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Capitalismo Imprese Stato

Marketing & moralismo. Nello Stato (!?) si realizza l’essenza dell’Eticità.

Marketing & moralismo. Nello Stato (!?) si realizza l’essenza dell’Eticità.

Così recita una pagina pubblicitaria sul Corriere di oggi, per Brunello Cucinelli. Non c’è molto da dire, solo rammentare che lo Stato etico per eccellenza era quello nazionalsocialista: a rovistare nella costituzione del Soviet, probabilmente anche l’URSS rappresentava lo Stato etico. Non saprei. Mi chiedo solo se Cucinelli sapeva quel che faceva il suo pubblicitario mentre predisponeva l’inserzione, di un moralismo che fa rabbrividire.

 

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Borsa Imprese profitto

Dividends and cash flow do matter (non sappia la tua destra quello che fa la tua sinistra 2).

Dividends and cash flow do matter (non sappia la tua destra quello che fa la tua sinistra 2).

E sempre a proposito di finanza etica, nella stessa storia di copertina di Plus24 di cui ci si è occupati ieri, appare un’intervista al prof.Perrini, a cura di A.Criscione, che fa “il punto con Francesco Perrini, direttore del Cresv (Centro Ricerche su Sostenibilità e Valore) presso l’Università Bocconi. Il quale spiega come il filtro dell’«etica» permetta di evitare spesso situazioni spiacevoli e ricorda come Parmalat fosse inciampata sulla trasparenza in questo tipo di valutazione ed esclusa dai fondi etici prima del crack finanziario. Innanzitutto cosa è la finanza etica? Il secondo termine forse oscura il primo e più che alla finanza e quindi agli investimenti, poi si pensa alla beneficenza e alle buone azioni.
È vero. Il termine “etica” da noi crea qualche complicazione. Tanto che nel mondo anglosassone si parla di investimenti sostenibili e l’acronimo più corretto Sri, socially responsible investing, in italiano dovrebbe essere «risparmio gestito in modo socialmente responsabile». Preferisco per questo: finanza sostenibile nella dimensione finanziaria sociale e ambientale. In Italia è però ormai in uso il termine di finanza etica ed è vero che “etica” oscura “finanza”. Anzi può creare fraintendimenti perché non fa pensare immediatamente a quello che invece è chiaro nel resto del mondo, ovvero che si investe in imprese che rispettano tutta una serie di parametri.
Quali parametri?
Sono essenzialmente tre: la responsabilità sociale, la sostenibilità ambientale e la trasparenza nella corporate governance, che si aggiungono ai classici criteri di valutazione di tipo finanziario relativi alle azioni e alle obbligazioni. Questi criteri permettono di selezionare quei titoli che nel tempo danno i migliori risultati e minori rischi.”

L’intervista prosegue fino al punto in cui Perrini, a domanda, risponde: “A cosa è dovuta la “tenuta” di questi titoli?
Certamente se compriamo un titolo di aziende che rispettano parametri di responsabilità sociale, di sostenibilità ambientale e di trasparenza nella governance, che perciò hanno una serie di rischi inferiori e una aspettativa di sopravvivenza superiore, rendono un po’ di più degli altri.”

L’affermazione è un po’ apodittica e lascia perplessi, così come altre nel corso dell’intervista; che d’altra parte, appunto, è un’intervista e non un saggio accademico, al quale richiedere fonti e citazioni bibliografiche.

Mi resta una domanda: la performance (vedi Prospetto nei Documenti) di un fondo come il Vice Fund, che dal 2002 batte regolarmente l’indice S&P 500, nel 2012 è tornato ai livelli precedenti il 2009 e che investe in titoli di aziende che si occupano di armi, case da gioco, tabacco e bevande alcooliche come si spiega?

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Banche

Non sappia la tua destra quello che fa la tua sinistra.

Non sappia la tua destra quello che fa la tua sinistra.

