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Alessandro Berti Banca d'Italia Banche BCE Fabbisogno finanziario d'impresa Formazione Imprese Indebitamento delle imprese Lavorare in banca Lavoro Liquidità PMI Relazioni di clientela

Fintech e altre storie.

Fintech e altre storie.

Oggi ho partecipato a un bellissimo convegno sul Fintech organizzato da Milano Finanza e Bebeez intitolato “Il processo del credito tra vincoli regolamentari ed esigenze commerciali”.

Se posso fare solo un piccolo appunto agli organizzatori (o forse ai relatori?) se certamente si è parlato di Fintech, ben poco o nulla si è parlato di vincoli regolamentari, quelli a cui restano assoggettate le banche; così come è stato liquidato fin troppo velocemente il tema del rating, trattato alla stregua di un capriccio bancario, quando dovrebbe (?) essere noto che è, appunto, un vincolo regolamentare che determina l’assorbimento del patrimonio di vigilanza.

Il fenomeno del Fintech, ovvero la digitalizzazione di operazioni che precedentemente le banche svolgevano esclusivamente al loro interno e che, al contrario, proprio attraverso la digitalizzazione sono loro sottratte, non è appena una questione di disintermediazione, fenomeno di cui parlavamo nell’accademia almeno 30 anni fa. E’ una questione, come giustamente sottolineato oggi dai relatori, di rapporti con la clientela, di relazioni, di necessità di avere non appena copertura per un fabbisogno, ma anche consulenza, spiegazioni, aiuto. Bene lo ha spiegato l’ottimo Fabio Bolognini @linkerbiz facendo presente che il Fintech non è una questione di semplici automatismi che rendono le operazioni più veloci e la copertura del fabbisogno (soprattutto di capitale circolante), maggiormente garantita: i bilanci vanno guardati, quelli in forma abbreviata precludono la procedibilità della pratica (sic), il cliente va compreso, capito, va letta la sua formula competitiva. C’era solo un imprenditore (perlomeno, a parlare) e si è lamentato della burocrazia e dei rating, perché dei tassi non può lamentarsi in questa fase: ma ha dimostrato che ancora sono le imprese, purtroppo soprattutto le PMI, a dover imparare a comunicare, a condividere, a raccontarsi. Il Fintech può aiutarle, ma non servirà a nulla se il problema continua a essere quello della “liquidità” “più in fretta che si può” “al minor costo possibile”: la questione vera era e rimane la capacità di stare sul mercato, la questione vera, soprattutto per la stragrande maggioranza di piccole e micro-imprese, è nel conto economico, non nello stato patrimoniale. Lavoriamoci, è un’occasione e non una minaccia.

 

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Banca d'Italia Banche BCE

Modelli interni, esternalità negative.

Modelli interni, esternalità negative.

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La notizia che la Bce abbia messo in discussione i modelli interni di rating delle banche sulle quali vigila direttamente non dovrebbe di per se rappresentare una novità di cui stupirsi, poiché già nelle regole dettate da Basilea 2 (oramai abbastanza datate) si contemplava, nei cosiddetti pillar, la valutazione nel continuo dell’adeguatezza dei modelli stessi e la loro capacità di collegare effettivamente rischio e assorbimento di capitale. A suo tempo tutti i modelli di rating interni furono validati da Bankitalia, compreso quello di MPS: ed è verosimile che, così come nel caso di altre grandi banche obbligate a redigere un proprio modello, le maggiori società di consulenza nazionali ed internazionali abbiano contribuito alla costruzione.

L’ottimo Luca Davi, nel suo articolo di oggi sul Sole 24Ore, ci ricorda che spesso i rating erano/sono fatti per limitare al minimo l’assorbimento di capitale, ovvero che, come dimostrato dalla crisi finanziaria del 2007, la capacità di assorbimento delle perdite era nella pratica molto più bassa che sulla carta.

Solo che, ora come allora:

  1. i modelli erano stati validati dalla Vigilanza di Via Nazionale;
  2. i modelli obbedivano ed obbediscono alle leggi della statistica e della matematica, non dell’economia aziendale.

Sarebbe ora di mettere in discussione l’assunto che il merito di credito sia valutabile in base alla statistica e che la probability of default sia un mero accidente stocastico: sarebbe ora di tornare all’economia aziendale. Ma costa troppo, e non è cosa, in questo momento: e poi, soprattutto, si dovrebbe buttare al macero gran parte della produzione scientifica degli ultimi 20 anni.

