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Guardie e ladri.

Guardie e ladri.

C’è un rincorrersi quasi malinconico nelle notizie di queste giorni, memori della Grande Crisi 2008-2018 (molto più lunga e devastante, a mio avviso, di quella del ’29), come se si scoprisse all’improvviso che le banche (i ladri) rischiano e quando lo fanno, coefficienti patrimoniali o no, lo fanno perlopiù con i soldi degli altri, ovvero dei risparmiatori, con le autorità di vigilanza (le guardie) che spesso intervengono a misfatto ormai compiuto.
Dalla constatazione che le banche lavorano con i soldi degli altri nasce l’atteggiamento un po’ “feroce”, almeno all’apparenza, del regolatore americano, che gli istituti di credito li lascia fallire, e non per distrazione, anche se si tratta della 16ma banca degli USA (SVB), quasi che ciò servisse naturaliter a educare i risparmiatori a scegliere la propria banca in base alla comunicazione trasparente che la banca fa (?) e alla percezione che di essa ha il cliente del grado di rischio medio ponderato contenuto nelle attività delle banche.
In poche parole, se ti scegli una banca, prima dovresti averne letto i bilanci e compreso il grado di rischio, compreso il CET 1 ratio o il Texas Ratio.
Velleitario o ingenuo che sia, questo è l’atteggiamento a stelle e strisce, che funzionerebbe meglio, forse, se fossero praticate maggiormente la trasparenza e la cooperazione: nel caso americano, ma non solo, questo vuol dire applicare effettivamente le regole degli accordi di Basilea, che anche gli USA hanno sottoscritto (la trasparenza e la comunicazione sul grado di rischio) ovvero erigere il pilastro da sempre -perlomeno da Basilea 2- mancante nella costruzione degli assetti volti ad assicurare la stabilità dei sistemi finanziari.
Trasparenza sul grado di rischio che tuttora manca anche nel Belpaese (in Italia la comunicano nella pubblicità solo Mediolanum e Mediobanca, a mia notizia, e pochi altri: e la comunicano perché hanno requisiti di capitale assai elevati) così come manca la cooperazione. Se Miss Universo dichiara di essere una bella donna, oltre che volere la pace nel mondo, nessuno le dirà nulla, semplicemente perché è vero. Se la figlia del rag.Fantozzi facesse altrettanto, la smentita sarebbe altrettanto unanime e, probabilmente, più fragorosa.
Ricordo come, nel corso di un viaggio di studi presso la British Banks Association, il funzionario che mi ricevette mi donò, con giusto orgoglio, il report contenente una classifica che la stessa associazione promuoveva, basata sul livello della qualità dei servizi offerti dalla banca così come percepito da un cliente tradizionalmente debole sotto il profilo finanziario, le PMI.
Trasparenza e cooperazione -le banche, in competizione tra loro, rendevano tuttavia possibile la compilazione della classifica, aspirando a primeggiare in essa
-, in un sistema bancario dove già all’epoca (1998) si facevano i mutui on line: questa vicenda, che purtroppo non ho più seguito, insegna che non può trattarsi di una semplice questione di regole, ma di una attitudine e di una cultura che non si creano per legge o per normativa regolamentare.
Direi piuttosto che il tema è di cultura ed educazione finanziaria, quella che dobbiamo trasmettere quando spieghiamo in università ma anche quella che si respira nel sentire comune, quella che viene fuori dalla cosiddetta economia civile, dall’impresa, dal lavoro.
La fatica che ho notato presso le banche nell’accettare la normativa degli EBA-LOM, la sua scarsa o nulla conoscenza presso le imprese e spesso presso gli stessi lavoratori bancari, riflettendo che nel documento si invoca “la diffusione di una forte cultura del rischio di credito”, mostrano che le regole non funzionano se non sono fatte proprie all’interno di una visione e di una concezione del fare banca (e del fare impresa) che chiariscano in modo trasparente la missione e lo scopo dell’agire dell’impresa stessa, bancaria e non, e che lo sottopongono al mercato.
Non si tratta solo di sottolineare l’importanza della comunicazione non finanziaria nei bilanci di imprese, le PMI italiane, che faticano a spiegare il minimo sindacale, ma di qualcosa di maggior spessore, che va al di là degli adempimenti formali. La trasparenza e la cooperazione sono un lavoro quotidiano, che non si insegna: si impara praticandole.
Abbiamo di che lavorare, nelle università, nelle banche, nelle imprese.