Il precetto evangelico sottolinea la virtuosità dei comportamenti di coloro che compiono opere di bene e le tengono nascoste, non se ne vantano, non tengono comportamenti farisaici, tipici di coloro cui Gesù Cristo si rivolgeva. Lo stesso precetto, ma decisamente distorto, sembra presiedere alle scelte di quelle banche, Monte dei Paschi in primis, che, come afferma Vitaliano D’Angerio sulla storia di copertina di Plus24 di ieri, si fanno un “esame di coscienza“, promuovendo investimenti etici. E’ nota l’avversione di JM al moralismo che presiede certe scelte, rese possibili, appunto, dal non sapere la destra quel che fa la sinistra. Sono paradossali, al riguardo, due esempi, entrambi ripresi nel reportage. Il primo riguarda proprio Monte dei Paschi, che mentre dichiara solenni principi morali nelle proprie scelte etiche, dall’altra non si scompone nell’impacchettare derivati ed altri prodotti similari per la propria clientela (a tacere della performance della banca, su cui è meglio tacere per non stancare il lettore ferragostano di queste note). Dall’altro c’è la stessa Banca Etica le cui scelte, appunto, etiche, sono rese possibili, per esempio, dall’applicazione di prezzi e tariffe tutt’altro che popolari ai propri utenti, è il caso di dirlo, aficionados. Peraltro lo stesso giornalista cita, a supporto dell’etica delle scelte della banca, innumerevoli esempi di finanziamento di impianti fotovoltaici, sulla cui effettiva sostenibilità e convenienza mi sono persino annoiato di parlare. Resta un interrogativo: quando sarà finita la sbornia delle rinnovabili, a cosa si dedicheranno gli etici amministratori delle (poche) banche etiche?

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Banche Lavorare in banca

Se scioperano i bancari rossi, si meritano Profumo.

Se scioperano i bancari rossi, si meritano Profumo.

La notizia dello sciopero, il primo dopo 14 anni, dei dipendenti del Monte dei Paschi di Siena, colpisce per varie ragioni. La più banale delle quali potrebbe essere, sia detto con il massimo rispetto, che i lavoratori sputano nel piatto dove mangiano (o mangiavano) molto bene. Come riferisce Il Sole 24 Ore, in strada, a dare solidarietà ai manifestanti, ci sono anche il sindaco di Siena, Franco Ceccuzzi e il presidente della Provincia, Simone Bezzini – entrambi contestati dai manifestanti -, cioè i grandi “capi” di Mps (nominano rispettivamente 8 e 5 membri, sui 16 totali, dell’organo di indirizzo della fondazione), che non sono voluti mancare «a questa grande manifestazione civile».

Ecco, proprio l’ipocrisia della frase dei due uomini politici fa riflettere, soprattutto ripensando a certe performances della banca senese. Forse qualcuno a Siena pensava ancora di avere una banca speciale, una banca “antropologicamente” diversa, come tanto moralismo vuole siano le iniziative progressiste, o presunte tali, a prescindere da un reale giudizio di valore. O forse, più banalmente, ci si è accorti che, alla fine, dichiarare i valori senza praticarli non solo non genera profitti di lungo periodo ma, soprattutto, mette a repentaglio posti di lavoro. Monte Paschi è (era?) una grande banca, che ha saputo mettere a frutto la propria vocazione di banca locale nel miglior modo possibile. La stessa vocazione che è stata tradita, inseguendo dimensioni non consone a quelle di un competitor locale (si pensi allo strapagato acquisto di Antonveneta) e praticando facili scorciatoie nella vendita dei prodotti finanziari ai clienti (e qui è facile ricordare certi prodotti, come ForYou, o la spinta a vendere derivati alle Pmi tipica degli ultimi anni). Ecco, se scioperano i bancari della banca più rossa d’Italia, forse è perché sono ritornati ad essere una banca come le altre, che deve fare profitti per sopravvivere, tagliando i costi. Una banca che si merita, alla guida,  un uomo con poche ideologie moralistiche, un uomo che pensi solo alla creazione di valore. Alessandro Profumo.

 

 

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Barack Obama Rischi Stato USA

Fare sempre di più (cioè “lasciar fare” sempre di meno).

Fare sempre di più (cioè “lasciar fare” sempre di meno).