Buon lavoro a tutti i robot che stanno per arrivare, auguri a chi rimane: cosa sarà lavorare in banca?

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Analisi finanziaria e di bilancio Banca d'Italia Banche Banche di credito cooperativo BCE Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI Relazioni di clientela Vigilanza bancaria

Default è quando Banca Centrale Europea dice (La misurazione del rischio di credito 3: quello che le imprese neppure lontanamente immaginano).

Default è quando Banca Centrale Europea dice (La misurazione del rischio di credito 3: quello che le imprese neppure lontanamente immaginano).

Vujadin-Boskov

Riassunto delle puntate precedenti: come si misura il rischio di credito? E cosa comporta tale misurazione nei comportamenti e nei rapporti bancari?
Dopo gli incagli oggettivi, le sofferenze oggettive: ovvero se ci sono criteri per rendere meno opinabile la constatazione dello stato di difficoltà temporanea, devono esisterne altrettanti per dichiarare lo stato di insolvenza irreversibile e conclamato.
In altre parole, la dichiarazione dello stato di insolvenza non a sentimento, non dopo un bel “parliamone”, non in una riunione del consiglio di amministrazione nella quale si dice che “però poi i suoi dipendenti sono “mutualizzati” da noi” o ancora “però così poi smette di pagare i fornitori”. No, semplicemente una bella definizione di default oggettivo, rispetto alla quale non resta che prendere atto che la posizione del cliente è da svalutare, portare a sofferenza etc…
Anche in questo caso, se ci si chiede la genesi di un simile provvedimento (per amor di precisione il tutto trovasi all’art.178, regolamento UE 575/2013) è facile rintracciarla nella ritrosìa delle banche –in questo sempre incoraggiate da imprese altrettanto restìe a prendere atto della realtà- a dichiarare lo stato di deterioramento di crediti derivanti da operazioni spesso nate male e proseguite peggio.
E poiché la discrezionalità in materia implica, molto semplicemente, la sostanziale falsità dei bilanci bancari e l’inconsistenza del patrimonio in rapporto ai rischi, meglio eliminare la discrezionalità.
Ecco come:
“Il default di un debitore:
1. Si considera intervenuto un default in relazione a un particolare debitore allorché si verificano entrambi i seguenti eventi:
a) la banca giudica improbabile che, senza il ricorso ad azioni quale l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie verso la banca stessa;
b) il debitore è in arretrato da oltre 90 giorni su una obbligazioni creditizia rilevante verso la banca (n.d.a.: ovvero è in situazione di incaglio oggettivo).”
E ancora:
• “la rilevanza di un’obbligazione creditizia in arretrato è valutata rispetto a una soglia fissata dalle autorità competenti. Tale soglia riflette un livello di rischio che l’autorità competente ritiene ragionevole;
• gli enti hanno politiche documentate in materia di conteggio dei giorni di arretrato (una banca popolata da genii, recentemente commissariata, si vantava di aspettare 99 rate di impagato per dichiarare l’incaglio NdA) Queste politiche sono applicate in modo uniforme nel tempo e sono in linea con i processi interni di gestione del rischio e decisionali dell’ente”.
Inoltre, a parte ovviamente incagli, fallimenti e ristrutturazioni del debito con saldo e stralcio, si ha default quando:
• “la banca riconosce una rettifica di valore su crediti specifica derivante da un significativo scadimento del merito di credito successivamente all’assunzione dell’esposizione (traduzione dell’autore: bisogna monitorare il credito, sempre, e soprattutto bisogna evitare che scada…);
• la banca cede il credito subendo una perdita economica significativa”.

Infine, tanto per non dimenticare che il merito di credito non è un’opinione, la stessa direttiva disciplina all’articolo 179 “i requisiti generali per il processo di stima”, e in particolare, stabilisce che:
• “Le stime di basano sull’esperienza storica e su evidenze empiriche e non semplicemente su valutazioni discrezionali (…) Quanto più limitati sono i dati di cui dispone una banca, tanto più prudente deve essere la stima”.