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Alessandro Berti Analisi finanziaria e di bilancio Banca d'Italia Banche Capitale circolante netto operativo Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese Mario Draghi PMI

E la chiamano estate.

E la chiamano estate, questa estate senza te. Senza Mario Draghi, che rimane la governo per il disbrigo degli affari correnti, senza quel buon senso e quell’operosità che pareva aver preso la politica italiana da oltre un anno e che stava dando i risultati sperati, quelli che ogni cittadino sa che servono per il bene comune, se il bene comune è ancora un concetto civico dotato di valore.

Non voglio e non oso pensare a un Governo guidato dall’attuale leader dell’opposizione, ma i segnali non sono confortanti: e sono anche segnali di disimpegno di quel mondo bancario, quello che teoricamente dovrebbe essere maggiormente vicino alle PMI, che si preoccupa più della quantità che della qualità. Nel mentre a una micro-impresa si richiede un business plan per l’anno prossimo da parte di una grande banca di interesse nazionale, altri istituti decidono che si deve lavorare a tutti i costi e che per lavorare bisogna abbassare l’asticella: della qualità delle informazioni finanziarie e quindi della comunicazione finanziaria, della possibilità di instaurare un rapporto banca-impresa finalmente serio e concreto, basato su dati reali e su una relazione aperta, sincera, trasparente, evidentemente non importa a chi è preoccupato solo del giorno per giorno e, udite udite, spinge sulla rete per la vendita delle polizze.

E’ un’estate triste, ma l’autunno potrebbe essere peggio. questo blog si prende una pausa, anche se interventi, dibattiti, opinioni diverse saranno sempre bene accolte. Se scrivete, in altre parole, qualcuno vi risponderà. Una cosa si può dire, sulla quale posso assicurarvi il massimo impegno: di fronte a tutto questo si può solo lavorare bene, sapendo che, fino a quando non hai fatto tutto, non hai fatto niente.

Buona estate.

J.M.

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ABI Banche Crisi finanziaria Imprese Indebitamento delle imprese informazione PMI Relazioni di clientela

Piani (?) di rientro.

Piani (?) di rientro.

Sul Sole 24Ore di lunedì 23 maggio, un articolo a firma di Sandro Feole prende in esame i temi suscitati dal dibattito sull’iter negoziato per la composizione delle crisi d’impresa introdotto dal Dl 118/2021. Il tema è certamente scottante e riguarda le garanzie rilasciate da SACE e MCC che, una volta escusse, godrebbero del privilegio generale ex art.8 bis del Dl 3/2015, al contrario delle offerte transattive formulate alle banche, da considerarsi chirografe. Per avere un ordine di grandezza della questione, di parla di oltre 200 miliardi di € di crediti concessi a una platea di micro e Pmi di circa 2,5 mln di soggetti.

Nel regolamento a suo tempo emanato dal Ministero per lo sviluppo economico, in tema di procedura telematica che la banca può attivare per escutere le garanzie, si afferma che la stessa non può essere attivata se l’impresa non offre almeno il 15% di quanto dovuto: difficile non pensare alla miriade di concordati in bianco, dove le percentuali sono, nei fatti, di qualche decimale superiori allo zero. 

Come giustamente ricorda l’articolista la scelta spetta all’istituto di credito, che dovrà valutare la convenienza alternativa tra liquidazione e diniego, sbarrando la strada all’accordo e aprendo la strada alla procedura concorsuale più penalizzante e certamente non voluta dal legislatore, il fallimento.

