimo a migliorare la qualità della domanda?

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Banche Borsa Cultura finanziaria Educazione Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese IPO Rischi Risparmio e investimenti

Quotarsi un po’…

Il supplemento di sabato del Sole 24 Ore, Plus 24, si sofferma sulle IPO a venire, definendo il 2010 l’anno delle quotazioni. Marco Liera, nel titolare che di 569 imprese quotate ne sono rimaste 272, sottolinea anzitutto le aspettative di venditori e compratori, “molteplici ed a volte in conflitto”. In particolare chi colloca dovrebbe non soltanto puntare a massimizzare l’incasso, ma anche a “individuare un prezzo equo che lasci spazio per un’ulteriore remunerazione ai soci (…).” Al contrario, chi acquista o è mosso da puro intento speculativo oppure è un cassettista. Pur comprendendo le necessità della scrittura giornalistica, è difficile sottrarsi al dubbio dell’eccesso semplicistico acuito, purtroppo, da una lunga esperienza accademica e di studi. Le Initial Public Offering (IPO) rammentano i luccichii ed i brillantini, lo strass e la moltiplicazione dei riflessi utilizzati per attrarre. Quasi che l’interesse -o la ragion d’essere di un mercato mobiliare- si esaurisse nel consentire nuove quotazioni. I giornali, economici e non, in questi casi fanno sempre titoli che riflettono, si ritiene erroneamente, una concezione per la quale ci si stanca subito di qualunque cosa. La Borsa è interessante solo se i ballerini e le danze cambiano, la novità muove i risparmi, i fondamentali sembrano perdere di valore. La borsa, in buona soatanza, è un punto SNAI (o B-win), dove si scommette.

A parte le considerazioni circa l’educazione finanziaria dei risparmiatori, le affermazioni di Liera sembrano un po’ ingenue: i collocatori mirerebbero, tutti indistintamente, a massimizzare gli incassi, ma fra di essi gli interessi delle banche d’affari e dei soci senior sono notoriamente in contrasto. Le une vorrebbero un prezzo che consenta di fare il pieno di adesioni, gli altri vogliono massimizzare i flussi in entrata, subito. E ancora: i compratori, anche i più sprovveduti, sono a conoscenza del noto fenomeno dell’undepricing, in forza del quale chi ottiene le azioni in fase di IPO nella quasi totalità dei casi otterrà lauti guadagni rivendendo subito dopo, dal momento che il prezzo iniziale di quotazione risulta essere sempre inferiore a quello di mercato, perlomeno per un certo lasso di tempo iniziale. Poi, come insegna la ricca letteratura citata da Liera, i prezzi vanno giù, ma nel frattempo chi ha ottenuto le azioni in fase di IPO fa, o avrebbe dovuto fare, cassa (se non l’ha fatto, come insegna la saggezza popolare romagnola, “dormiva nella paglia”).

L’editoriale è interessante, sia ben chiaro: ed andrebbe letto con attenzione dai miei studenti e non solo. Inoltre, e di questo vale la pena occuparsi a parte, l’articolista richiama l’importanza per l’investitore di seguire nel tempo le vicende delle società di cui si è azionisti, valutandone i fondamentali, le scelte strategiche, i mutamenti negli assetti proprietari. Un lavoro meno semplice di quanto sembri: e, soprattutto, per il quale sono richieste competenze e capacità specifiche, e non solo. Sempre più quello che manca è l’educazione finanziaria.

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Educazione Risparmio e investimenti USA

Cialtroni (e idioti) a stelle e strisce.

La Security and Exchange Commission (SEC) americana ha smascherato e messo sotto accusa per frode Sean David Morton, sedicente guru della finanza americana, che affermava di aver “indovinato tutti i massimi e i minimi  dei mercati e le date esatte dei rialzi e dei crolli negli ultimi 14 anni”. Il mago Norton ha truffato un centinaio di persone, per circa 6 milioni di dollari, regolarmente e prevedibilmente spariti. Eppure, anche negli USA ci sono le regole, la vigilanza, non sono latini etc…che sia, per l’ennesima volta,  una questione di educazione?

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Consob Risparmio e investimenti

Razionalità limitata (i pregi della finanza comportamentale).

The New York Stock Exchange

Un’interessante ricerca pubblicata dal Servizio Studi della Consob, ad opera di Nadia Linciano, rimette al centro della questione le motivazioni che stanno alla base delle scelte dei risparmiatori. Evidenziando come le stesse, lungi dall’assecondare i paradigmi della finanza classica, ovvero la piena razionalità e la la massimizzazione del profitto, siano in realtà frutto di comportamenti che andrebbero guidati ed indirizzati, anche e soprattutto attraverso l’educazione finanziaria. Si tratta di una ricerca importante, dalla quale i devoti delle regole a tutti i costi potrebbero trarre spunti di riflessione per capire che le regole, senza la cultura, non servono a nulla. La ricerca, infine, può aiutare a ri-definire i confini e l’importanza di quella branca degli studi economici che è la finanza comportamentale, da non assumere più come una bizzarra fuoriuscita dagli schemi della finanza classica ma come qualcosa che, finalmente, riesce a cogliere più intelligentemente e compiutamente la realtà.

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Rischi Risparmio e investimenti

Scottature (da bond).

E sempre a proposito di rendimenti, da segnalare ed approfondire, un articolo del 27 dicembre comparso sul Sole 24 Ore, che illustra 5 regole da seguire per evitare di cadere nelle trappole dell’illusione monetaria legata agli alti rendimenti o nella “sicurezza garantita” delle obbligazioni, BOT in primis, rispetto ad altre forme di investimento.

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Banche Rischi Risparmio e investimenti

Warning! High yield!

Un severo editoriale del Sole 24 Ore del 29 dicembre ammonisce il lettore dai rischi legati, ça va sans dire, agli elevati rendimenti.

Aggiungendo peraltro che la crescita dei rendimenti è da considerare foriera di problemi per la sostenibilità del debito pubblico, il mantenimento di un rating elevato da parte degli Stati Sovrani emittenti e, in generale, per tutta la c.d. exit strategy dalla crisi.

Il warning va bene, e ci mancherebbe. Forse sarebbe il caso di segnalarli più spesso, certi rischi, anche a costo di apparire pessimisti o peggio, evitando certe paginate del sabato intitolate, vedi caso, “Caccia agli alti rendimenti” o simili. Se la crisi, infatti, non sembra aver modificato il comportamento di molte delle banche principali, allo stesso modo pare non avere insegnato nulla ai risparmiatori, a quanto pare mai sazi di bastonate. L’educazione finanziaria non finisce mai.