L’ultimo punto merita un piccolo commento, rimandando altre considerazioni alla prossima puntata.
Esperienza storica ed evidenze empiriche fanno rientrare dalla porta l’analisi fondamentale, quella che i rating avevano scacciato nelle grandi banche e quella che la conoscenza diretta (e la storicità del rapporto) avevano fatto accantonare nelle piccole.
Non solo: appare evidente come la conoscenza del cliente non possa che essere fondata su dati (bilanci, performance, etc…) e non su mere opinioni di confidenza: “In Dio infatti noi confidiamo, ma tutti gli altri ci portino dei dati”, ci ricorda uno studioso USA.
Ne deriva che (chissà se di queste cose Sebastiano Barisoni ne parla a Radio 24?) minori sono i dati disponibili, scarni i bilanci e semplificate le contabilità, minori dovranno essere i rischi assunti: in altre parole, le idee le finanzi qualcun altro.

(segue: la puntata precedente è stata pubblicata il 1 luglio 2014)

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ABI Analisi finanziaria e di bilancio Banca d'Italia Banche Fabbisogno finanziario d'impresa Università

Approcci alternativi (la second life delle banche italiane).

Approcci alternativi (la second life delle banche italiane).

Al Convegno ABi su Basilea 3 che si terrà prossimamente a Roma sono numerosissimi i relatori. Quasi esclusivamente di grandi banche e di grandi società di consulenza, oltre che di docenti dell’università Bocconi (o di bocconiani trasferiti in altre università). Ad occuparsi di Pmi (forse) sarà il capo di una società di consulenza che fa programmazione economico-finanziaria a medio-lungo termine per i propri clienti moltiplicando 1 (uno; one; un; ein; um) semestre, sempre lo stesso, per 2 e poi moltiplicando il tutto per 30, ovvero gli anni della previsione. Il piano che ho avuto modo di esaminare qualche giorno fa sfruttava benissimo la potenzialità di Excel per riprodurre e moltiplicare le formule e, soprattutto, ignorando completamente gli effetti dell’inflazione, stimava risparmi di costo per milioni di euro  immotivati ed irragionevoli. Come si suol dire su twitter, #soncose.

Orbene, a parte queste amenità, che poi non sono tali se a quel convegno andrà, come è certo, qualcuno che conta in banca ed ascolterà i pareri di personaggi come quello che si è sommariamente descritto, nessuno si occuperà di credito alle imprese se non per le due seguenti relazioni:

  1. RWA optimisation: un approccio alternativo – come contrastare gli impatti sul costo del capitale agendo sulle strategie creditizie.
  2. Analisi di settore, distretti, filiere, reti per la gestione di portafoglio
    e la selezione del credito della banca

Per il resto, cartolarizzazioni, strumenti ibridi (strumenti ibridi? ancora? ancora a parlare di mercati e di strumenti alternativi di capitale?) e, tocco lirico, un intervento su Importanza delle informazioni qualitative nell’assegnazione di un rating unsolicited. In altre parole, come fare ad assegnare un rating non richiesto dall’impresa senza ottenere informazioni qualitative (quelle che si ottengono solo in un lungo colloquio diretto: rischio fiscale, passaggio generazionale, sostenibilità sociale ed ecologica del business etc…); si potrebbe anche dire, come farti una visita medica al telefono.

Non è un caso, tuttavia,  che la prima relazione, quella nella sessione plenaria, con il direttore generale dell’Abi e il nuovo direttore della Vigilanza di Bankitalia, si occupi di come contrastare gli impatti sul costo del capitale agendo sulle strategie creditizie. In altri periodi sarebbe bastato leggere qualcuno dei manuali per uso interno delle grandi banche per capire che il problema si risolve in un solo modo, evitando di fare prestiti a soggetti che non siano di qualità primaria -ovvero che non hanno bisogno di quattrini- ed evitando le Pmi. Ma non è cosa, i tempi sono cambiati e, soprattutto, mentre in passato si poteva pensare di chiedere denari agli azionisti sulla scorta di ROE prospettici a doppia cifra, ora sono gli stessi azionisti a chiedere denari per sopravvivere: il caso MPS, in proposito, è illuminante.