Giustamente, tutta la legislazione recente in tema di crisi d’impresa cerca di garantire la continuità aziendale, ritenuta ormai “scopo primario” se non ultimo, delle procedure concorsuali, superando la vecchia concezione liquidatoria della par condicio creditorum: le modifiche del CCII propongono, d’altra parte, un termine di due anni per i piani di rientro. 

La questione proposta da Feole in finale dell’articolo è, tuttavia, “la questione”: usare gli stand still già proposti dalle banche, a patto che siano compatibili con le classificazioni a UTP o NPL. Qui rientra o, se si vuole, cade l’asino di tutta la vicenda: sulla base di quali presupposti analitici, previsioni basate su assumptions ragionevoli le banche faranno tali valutazioni, posto che a tutt’oggi risulta faticoso ottenere (forse ancora di più: decidere di chiedere!) un business plan a imprese in bonis? Ricordando, in maniera del tutto incidentale che siamo di fronte a una UTP ogni volta che l’impresa non è in grado di rimborsare le proprie obbligazioni passive se non attraverso l’escussione delle garanzie. Valutazione, ricordiamolo, lasciata alla discrezionalità della banca, a norma EBA, anche per i debiti in moratoria. Message in a bottle da un amico di un ufficio fidi, grossa banca del Nord-Est: “Ci chiedono la valutazione del DSCR prospettico 2022 (!) ma qui è già tanto che ci abbiano mandato i bilanci 2020”.

Tante care cose.

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Banche

Il fatturato è vanità, l’utile è verità, la cassa è realtà.

Il fatturato è vanità, l’utile è verità, la cassa è realtà.

Chi mi segue, nelle varie occasioni nel corso delle quali ho avuto modo di intervenire sui temi della gestione aziendale, conosce bene il significato di questa frase, pronunciata non da ultimo dal presidente di una popolare e nota squadra di calcio piemontese.

Paradossalmente è proprio al mondo del pallone cui si potrebbe cucire addosso la frase che apre questo articolo: certo parlando di soldi (nuovo Stadio più CR7 non significano che vincerai la Champions) ma anche parlando di passaggi riusciti e di possesso palla. Che ti assicurano, questo è certo, che la palla sia in mano agli avversari il meno possibile ma che non garantiscono il risultato finale. Come per la squadra del cuore di chi scrive che, due campionati fa, perse proprio al termine di una gara dominata per possesso palla e per passaggi, ma senza riuscire a fare gol, anzi, prendendone uno. Tre punti in meno che valsero il penultimo scudetto assegnato alla seconda squadra di Torino.

Majora premunt e dunque ritorniamo a parlare di imprese; lo facciamo anzitutto riproponendo a tutti il webinar di giovedì 4 novembre prossimo venturo (ore 9.00-12.30) e poi aggiungendo qualche considerazione più adatta al momento storico. Mentre scriviamo queste note, si apre la COP 26 a Glasgow e mai come in questi giorni è apparso chiaro che i problemi -del clima e dello sviluppo globale- non si risolvono da soli (“Non c’è sovranità nella solitudine” ha detto, insediandosi, il nostro Presidente del Consiglio), ma con la cooperazione di tutti, quel famoso multilateralismo che a qualcuno non piace ma certo è stato più efficace di tanto sovranismo.

Così come, ritornando a cose più domestiche, è ormai abbastanza evidente che i temi del rapporto banca-impresa, un tempo ridotti essenzialmente a poche questioni (la conoscenza diretta, l’esistenza di garanzie etc…) sono molto più ampi, investendo la regolamentazione, sanzionando la negligenza, esigendo una piena e trasparente comunicazione finanziaria, richiamando a comportamenti virtuosi le banche anche con le sentenze sulle concessioni abusive di credito. 

Insomma, come diceva qualcuno, si deve tenere conto della realtà secondo la totalità dei suoi fattori, che non sono più (soltanto) economici, finanziari e patrimoniali, ma sono di sostenibilità, ambientale certo, ma anche di governance, di criteri di gestione, di diligenza e maturità professionale di tutte le parti in gioco. Per questo invito tutti, nel solco di una sempre più ampia proposta di temi di discussione, anche al webinar (sempre su http://www.reaconsulting.com) sulla gestione delle crisi di impresa.

