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Responsabilità oggettiva (a chi servono i libici in Unicredit 2).

Si è già parlato fin troppo dell’ascesa della Libia in Unicredit, ma è difficile, in questi giorni, non pensare ad una vecchia norma del codice di disciplina sportiva che deferiva (e sanzionava) le società, per “responsabilità oggettiva” a causa dei comportamenti non proprio ortodossi delle tifoserie o dei tesserati. Profumo che nega di avere chiamato i libici o davvero non sapeva nulla -ed in tal caso fa una figura da tonto che riesce difficile immaginare veritiera- oppure sapeva, ed in tal caso ha probabilmente errato nel metodo. Difficile, invece, dargli torto nel merito, dal momento che perlomeno per la quota di Cariverona -quella per la quale il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, strilla che ci saranno scalate ed invasioni- i libici sono serviti a trovare denaro fresco e sottoscrivere i famosi “cashes“. Senza i libici il rafforzamento patrimoniale di Unicredit sarebbe stato inadeguato. E con Cariverona, a quanto pare, Profumo può contare su un socio che di stabile ha solo le pretese.

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A chi servono i libici in Unicredit?

Il dibattito sviluppatosi intorno all’ascesa, nella compagine azionaria di Unicredit, della Libia di Gheddafi, dapprima attraverso la Banca centrale di Tripoli con 4,99% e poi con la Libyan Investment Authority, entrata nel capitale a inizio agosto con il 2,07%, non è appena una questione di acquisto disgiunto o congiunto, riconducibile o no allo stesso soggetto e dunque passibile di comunicazioni che non sono state effettuate, sterilizzazione delle partecipazioni ai fini dei diritti di voto (il tetto statutario in Unicredit è il 5%) etc… e dunque di violazione delle regole, come al di sotto dei formalismi pare sia avvenuto.

La questione non è neppure di opportunità, anche se è difficile dare torto a Dieter Rampl, presidente di Unicredit, che pare si sia “alterato”, per dir così, per la mancata tempestiva informazione circa l’ampliamento delle partecipazioni riconducibili al Colonnello Gheddafi.

In situazioni come queste, infatti, così come nel caso del Patto di Sindacato RCS (regolato in funzione anti-Ricucci), l’ingresso di nuovi azionisti non avviene mai attraverso immissione di capitali freschi, come oltretutto sarebbe, perlomeno in astratto, auspicabile nel caso di un grande gruppo bancario come Unicredit, ma attraverso rastrellamenti in Borsa ed acquisizioni progressive.

Il problema dunque è il potere.

I libici sono noti per essere stati soci stabili e stabilizzatori di Fiat, da lungo tempo; e in verità nessuno a Torino ha mai avuto motivo di dolersi del Colonnello Gheddafi quale socio. Il problema, lo evidenzia bene Massimo Mucchetti sul Corriere di ieri, è l’ingresso di fatto di un fondo sovrano, extra-UE, dunque non controllabile né verificabile in base al principio del mutuo riconoscimento, nella prima banca del Paese, quella più internazionalizzata. Al di là delle questioni di opportunità, senza entrare nel merito del rispetto di regole spesso farisaiche -i “comitati governance” non sono altro che organismi che decidono chi possa contare e chi no nei consigli di amministrazione- restano molte domande, che il ruolo ambiguo di Profumo non chiarisce. L’A.D. di Unicredit precisa di non avere chiamato i libici, però non ha informato Rampl; e sono note le sue difficoltà con le Fondazioni, in passato felici di passare alla cassa, ora meno soddisfatte della gestione. Infine, è solo un caso che la notizia sia quasi contemporanea a quella della pittoresca visita dell’amico Gheddafi a Roma?