Non so quali siano le strategie creditizie che saranno proposte dal relatore per contrastare l’impatto sul costo del capitale. Da sempre, da quando il dibattito su Basilea 2 prese il via, nessuno in ambito bancario (e neppure accademico, salvo eccezioni) si è mai preoccupato di capire come si debba analizzare il fabbisogno finanziario delle imprese, dando per scontato che la professione bancaria questo strumento lo avesse già acquisito. La storia della crisi e della bolla immobiliare ci insegnano che è vero il contrario. Ma se l’approccio ABI al problema continua ad essere quello che pone al centro la questione del risparmio di capitale, sarà bene che le imprese sappiano, soprattutto se Pmi, che i loro interlocutori vivono in una realtà parallela, slegata dalla realtà. Entrare -o restare- in un’altra second life, questa volta imprenditoriale, fatta di lamenti e di richieste ripetitive, sarebbe mortale. Sarebbe il caso di cominciare ad attrezzarsi per governarlo, il fabbisogno finanziario della propria impresa: nella first life, non in altre.

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Banca d'Italia Banche BCE Crisi finanziaria Imprese Indebitamento delle imprese PMI

Also sprach Ignazio V.

Also sprach Ignazio V.

Il neo-governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha esordito al Forex di Parma intervenendo, come di consueto, in apertura dei lavori di sabato. Il testo dell’intervento è consultabile qua. Il Governatore, il cui carisma è diverso da quello di Mario Draghi, ma non nella lucidità, nell’intelligenza e nell’onestà intellettuale ha anzitutto richiamato l’importanza dell’avere una banca centrale che faccia il suo mestiere, con un vero e proprio endorsement a quanto sta facendo il suo predecessore ora a Francoforte. Ha poi sostenuto non solo che le riforme che il Governo Monti sta portando avanti, compresa quella del mercato del lavoro, sono fondamentali, ma che esse vanno accompagnate da liberalizzazioni.

“Le riforme decise vanno rapidamente completate e rese operative, in particolare quelle volte a rendere l’assetto normativo e amministrativo favorevole e non ostile allo sviluppo economico: liberalizzazione di importanti settori dei servizi, effettiva semplificazione degli atti amministrativi, migliore funzionamento del mercato del lavoro, attenzione particolare al capitale umano e all’innovazione, più rapide risposte del sistema giudiziario. Anche se i singoli interventi esplicheranno i propri effetti con gradualità, la definizione di un disegno organico e di ampio respiro già nel breve termine può incidere positivamente sulle aspettative e, per tale via, stimolare la domanda aggregata e la ripresa degli investimenti. Si tratta di garantire a chi investe e crea occasioni di lavoro nel nostro paese condizioni favorevoli, non per il tramite di agevolazioni finanziarie ma grazie alla presenza di adeguate infrastrutture immateriali (..) . La crescita economica favorisce l’aggiustamento della finanza pubblica, che è comunque su un sentiero sostenibile anche sotto ipotesi poco favorevoli sulla crescita e sui tassi di interesse. Con una dinamica reale modesta, dell’ordine dell’1 per cento, e con uno spread sui BTP decennali stabilmente al livello, comunque elevato, di 300 punti base, avanzi primari del 5 per cento del prodotto, come quello previsto per il 2013, garantirebbero una riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto maggiore di quella richiesta dalle nuove regole europee di bilancio”.

In pochi lo hanno notato, ma mai smentita è stata più autorevole per tutti coloro, piagnoni di Confindustria in testa, che gridando “Fate presto” invocavano le dimissioni di Silvio Berlusconi pensando che solo dalla sua inettitudine dipendesse lo spread. Le cose migliori il neo-Governatore le ha però riservate al rapporto banca-impresa, oggetto mai come ora del dibattito politico e non solo. “(..)  le imprese si trovano nuovamente a fronteggiare un inasprimento delle condizioni creditizie; anche in questa occasione sarà essenziale la capacità delle banche di valutare attentamente il merito di credito, senza far mancare il sostegno finanziario ai clienti solvibili e meritevoli. Un adeguato e stabile volume di finanziamenti è essenziale per l’attività delle stesse banche”.