Perché per lavorare male, non serve molto studio, a taluno basta applicare il proprio naturale talento. Ma a lavorare bene, non si finisce mai.

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Alessandro Berti Analisi finanziaria e di bilancio BCE Capitale circolante netto operativo Cultura finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese Moratoria dei debiti PMI

For absent friends.

For absent friends.

Immagine che contiene testo, erba

Descrizione generata automaticamente

Fra circa due mesi saranno 50 anni dall’uscita di Nursery Cryme, album leggendario dei Genesis, che contiene il brano di cui sopra. Era ed è progressive rock, per conto mio sufficientemente immortale da meritare celebrazioni e non solo personali: quando poi le parole o i titoli diventano qualcosa di concreto, di vissuto, il ricordo si fa più vivido e ti scatta l’idea per un titolo, per un commento, di contrabbando, sulla vita professionale e il lavoro.

Cynthia è la simpaticona della copertina che decapita l’amichetto Henry con la mazza da croquet: già, ma chi sono, fuor di metafora, gli “amici assenti” di una canzone memorabilmente inglese?

Gli italianissimi dottori commercialisti e, obviously, i loro clienti.

Usciamo da ogni metafora e ritorniamo all’oggi, settembre 2021, lieti delle parole del ministro Franco sulla ripresa del PIL nel corso del suo intervento conclusivo al workshop Ambrosetti. C’è la ripresa e guai a rovinarla con qualche obbligo supplementare, così ha detto il c.d. capitano, non si deve indulgere al pessimismo. E poi c’è il 110%, i soldi del Next Generation EU, la riforma del fisco, insomma perché essere preoccupati per gli assenti?

Non sono servite tante telefonate, nelle scorse settimane, per capire che il tema delle relazioni di clientela, così pesantemente “ribaltato” dagli Orientamenti EBA –ribaltato perché non sono più le banche a dover correre dietro alle informazioni negate da imprenditori riottosi a fornirle, ma il contrario– questo tema è quasi del tutto ignoto ai commercialisti. Così chiami il collega di una grande città del Nord Italia, che si occupa di fallimenti e che ha cominciato da un po’ di anni a capire che il ricorso abusivo al credito e la concessione abusiva di credito non erano solo temi per riviste specializzate in diritto concorsuale, e scopri che non solo non sa che esiste l’EBA ma, ovviamente, nemmeno che abbia emanato degli Orientamenti in materia di prestiti e di monitoraggio sui medesimi. 

Mi dice solo:”Devo studiare”. 

Poi ne chiami un altro, a Roma, amico di quello che ti ha chiesto di aiutarlo sul piano industriale di un’impresa di servizi e, parlando, viene fuori che si è vero, è stato fatto un aumento di capitale, ma rinunciando a un finanziamento soci e che lo aveva suggerito lui per non far andare in negativo il patrimonio netto: è fiducioso nella correttezza del suo operato, peraltro formalmente ineccepibile e gli chiedo se si senta tranquillo sugli esiti della gestione. Certo, dov’è il problema? Finora le banche ci hanno sempre seguito, abbiamo dato loro le garanzie, è quello che cercano, no? No. Vogliono le garanzie lo stesso ma vogliono soprattutto il reddito e i flussi di cassa. Vogliono la sostenibilità del debito. Vogliono che il rapporto tra posizione finanziaria netta ed Ebitda non superi 6 e che il DSCR sia superiore a 1,1. Mi risponde che il DSCR era nel vecchio schema legislativo del Nuovo (sic) Codice delle Crisi di Impresa, è stato riformato, rinviato, stravolto, che c’entra ora? C’entra che lo calcolano le banche e che sono obbligate a farlo, perché è una metrica, ovvero un indicatore obbligatorio di solvibilità: se sei inferiore a 1 con le vecchie performance e a 1,1 con quelle di previsione il tuo debito finanziario non è sostenibile.

