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Quadri.

Quadri.

“(…) Ma è davvero questo il quadro più realistico? Secondo Equita no. L’Eba per ammissione esplicita non considera ad esempio i potenziali effetti benefici legati alle moratorie e alla garanzie, che di certo rallentano il processo di deterioramento del credito. Da qua il tentativo della Sim di incorporare il set di «indicazioni, input e feedback ricevuti durante questi mesi senza precedenti al fine di produrre la stima più accurata, affidabile e realistica degli effetti» dell’improvviso crollo del sistema, si legge nell’analisi.

Lo studio è partito dall’assunto che, nell’incertezza sugli effetti da Coronavirus, la cosa più ragionevole è che ciò che «era traballante prima del Covid-19, cada a causa della crisi». L’attenzione in particolare si è concentrata sui «prestiti ad alto rischio», quelli che più realisticamente passeranno a default. Lo stock di prestiti che secondo Equita è in bilico è pari a 184 miliardi, ovvero il 13% del portafoglio prestiti, bacino che comprende i prestiti in bonis “forborne” (che evidenziano primi segnali di difficoltà), gli Unlikely to pay e i prestiti oggetto di moratoria.

Ipotizzando che il 50% dei forborne diventi Utp, che ci sia un raddoppio del tasso di decadimento rispetto al 2019 (ovvero del passaggio da Utp a sofferenza) e che il 10% dei prestiti in moratoria diventi Utp, dalla crisi potrebbero dunque emergere per Equita 22 miliardi di crediti malati in più, con un Npe ratio che passerebbe dal 6,9% attuale all’8,4%. Da qua, la necessità come detto di 12 miliardi di accantonamenti extra, pari a 75 punti di Cet 1.

Così l’ottimo Luca Davi sul Sole 24 Ore on line di oggi, in relazione a un report di Equita Sim sugli effetti della pandemia. Difficile non concordare su un assunto incontrovertibile a parere di chi scrive: la crisi impatterà, anzi, ha già impattato in maniera devastante su chi, già prima del suo verificarsi, presentava andamenti economici incerti, indebitamento elevato, insostenibilità degli impegni assunti. Il Governo attualmente in carica, nel tentativo disperato di buttare la palla in tribuna, ha vietato i licenziamenti, i fallimenti e già che c’era, ha vietato pure la classificazione a sofferenza delle posizioni che tali sarebbero. Leggere nel report di Equita Sim, il cui contenuto sarebbe più ottimistico delle stime dell’EBA, che i prestiti in Bonis forborne manifestano già segnali di difficoltà significa evidenziare quello che ha già detto qualcuno parlando in generale del cosiddetto  new normal, ovvero che non saremo migliori, “perché gli uomini non imparano mai” (Francesco Guccini).
Un prestito classificato forborne, come è noto, è tale perché la concessione, l’aiuto, la forbearance che dir si voglia è stata concessa in relazione a difficoltà temporanee (o presunte tali) che grazie al prestito potrebbero essere superate. Il buon senso, prima ancora che le buone prassi, imporrebbero che tale status (forborne e in bonis) sia assegnato sulla base di documenti, carte, piani, progetti, business plan, budget di tesoreria che documentino, appunto la temporaneità. Temo che, come nel 2008 e a seguire, nulla di tutto questo si sia verificato. E temo che, questa volta molto più velocemente di allora, il credito deteriorato emergerà, perché le regole sono molto più chiare e stringenti, senza dimenticare che l’impatto del Covid non è solo sui livelli del CET1 ratio ma anche sulla liquidità (dunque non solo ICAAP ma anche ILAAP). Occorrerà una soluzione di sistema, a livello europeo e internazionale, certamente: la ricapitalizzazione, anche solo “formale” delle banche -attraverso i ratios patrimoniali- è comunque un problema di policy. Ma come si eroga credito in questo momento e come lo si valuta, resta un problema di best practices, che, a quanto pare, nessun decreto riesce a imporre.
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Burani & C: la bolla dei marchi.

Logo BuraniFabio Pavesi, sul supplemento Plus24 del Sole 24 Ore di ieri, sabato 5 settembre, sostiene che il settore della moda sarà quello destinato a pagare, molto più delle banche, “la più grande abbuffata della Storia di debito facile ed è quello della moda”.

Dopo aver ricordato il crack IT Holding, l’articolista rammenta le difficoltà del gruppo Burani, nonchè di Valentino Fashion Group (un po’ di fantasia nelle denominazioni sociali no?), sostenendo, e qui viene il bello, che “(..) quella massa enorme di perdite non deriva dal calo del mercato o dalla gestione industriale, ma è tutta finanziaria. Quel buco è il frutto delle svalutazioni dei marchi e degli avviamenti, oltre che del peso degli interessi sul debito.”

La tesi, così enunciata, non solo è bizzarra, ma è errata nel contenuto, ragionieristico e gestionale. Le svalutazioni e gli ammortamenti degli asset, sia pure immateriali -e Dio solo sa quanto fossero eccessivi nel bilancio Burani, vedi le analisi pubblicate su questo blog- non fanno parte della gestione finanziaria, ma della gestione industriale, e a pieno titolo. Le partecipazioni in aziende del settore, l’acquisizione di marchi e di licenze per altre griffes del settore della moda ad altro non dovrebbero servire che a crescere, incrementare le opportunità di business, espandere l’operatività sui mercati. Dunque il problema non è finanziario, ma industriale e gestionale, è il problema di una crescita non sostenibile a partire da margini non proprio elevatissimi e da una grande massa di debito.

Come sottolinea giustamente Pavesi nel suo articolo, la crisi ha evidenziato i problemi di acquisizioni fatte a prezzi troppo cari e tutte a debito, gonfiando il valore degli asset acquisiti al fine di ottenere più credito di quanto fosse lecito. Ma la non sostenibilità del debito non è mai soltanto un problema finanziario, è un problema industriale, di Mol e di autofinanziamento. Se si trattasse di un problema finanziario, il consolidamento dei debiti risolverebbe tutti i guai, cosa che raramente accade.

Infine. Pavesi consiglia gli investitori di guardare i bilanci (sic!) e “(..) se il peso dei valori intangibili (tra cui i marchi) supera di gran lunga il patrimonio della società, meglio drizzare le antenne e diffidare”. Ma come? Gli intangibles? Dopo che per anni sono state fatte tesi, scritti libri, organizzati convegni, sotto l’egida bocconiana -prof.Guatri docet- della creazione e della comunicazione del valore, dopo che ci è rammaricati che le banche non tenessero adeguatamente in conto il valore, appunto, degli intangibles nel valutare il merito di credito, adesso arriva il pentimento?

Non è mai troppo tardi, certo: parlando da cattolico, il perdono non si nega a nessuno, neppure in punto di morte. Ed i peccati dei bilanci, in finale, non sono così criminali. Ma talvolta un po’ di pudore consiglierebbe di tacere, soprattutto a giornali che, si capisce, devono barcamenarsi anche con le esigenze degli inserzionisti -e la moda è un grande inserzionista-. A tutti gli altri può fare piacere ricordare la canzone di Guccini, Eskimo, quando, con malcelata soddisfazione ed un po’ di amarezza, rinfaccia alla vecchia fidanzata “tu adesso giri con le tette al vento, io ci giravo già vent’anni fa”.