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Fintech e altre storie.

Fintech e altre storie.

Oggi ho partecipato a un bellissimo convegno sul Fintech organizzato da Milano Finanza e Bebeez intitolato “Il processo del credito tra vincoli regolamentari ed esigenze commerciali”.

Se posso fare solo un piccolo appunto agli organizzatori (o forse ai relatori?) se certamente si è parlato di Fintech, ben poco o nulla si è parlato di vincoli regolamentari, quelli a cui restano assoggettate le banche; così come è stato liquidato fin troppo velocemente il tema del rating, trattato alla stregua di un capriccio bancario, quando dovrebbe (?) essere noto che è, appunto, un vincolo regolamentare che determina l’assorbimento del patrimonio di vigilanza.

Il fenomeno del Fintech, ovvero la digitalizzazione di operazioni che precedentemente le banche svolgevano esclusivamente al loro interno e che, al contrario, proprio attraverso la digitalizzazione sono loro sottratte, non è appena una questione di disintermediazione, fenomeno di cui parlavamo nell’accademia almeno 30 anni fa. E’ una questione, come giustamente sottolineato oggi dai relatori, di rapporti con la clientela, di relazioni, di necessità di avere non appena copertura per un fabbisogno, ma anche consulenza, spiegazioni, aiuto. Bene lo ha spiegato l’ottimo Fabio Bolognini @linkerbiz facendo presente che il Fintech non è una questione di semplici automatismi che rendono le operazioni più veloci e la copertura del fabbisogno (soprattutto di capitale circolante), maggiormente garantita: i bilanci vanno guardati, quelli in forma abbreviata precludono la procedibilità della pratica (sic), il cliente va compreso, capito, va letta la sua formula competitiva. C’era solo un imprenditore (perlomeno, a parlare) e si è lamentato della burocrazia e dei rating, perché dei tassi non può lamentarsi in questa fase: ma ha dimostrato che ancora sono le imprese, purtroppo soprattutto le PMI, a dover imparare a comunicare, a condividere, a raccontarsi. Il Fintech può aiutarle, ma non servirà a nulla se il problema continua a essere quello della “liquidità” “più in fretta che si può” “al minor costo possibile”: la questione vera era e rimane la capacità di stare sul mercato, la questione vera, soprattutto per la stragrande maggioranza di piccole e micro-imprese, è nel conto economico, non nello stato patrimoniale. Lavoriamoci, è un’occasione e non una minaccia.

 

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Banca d'Italia Banche Crisi finanziaria Vigilanza bancaria

Partite di giro (dei debitori).

Partite di giro (dei debitori).

A Urbino, nella città dove lavoro, esiste una via intitolata Giro dei Debitori, denominazione sulla quale qualche Collega docente di Storia potrebbe illuminarmi. A intuito posso immaginare che fosse adibita al pubblico ludibrio ed alla riprovazione di coloro che non pagavano, appunto, i loro debiti, portati in giro per la pubblica via. Periodicamente, in una sorta di giro concettuale, ritornano proposte per sanare il debito pubblico incentrate sulla Banca d’Italia, partendo dalla lontana idea prodiana (ma non solo) di utilizzare le riserve auree di Via Nazionale fino all’ultima, quella della rivalutazione delle azioni dell’ex-banca centrale in possesso delle banche.

Già: perché nonostante la legge di riforma della Banca d’Italia approvata nel 2005 prevedesse che le azioni dell’istituto fossero trasferite dalle banche al Tesoro (anche per porre rimedio all’incresciosa situazione per cui il controllo del Vigilatore è in mano, almeno formalmente, ai vigilati) non se n’è mai fatto nulla. Per l’ovvia ragione che mancavano i fondi e le banche non erano, giustamente, disposte a privarsi di un valore patrimoniale importante senza ricadute sul conto economico. Tant’è. Ora si vuole rivalutare in capo alle banche, che rimarrebbero così proprietarie del loro regulator nazionale, proprio quelle azioni che la legge del 2005 prevedeva fossero trasferite al Tesoro, al fine di poter tassare di più e meglio le banche, che non riuscendo a fare utili per vie normali, li farebbero per vie contabili. Ottenendo il paradossale risultato di rafforzare, ma solo contabilmente, quel patrimonio di vigilanza che Banca d’Italia, a furia di ispezioni e commissariamenti, sta sistematicamente demolendo. Partite di giro.

 

 

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Banche Imprese Relazioni di clientela Vigilanza bancaria

Braccino corto 3.

Lamberto Dini, in un articolo apparso sul Sole 24 Ore del 24 novembre, nell’annotare la scarsa patrimonializzazione delle grandi banche italiane, ipotizza che la scarsa contendibilità delle banche stesse, i cui assetti proprietari sono in mano a fondazioni ben poco desiderose di aumentare il capitale investito, possa essere una delle cause del fenomeno del credit crunch.

