
L’intervista di Claudio Gatti all’ex presidente della FED ed attuale consigliere di Barack Obama, Paul Volcker, offre spunti di riflessione non solo per quanto concerne il contenuto dell’intervista stessa ma anche relativamente alla notizia, riportata nell’articolo di Morya Longo sul Sole 24Ore di oggi, che dalla speculazione provengono il 59% degli utili delle banche.
La prima riflessione riguarda toni e contenuti di un post di qualche tempo fa, dei quali faccio ammenda con Massimo Sideri, che commentava proprio l’uso, in verità assai spregiudicato, che le banche di tutto il mondo fanno dell’immensa liquidità messa a loro disposizione. Ciò che, da parte mia, è stato sottolineato con eccesso di sarcasmo, dal momento che le banche, ci piaccia o no, sono imprese e come tali devono fare gli utili. E’ noto, del resto, che non credo alla divisione manichea del mondo economico in buoni e cattivi ma questo non era nè doveva essere motivo di, appunto, eccessi.
Dato atto di questo, mi sembra interessante rilevare che, in modo singolare, la risposta alle preoccupazioni di Morya Longo è contenuta nell’intervista a Volcker del giorno precedente, laddove egli afferma che “si devono trattare le banche in modo diverso dalle altre istituzioni finanziarie. E si devono limitare le loro attività. Le banche non dovrebbero essere proprietarie di hedge fund o di fondi azionari e le loro attività di trading dovrebbero essere circoscritte. Un’istituzione che produce il grosso del suo reddito con il trading non dovrebbe avere la licenza bancaria.”
Volcker dice anche altre cose, il cui realismo sarebbe bene divenisse patrimonio maggiormente diffuso fra operatori, commentatori e regolatori: per esempio che, con riguardo ai tetti ai compensi dei banchieri “troverebbero il modo per aggirarli.” Il che non significa, evidentemente, decidere di non fare nulla, ma evitare velleitarismi moralistici in cui forse si sta eccedendo.
La proposta del ritiro della licenza bancaria per gli intermediari creditizi che traggano dall’intermediazione mobiliare la maggior parte dei loro ricavi mi pare un buon punto di partenza, oltre che una proposta ragionevole. In Italia si potrebbe modificare la legge bancaria, senza troppi sussulti: oppure, ancora, si potrebbero irrigidire i parametri patrimoniali imposti dalla Vigilanza, rendendo più oneroso il dedicarsi al trading stesso.
Infine, non va dimenticato un particolare non secondario: che il trend in atto sia quello descritto, non c’è dubbio. Ma sul fatto che possa durare, mi permetto di esprimere serie perplessità.
Da un lato, infatti, gli spread non possono mantenersi in eterno a questi livelli, tali cioè da rendere convenienti i comportamenti opportunistici delle banche, il cui moral hazard consiste nel ricevere risparmi dal pubblico a vista per investirli a medio-lungo termine. Moral hazard, peraltro, che si manifesta anche nei confronti di una missione troppo spesso sbandierata, ma non praticata, ovvero quella di finanziare lo sviluppo e sostenere le imprese.
Dall’altro lato, infine, ci sono evidenti considerazioni di tipo economico: per quanto tempo, infatti, potranno reggersi i conti economici di intermediari creditizi la cui struttura sul territorio è, tuttora, basata sulla filiale tradizionale che -grazie al Cielo, aggiungerei- fonda la propria operatività sul costo del personale? Il principale dei costi operativi di un intermediario è il capitale umano: all’impiego efficiente e coerente di tale risorsa forse sarebbe bene dedicare maggiore riflessione.