Ma come fanno a calcolarlo per il futuro? O gli porti tu il piano industriale e quelli partono da quello che hai scritto e lo testano, verificando le assunzioni e la correttezza del loro sviluppo, oppure se lo fanno da soli, prevedendo tutto al ribasso…

Ah! Non lo sapevo.

For absent friends. God, have mercy on us. 

P.S.: se il tuo rapporto tra PFN ed Ebitda supera 6 (e verosimilmente anche il tuo DSCR non sta meglio) significa che sei un UTP o unlikely to pay, inadempienza probabile. Prima o poi qualcuno dirà che il Re è nudo.

P.P.S.: come dimostrano un po’ di simulazioni che abbiamo fatto su svariate società, per fare nuovi investimenti, in più di un caso, non bastano nemmeno i soli quattrini dell’imprenditore a copertura, ovvero tutto l’investimento fatto con equity. No, ci vuole anche capitale proprio per ridurre il debito e, soprattutto, per rimanere a galla. Ma ne deve valere la pena. 

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Alessandro Berti Banche Capitale circolante netto operativo Crisi finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI

La riforma (?) del codice delle crisi di impresa.

La riforma (?) del codice delle crisi di impresa.

Il decreto legge 118 pubblicato sulla G.U. del 24 agosto scorso individua un nuovo “percorso di aiuto delle imprese in difficoltà”, come recita l’articolo del Sole 24 Ore di Lucia Mazzei, introducendo la figura di un soggetto terzo e indipendente al quale sono affidati compiti assai importanti, dalla valutazione della effettiva situazione aziendale -e di conseguenza delle sue effettive possibilità di rilancio- fino all’individuazione delle ipotesi di fuoriuscita dalla crisi e all’assistenza all’imprenditore. Come sottolinea l’articolo il percorso è “del tutto volontario ed extragiudiziale” e sarà operativo a partire dal 15 novembre p.v.: slitta addirittura al 31.12.2023 il sistema di allerta automatico ed obbligatorio previsto dalla stesura originaria del Codice delle Crisi d’impresa, ovvero quella che venne poi a deragliare con i provvedimenti emergenziali emanati a seguito della pandemìa (dal Decreto “Liquidità” in poi). Non a caso l’Ordine nazionale dei dottori commercialisti invoca, al riguardo, l’avvio di un processo di riforma definitiva del Codice stesso.

Se è evidente l’intento del provvedimento, ovvero evitare l’aggravarsi delle crisi aziendali a seguito del lockdown, meno evidente appare la sua organicità rispetto alla situazione normativa nella quale operano le banche, caratterizzata dall’entrata in vigore degli Orientamenti EBA dal 30.6.2021. Gli istituti di credito, come è agevole ricordare, sono sovente i principali creditori dell’impresa in difficoltà, insieme all’Erario e agli Enti previdenziali e il realismo imporrebbe che si tenesse conto delle loro esigenze, non appena gestionali ma, soprattutto in questo momento, di natura normativa.

Che le banche siano imprese lo dice a chiare lettere la riforma operata con il T.U.B. del 1993, ma che le banche siano imprese speciali, destinatarie perciò stesso di una legislazione ad hoc e di un sistema di vigilanza dedicato non deve essere mai dimenticato: non a caso il Position Paper n.30 (agosto 2021), “Rischio di credito 2.0” dell’AIFIRM (Associazione Italiana Financial Industry Risk Managers) parla esplicitamente di un quadro normativo che nel tempo è andato allargandosi, a partire da Basilea 2, fino ad arrivare alla trattazione di aspetti fino a quel momento dati per scontati o, più semplicemente, demandati alla prassi.