New York, Subway, july 2011

Il principio di precauzione è una bestia strana, che risale almeno al “Vorsorgeprinzip”, il cardine della politica ambientale tedesca degli anni Settanta il quale imponeva di “provvedere prima” ai disastri (nel senso: meglio prevenire che curare). In realtà alcuni scavano ancora più indietro, risalendo ora agli anni Cinquanta, ora alla fine dell’Ottocento, ma tutti riconoscono l’importanza della figura di Hans Jonas e del suo “Principio di responsabilità”. Il principio di precauzione piace al movimento verde, piace agli interventisti economici, piace ai governi e piace alle organizzazioni internazionali, perchè fornisce a ciascuno di questi attori una fortissima giustificazione morale per “fare” sempre di più (cioè “lasciar fare” sempre di meno), ossia, per dirla in modo un poco datato, per pianificare. Proprio in un documento dell’Onu, la Dichiarazione di Rio del 1992, sta la formulazione canonica del principio: “Laddove vi siano minacce di danni seri o irreversibili, la mancanza di piene certezze scientifiche non potrà costituire un motivo per ritardare l’adozione di misure economicamente efficienti volte a prevenire il degrado ambientale”. Il richiamo alla “cost effectiveness” è la parte più trascurata del principio. Infatti esso rappresenta un salto quantico rispetto alla tradizionale analisi costi-benefici, perchè l’accento si sposta interamente dal lato dei costi, l’onere della prova ne viene conseguentemente ribaltato (per poter fare, devo provare che non danneggerò nessuno), e l’enfasi è tutta sull’abolizione del rischio, mentre nessuna attenzione rimane per le possibilità colte oppure perse. Nelle parole di Aaron Wildavsky, lo scienziato sociale autore di “Searching for Safety”, esistono due tipi di approccio: per “tentativi ed errori” oppure per “tentativi senza errore”. Scrive: “Secondo la dottrina del ‘tentativo senza errore’ nessun cambiamento verrà consentito se non c’è una solida prova che la sostanza o l’azione proposta non farà alcun male… E’ vero che senza tentativi non possono esserci errori; ma senza questi errori, ci saranno anche meno insegnamenti”. Per Wildavsky, chi non risica non rosica, e soprattutto non impara. Poichè la dimensione dell’apprendimento è fatalmente collettiva, l’avversione al rischio demolisce il processo di creazione della conoscenza (in senso ampio, il mercato) e impoverisce tutti, intellettualmente, tecnicamente e finanziariamente. Gli esempi sono numerosi.

Carlo Stagnaro, Il Foglio, 30 agosto 2011

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Banche Silvio Berlusconi

Did not appear.

Did not appear.

Bloomberg dà notizia dello stipendio della neo-nominata direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, il cui emolumento è fissato in circa 467mila dollari, specificando che nel contratto dell’ex-ministro delle finanze francese è stata inserita una clausola etica, che recita:“As managing director, you are expected to observe the highest standards of ethical conduct, consistent with the values of integrity, impartiality and discretion,” (..)  “You shall strive to avoid even the appearance of impropriety in your conduct.” The requirements on ethics did not appear in the contract of her predecessor, Dominique Strauss-Kahn, who resigned in May after being charged with sexual assault.

Siamo certi che la signora Lagarde si saprà ben comportare: oltretutto gode del credito concesso ad una donna in quanto tale, peraltro definita da Forbes una delle più potenti del pianeta. Non pensiamo però, nonostante il moralismo che sulla vicenda ci è stato ammannito (non ultimo, dallo stesso sindaco Bloomberg a proposito della perp-walk) che Dominique Strauss-Kahn abbia demeritato. E della sua vita privata non ci importava granché, purché facesse bene il suo lavoro. Allo stesso modo, riteniamo che il Presidente del Consiglio possa spendere il suo tempo ed i suoi soldi come meglio gli aggrada: nel contempo, avendolo a suo tempo sostenuto, gradiremmo facesse ciò per cui è stato eletto, ovvero lavorasse per il bene comune. Al riguardo, ci sta venendo qualche dubbio.

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Lavoro

Nemmeno nel vangelo esistono pasti gratis.

Nemmeno nel Vangelo esistono pasti gratis.

(..) Nel Vangelo l’amore è chiesto da Dio, non imposto da Cesare: non vi si adombra in alcun modo la vigente dittatura dell’altruismo. Nel Vangelo il buon samaritano paga il locandiere perché si prenda cura del ferito, non pretende che lo ospiti a sue spese. Nemmeno nel Vangelo esistono pasti gratis, salvo quelli allestiti da Gesù in persona. Chi non essendo Figlio di Dio si comporta come se fosse umanamente possibile moltiplicare pani e pesci è un falso profeta, oltre che un cialtrone.

Camillo Langone, Il Foglio, 1 aprile 2011

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Banche Imprese

Etica della responsabilità.

Etica della responsabilità
Riferire ogni comportamento all’etica della responsabilità, che impegna ad essere sempre orientati al servizio, all’integrità e alla trasparenza, alla correttezza negli affari, alla salvaguardia dell’ambiente ed al rispetto di tutte le persone.
Orientamento al cliente
Sviluppare l’ascolto e quindi l’attenzione alle relazioni con i clienti, migliorando la qualità dei servizi forniti e la customer satisfaction attraverso una costante attenzione all’efficienza e all’efficacia nei processi di produzione e di erogazione dei servizi stessi.