Il senatore Dini è personaggio autorevole  -attualmente è presidente della commissione esteri del Senato, ma è stato a lungo nel FMI- ma la ricetta che propone è quanto meno ingenua ed appare, pertanto, velleitaria. Secondo Dini, infatti, le banche dovrebbero essere costrette a ricapitalizzare (pena la riduzione dei crediti erogati alle imprese, dal momento che stanno emergendo le perdite su crediti e le sofferenze: qualcuno dovrebbe avvisare il senatore Dini che Unicredit l’ha già fatto, ovvero per non aumentare il capitale ha ridotto le esposizioni a rischio) per non perdere il controllo. Ma chi dovrebbe aprire il controllo delle banche, nel Paese del capitalismo familiare, dove la Borsa soffre di capitalizzazione non dal lato della domanda, bensì da quello dell’offerta? E, soprattutto, siamo così sicuri che la definizione di nuovi assetti proprietari comporterebbe, ipso facto, incrementi della patrimonializzazione. La strada sembra piuttosto quella di rafforzare i coefficienti patrimoniali, in funzione della dimensione delle banche, incrementandola proporzionalmente al carattere internazionale ed alla complessità delle operazioni svolte. Diversamente si rischierebbe di ricadere in una inefficace petizione di principi, fin troppo facilmente aggirabili dalle furbissime fondazioni nostrane.

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Banche Unicredit Vigilanza bancaria

Braccino corto.

Logo Unicredit

I conti trimestrali di Unicredit, comunicati ieri, mostrano segnali interessanti ed importanti, soprattutto tenendo conto che l’utile, in calo, era stato correttamente stimato dagli analisti.

Ciò che colpisce, tuttavia, è la misura del Core Tier 1, ovvero del patrimonio di Vigilanza di primo livello, quello rappresentato dal capitale versato e dalle riserve disponibili, attestato a, 7,55%, dal 6,85% di giugno. Con l’aumento di capitale annunciato, ma non ancora effettuato, si attesterà all’8,39%. In altre parole: per essere in linea con i coefficienti patrimoniali richiesti dalle Autorità di Vigilanza, è preferibile ricorrere agli strumenti ibridi (il Tier 2), piuttosto che al capitale di rischio. E riesce difficile immaginare che l’aumento di 4 miliardi sarebbe stato realizzato se non vi fosse stata la crisi. Appunto, braccino corto.

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Imprese Indebitamento delle imprese PMI

Rivalutazioni gratuite, ricapitalizzazioni e dubbi: soluzioni o pannicelli caldi?

Dal Sole 24 Ore on line di oggi, 23 ottobre 2009.

“Secondo uno studio commissionato all’Università di Perugia, che ha analizzato un ampio campione di bilanci, un terzo delle piccole aziende sta andando bene, un terzo è in mezzo al guado e un terzo sta soffrendo. Nella simulazione econometrica realizzata dall’ateneo umbro, si crea un meccanismo di conferimento dei diritti di proprietà di una serie di aziende a una holding definita T-holding. A latere si costituisce un fondo a capitale pubblico e privato con due miliardi di disponibilità che investe solo nelle aggregazioni di piccole imprese. Le linee di credito della T-holding sono garantite dall’accesso al credito diretto al fondo di garanzia. Se le banche desiderano investire nella T-holding, esse beneficiano di un trattamento fiscale di favore. La T-holding può contare su agevolazioni fiscali derivate dalla norma delle aggregazioni, che però vanno rafforzate con la rivalutazione gratuita dei cespiti, senza tetti. Grazie a questo schema operativo, aziende traballanti si uniscono e possono superare in scioltezza un passaggio molto duro.”

Questo un passaggio del resoconto dell’incontro che si sta svolgendo a Mantova, nell’ambito del Forum sulla Piccola Industria, nel corso del quale Giuseppe Morandini, di Confindustria, ha invocato aiuti volti a rafforzare patrimonialmente le imprese. I risultati raggiunti dalla simulazione econometrica dei Colleghi di Perugia confermano che le aggregazioni e la ricapitalizzazioni sono un percorso obbligato per la fuoriuscita dalla crisi.

Ma a parte il non piccolo dubbio sulla way out da un simile impegno, di capitale pubblico e privato, in un fondo salva-imprese, una domanda si impone: di grazia, la rivalutazione gratuita dei cespiti, senza tetti,  a cosa serve? E se agevolassimo, invece e finalmente, la ricapitalizzazione reale delle imprese, soprattutto delle Pmi? O la rivalutazione serve ad operare solo sui valori contabili, lasciando le aziende povere come al solito? Se si tratta di questo, sono pannicelli caldi.