È proprio il documento in parola, i cui Autori sono stati coordinati dall’autorevole Collega prof.Giacomo De Laurentis, che sottolinea il rischio che, fra le conseguenze degli Orientamenti, vi sia un credit crunch, un razionamento del credito certamente, almeno all’apparenza, improvvido, in questo momento storico: il che, d’altra parte, sarebbe coerente con gli intenti dichiarati degli Orientamenti EBA, ovvero quelli di prevenire pro-attivamente il deteriorarsi del credito fin dall’origine. Teoricamente i due provvedimenti convergono sul tema dell’evitare la deflagrazione della crisi d’impresa e delle sue conseguenze, ma sarebbe troppo ingenuo immaginare un immediato automatismo, senza riflettere su alcuni aspetti.

Il Decreto Legge 118, infatti,  pone almeno due ordini di problemi:

  1. la reale professionalità e le reali competenze di commercialisti, avvocati e consulenti del lavoro in materia bancaria, rispetto alle quali è lecito nutrire qualche dubbio, alla luce delle ben note lacune in materia di normativa bancaria e di una visione spesso ancorata ad un passato (il valore delle garanzie in primis): sotto questo profilo non resta che augurarsi che i corsi di formazione di cui parla il DL e i cui contenuti dovranno essere definiti dal Ministero della Giustizia entro il 24 settembre, siano imperniati sui temi della valutazione dell’equilibrio economico e finanziario storici e prospettici, sulla programmazione finanziaria, sulla corretta determinazione dei fabbisogni finanziari d’impresa;
  2. la reale volontà e consapevolezza degli imprenditori (e dei consulenti che li assistono), di assoggettarsi a un processo che, su basa volontaria, inevitabilmente metterà in luce le criticità della gestione, magari fino a quel punto sottaciute o ignorate: in altre parole, il tema che si pone è senza dubbio quella della tempestività, problematica che da sempre affligge le imprese in crisi, la cui auto-coscienza si rifiuta, sovente, di guardare in faccia alla realtà.

L’indipendenza del professionista coinvolto nella composizione negoziata della crisi  e la sua terzietà da sole non bastano, del resto se, sia pure volontariamente, si pone mano al tema della crisi d’impresa quando ormai è troppo tardi o quando il processo di degrado delle condizioni di gestione è pressoché irreversibile. Il tema, in altre parole, è squisitamente di natura culturale e riguarda non solo i professionisti, la cui cultura d’impresa si è comunque fortemente accresciuta negli anni, ma soprattutto gli imprenditori, ancora prigionieri di una mentalità che considera il fallimento come una condanna, anziché come una possibilità, e la crisi come un problema che è meglio rimandare il più avanti possibile, come quasi sempre si è fatto nel passato, inseguendo spesso soluzioni finanziarie anziché economiche, di rinvio delle scadenze anziché di ripensamento del business model.

Solo così, a ben riflettere, sarà possibile che l’ennesima riforma delle crisi d’impresa non si traduca in un provvedimento utile tutt’al più a soggetti interessati esclusivamente ad incarichi professionali, ma agevoli il cambiamento della mentalità delle imprese e di coloro che le assistono.

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79 anni e non sentirli (sull’art.218 del RD 267/42).

Uno dei migliori che io abbia mai assaggiato, se non il migliore. Purtroppo non è lo sponsor di questo blog.

E così la Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n.18610, proprio il 30 giugno, ha stabilito (per l’ennesima volta) la responsabilità della banca nell’erogazione abusiva del credito all’impresa in crisi.

Nell’affrontare il tema, la Suprema Corte intitola il paragrafo 3.2.1. “I doveri dell’operatore bancario” e individua come condotta illecita quella della “concessione abusiva di credito” con la quale “il finanziatore concede o continua a concedere, incautamente credito in favore dell’imprenditore che versi in stato di insolvenza o comunque di crisi conclamata”. Nell’integrazione della fattispecie, ovvero perché si verifichi la concessione abusiva di credito, (…) rilievo primario assumono, accanto alla regola generale del diritto delle obbligazioni relativa all’esecuzione diligente della prestazione professionale ex.art.1176 c.c., la disciplina primaria e secondaria di settore e gli accordi internazionali (sic).”

Il soggetto finanziatore, sulla base della disciplina dei cui sopra, (…) “è invero tenuto all’obbligo di rispettare i principi di c.d. sana e corretta gestione, verificando, in particolare, il merito creditizio del cliente in forza di informazioni adeguate.