Monte dei Paschi di Siena, Valori e principi

Il 2009 è stato un anno complicato per la finanza e per l’economia italiana in generale. Un anno in cui il prodotto interno lordo è diminuito del 5%, in cui abbiamo avuto un aumento estremamente significativo della cassa integrazione, del numero dei disoccupati, delle famiglie in difficoltà, delle imprese che non riuscivano a mantenere i fatturati necessari a sostenere il proprio ciclo economico. In questo contesto, non avere smarrito la vocazione tradizionale della nostra Banca, quella di banca vicina al territorio, con un profilo profondamente retail e che mantiene la sua natura a prescindere dalle condizioni del mercato, ci ha consentito di navigare in un mare difficile senza perdere la rotta. Dentro questa navigazione, coscientemente, abbiamo perso forse delle opportunità, ci siamo rifiutati di assumere determinati rischi, siamo rimasti legati ad un concetto di ricavi tradizionali ricorrenti; e tutto questo trova la sua compiuta raffigurazione nel conto economico di fine anno.

Monte dei Paschi di Siena, Bilancio sociale 2009.
Ecco perché scegliere come banca Monte dei Paschi di Siena. Ecco perché, se in un derivato (venduto come assicurazione) il nozionale è il doppio del fido accordato, si tratta sicuramente di un’operazione orientata al servizio, all’integrità, alla trasparenza.


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Educazione Regno Unito Università

Né veline, né tronisti (questioni morali).

Una di queste studentesse – occhi limpidi e lentiggini sparse – avanzava fieramente fra la folla brandendo un cartello con la scritta: “E va bene, vorrà dire che farò la spogliarellista”. Lo slogan, molto più sintetico in inglese, intendeva essere graffiante ma rivela lo spirito intrinseco della sua generazione. Migliaia di sue coetanee sono state inconsapevolmente educate dalla società commerciale britannica ad affollare catene come Primark o Topshop (a seconda del ceto) che si fanno un vanto della dicotomia “ama la moda, odia i prezzi”. Pavlovianamente rispondono a questi principii: tutto dev’essere acquistabile, siano dei jeans fucsia o la laurea in lettere antiche; bisogna pretendere sempre di comprare il meglio; bisogna trovare una maniera di pagarlo il meno possibile; se non si ha denaro per l’acquisto bisogna barcamenarsi a tirarlo su in ogni maniera, facendo lezioni private o la spogliarellista. Bene, andate a dirlo ai pari età italiani, che a Pavia ho visto agitare cartelli con su scritto “Né veline né tronisti”. Costoro rispondevano all’impulso opposto, allineandosi alla seriosa retorica genitoriale del non-si-fa, applicata a ogni risultato che possa essere conseguito non con lacrime sudore e dedizione ma con una strada scintillante di lustrini.
Fondete i cortei italiani e britannici e vedrete che dopo mezz’ora inizieranno a darsele di santa ragione, avendo scoperto che pur rassomigliandosi protestano per ragioni opposte: gli italiani per l’ideale che la cultura non si compri, i britannici perché esigono un forte ribasso. In particolare sarebbe interessante mettere faccia a faccia la studentessa che a Pavia brandiva la scritta “Il futuro non è un marito ricco” con quella che a Londra protestava: “Se non vado all’università non incontrerò mai il mio principe azzurro”.

Antonio Gurrado, Il Foglio 11 dicembre 2010

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Banche Crisi finanziaria Lavorare in banca Lavoro

Meglio senza-tetto.

Il Senato della Repubblica ha approvato un emendamento che prevede un tetto per i compensi dei manager bancari, che non potranno superare le indennità dei parlamentari. La questione, ad evidenza, non può essere ridotta ad una semplice valutazione di opportunità, dal momento che è chiaro a tutti come i compensi dei manager bancari, fin troppo collegati a performances di breve periodo, abbiano contribuito a fornire propellente alla crisi finanziaria ed ai suoi effetti sull’economia reale.

Il metodo, tuttavia, non sembra dei migliori. A prescindere dall’autore dell’emendamento, appartenente al gran partito dei moralisti, l’IDV -circostanza che dovrebbe far riflettere sul realismo della proposta- l’emendamento pone vari problemi, soprattutto in tema di libertà economica e di decisioni manageriali. I compensi dei manager, di tutti i manager, esclusi quelli delle imprese pubbliche, dovrebbero essere lasciati nella loro determinazione alla libertà del soggetto economico: diversamente, la proposta profuma molto di dirigismo, oltre che di populismo, il che non sembra un fatto positivo.

Quanto ai manager, la decisione, più che un tetto, sembra un incentivo per avviarli verso carriere altrettanto dorate fuori dal settore finanziario. Senza alcuna garanzia che coloro che accetteranno di assumersi responsabilità, al prezzo della carriera di un deputato, sappiano fare di meglio.