Dunque, nell’affrontare un tema che risale a una legge che ha solo 79 anni, la Cassazione non solo fa presente che vi sono discipline primarie e secondarie, oltre che accordi internazionali, ma anche che, per usare le parole degli Orientamenti EBA, la banca deve valutare il merito di credito al meglio delle informazioni possedute al momento della concessione.

E quindi ancora per citare la suprema Magistratura, “è peraltro richiesto che, nella formulazione delle proprie valutazioni, la banca proceda secondo lo standard di conoscenze e capacità, alla stregua della diligenza esigibile da parte dell’operatore professionale qualificato, e ciò sin dall’obbligo ex-ante di dotarsi dei metodi, delle procedure e delle competenze necessari alla verifica del merito creditizio.”

Che EBA, 79 anni dopo, non stia dicendo nulla di nuovo lo testimonia il passaggio della sentenza che recita “in sostanza, sovente il confine tra finanziamento meritevole e finanziamento abusivo si fonderà sulla ragionevolezza e fattibilità di un piano aziendale.”

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Sul perché non possiamo non considerare l’ICR (interest coverage ratio) nella valutazione del merito di credito.

Se fossi un imprenditore e mi chiedessi: “ma cosa diavolo guardano le banche per prima cosa quando guardano i miei conti?”, non potrei più rispondermi, con la più classica delle facilonerie, “gli immobili” o “il capitale proprio” o “il fatturato”, il quale ultimo, come ben sappiamo, è vanità.

Gli Orientamenti EBA in vigore da ieri impongono, all’interno delle ormai ben note “metriche“, di considerare il cosiddetto Interest Coverage Ratio, o rapporto di copertura degli interessi passivi mediante il risultato operativo. Non esiste una graduatoria delle metriche più importanti, se nel documento una metrica è indicata va calcolata e basta: l’ICR è un indicatore notissimo, discriminante e predittivo, utilizzato sia in ambito accademico, sia in ambito professionale e dice una cosa molto semplice, suffragata da numerosissime ricerche empiriche, ovvero che il risultato operativo deve essere pari almeno al doppio degli interessi passivi.

In altre parole il valore considerato tranquillizzante è 2 o superiore, valori inferiori sono da ritenere tanto più preoccupanti quanto più si avvicinano a 1, per motivi facilmente intuibili. Da un lato che il risultato della gestione caratteristica copra a malapena il costo del debito finanziario farà dubitare della capacità di fronteggiarlo, quel debito, in termini di quota capitale; dall’altro, con il costo del denaro mai così basso da molti anni in qua, la vicinanza eccessiva tra i due importi potrebbe rivelarsi pericolosissima in caso di mutamenti sul mercato del credito (rialzo dei tassi, cambiamenti nelle politiche delle banche centrali etc…).

Infine, due precisazioni: la prima è che il reddito è il principale se non l’unico dei flussi di cassa idonei a rappresentare la capacità restitutiva o, come la chiama l’EBA, la fonte della capacità di rimborso; la seconda è che, come ben specificato nel documento in fase di “ricostruzione” dell’Ebitda, le componenti straordinarie devono rimanere fuori (e quindi il modello CE.BI., quello più in uso nelle banche italiane, è da rifare!).

Se ne riparla; e comunque, se volete fare un piccolo check-up alla vostra bancabilità, insomma se volete capire se siete EBA compliant, un po’ come nella foto di copertina, vi suggeriamo di fare un giro qua:

https://www.reaconsulting.com/utility/eba-compliance/

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Alessandro Berti Analisi finanziaria e di bilancio Banche BCE Capitale circolante netto operativo Educazione Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI

Admission

E così ci siamo arrivati, il momento è giunto: il conto alla rovescia che avevo iniziato ormai 9 mesi fa (pensando ogni volta: vedrai che lo rinviano), parlando in ogni occasione possibile e immaginabile (webinar, corsi di formazione in presenza e non, lezioni universitarie, stravolte nei metodi oltre che nei contenuti) è terminato, gli Orientamenti EBA si applicano da oggi alle nuove concessioni di affidamenti, a chiunque fatti, nonché al relativo monitoring.

Per i prestiti già esistenti aspetteremo un anno, ma riesce difficile immaginare un sistema bancario che, alla stregua di un Giano bifronte, esamina il passato come se nulla fosse accaduto e il presente adeguandosi alle nuove regole. Così come un razzo non arriva istantaneamente nel luogo dove è stato lanciato, così gli Orientamenti EBA cominceranno un po’ alla volta a farsi sentire nei confronti delle imprese, soprattutto di quelle PMI che hanno sempre mal sopportato la comunicazione finanziaria.

Tuttavia, da oggi e senza ombra di dubbio, le garanzie non possono più rappresentare il motivo prevalente per una decisione di affidamento: da oggi conta il reddito, i flussi di cassa, la sostenibilità del debito. Siamo consapevoli che tutto questo vada verificato con l’adeguata ampiezza temporale e spaziale: nel frattempo, con R&A Consulting, abbiamo preparato, per tutte quelle imprese e professionisti che vogliano cominciare a cimentarsi con le nuove regole, un piccolo strumento di facile utilizzo, un tool, come si dice: lo trovate qua.

https://www.reaconsulting.com/utility/eba-compliance/

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ABI Alessandro Berti Analisi finanziaria e di bilancio Banca d'Italia Banche BCE Capitale circolante netto operativo Crisi finanziaria Cultura finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Moratoria dei debiti PMI Vigilanza bancaria

Meno 1.

Sarebbe domani, sarebbe dalla mezzanotte. Anche oggi la rassegna stampa consente di affermare che il principale quotidiano economico italiano ignora la scadenza degli Orientamenti EBA, su LinkedIn solo il grande Collega Giacomo De Laurentiis, da sempre uno dei pochi veri appassionati circa il tema del rapporto banca-impresa, ha promosso, ormai una settimana fa, un incontro sul tema.

E allora continuiamo a parlare delle “nuove concessioni” almeno per capire quali potrebbero essere i punti di frizione, i problemi, le criticità che un rinnovato -almeno nelle regole dei criteri di concessione, nelle metriche e nei limiti- processo del credito, mai così pesantemente divenuto prescritto da parte del regolatore, comporterà per molte imprese.

Almeno per tutte quelle, e ci auguriamo che siano tante, che da domani andranno in banca a chiedere nuova finanza, per i loro progetti di sviluppo, per partecipare alle varie fasi del PNRR, per intraprendere, crescere, non fermarsi; perché lo stock di crediti già in essere resterà lì, quasi sospeso fino al 30.6.2022, una specie di standstill concettuale prima che effettivo, con le banche chiamate da EBA, tuttavia, a vigilare su tutte le esposizioni.

E, d’altra parte, le nuove concessioni potrebbero riguardare anche situazioni non proprio rosee o entusiasmanti, con performances non commendevoli fin da prima della pandemia. Chi è arrivato a fine giugno e non sta per licenziare tutti o quasi, potrebbe aver deciso di ristrutturare, di risistemare l’azienda, di chiedere nuova finanza per mettere in atto quella discontinuità rispetto al passato che sola può contribuire a rendere fattibile un piano di risanamento.

Dunque da domani si comincia: insieme a R&A Consulting abbiamo messo a punto uno strumento di facile utilizzo che però aiuta fin da subito a capire quali possano essere le criticità o le questioni più importanti da risolvere; e contemporaneamente, ci soffermeremo sulle principali metriche, sui criteri di concessione, sulle regole fissate da EBA.

Perché da domani chi lavora in banca e analizza il credito, un criterio sicuro ce l’ha nel valutare le nuove concessioni: la valutazione del merito di credito deve essere fatta “al meglio delle conoscenze della banca al momento della concessione“. E il “meglio” non può che consistere in un corredo informativo, storico e prospettico, ampio, approfondito, aggiornato.

A domani.