E ancora (e, forse, soprattutto), Visco ha affermato che “le banche dovranno dimostrare di saper svolgere bene la loro funzione di allocazione del credito, in una gestione sana e prudente, con acuita capacità selettiva. Lo richiede la loro stessa ragion d’essere; è cruciale che l’economia non entri in asfissia creditizia, deperendo e trascinando con sé anche le prospettive del sistema bancario.” Che questo sia il punto della questione, questo blog lo ripete da tempo: al riguardo è interessante leggere ciò che oggi dice Dario Di Vico nel suo blog. Non so quanto lo strumento del rating, come Di Vico sostiene, possa essere utile allo scopo, perché l’esperienza di questi dieci anni di Basilea 2 ci insegna che i rating sono stati usati per ridurre i costi di analisi delle Pmi, per poi, alla fine, razionarle. Il lavoro da fare è ancora grande, ed è un lavoro di mentalità, ovvero di cultura, prima ancora che tecnico. E purtroppo non dipende dai bancari, che fanno ciò che viene loro richiesto, dipende dai loro Presidente, dai loro CdA e dai loro manager: uno di loro ieri, giustappunto, dormiva in prima fila. Seduto accanto al Direttore Generale di Banca d’Italia Saccomanni.

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Banca d'Italia Banche Crisi finanziaria Imprese Indebitamento delle imprese Mutui e tassi di interesse Relazioni di clientela

Deterioramenti (downgrading creditworthiness).

Deterioramenti (downgrading creditworthiness).

La segnalazione da parte di Banca d’Italia dei rischi connessi all’aumento delle sofferenze e dei crediti deteriorati viene ricondotta, nello sbrigativo riassunto del Sole 24 Ore, alla contrazione dell’attività economica ed all’aumento dei tassi (questi ultimi dovrebbero crescere in funzione dell’accresciuta rischiosità dei prenditori, non il contrario). Singolarmente, ma non troppo, il bollettino economico della Banca d’Italia viene pubblicato nello stesso giorno in cui le imprese italiane più prestigiose (Generali ed Eni) subiscono il downgrading “per il collegato disposto” dell’abbassamento del rating tricolore. Sul downgrading di Generali e di Eni ci sarebbe da discutere, perché è realmente discutibile che uno Stato Sovrano estenda la sua presunta peggiorata capacità di restituzione del debito a due imprese, due delle poche, multinazionali. Ma tant’è, come ha detto il Presidente del Consiglio dobbiamo imparare a conviverci e, in finale, ad essere consapevoli di quello che valiamo. Dimostrandolo, infine, vista la bontà d’animo della signora Merkel (sia fin d’ora maledetto chiunque, fra qualche tempo, verrà a dirci che, come la Tatcher, “però era buona”), intenzionata a tirare la corda quanto più possibile.

Quanto alle sofferenze, il discorso è ben diverso e peggiore. Mentre per il rating del Paese possiamo pensare, con qualche ragione, che i giurati del nostro beauty contest si siano sbagliati o siano al soldo di un’altra concorrente, maggiormente dotata di noi, per le imprese, soprattutto per le Pmi, la questione a mio parere è più grave. I giurati, ovvero le banche, tanto per rimanere all’esempio del concorso di bellezza, stanno facendo finta di non vedere, o non vedono. Le imprese sorridono nervosamente, facendo finta che le cose vadano bene, facendo finta di essere belle: chi ha immobili non li vende, per non rendere liquida una minusvalenza preferisce contabilizzare una plusvalenza di carta. Chi ha capitali non li mette, chi ha bisogno di liquidità presenta piani di rientro che spostano tutto in avanti, senza mettere in discussione l’unica cosa che dovrebbe essere rivista, la formula competitiva. Non sai cantare, non sai ballare, non sai neppure l’italiano e sei pure bruttina: ma non vuoi uscire dalle selezioni e, per giunta, non vuoi neppure studiare. Chi ha margini ridicoli, come i benzinai, protesta perché la concorrenza favorita dalle liberalizzazioni li metterà sul lastrico; bene, ma è difficile non chiedersi chi glielo faccia fare. Perché fare tanta fatica per due soldi? A tacere di quei benzinai, veri e propri “criminali economici”, che accettano dai camionisti -altra categoria a rischio- pagamenti con postdatati ed altre amenità. Bene, abbiamo appreso che il profitto da fame di 2 centesimi a litro sarà difeso con soli 7 giorni di chiusura. Magari chiudessero, ne chiudessero di più. Ma non lo faranno, perché neppure sanno quello che fanno. Stanno difendendo il nulla. Come si dice su twitter #sapevatelo.

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Inter

Downgrading.

Downgrading.

Diego Milito downgrades BBIlan rating.

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Banche Borsa Crisi finanziaria fiducia Giulio Tremonti Indebitamento delle imprese Liquidità Ripresa Silvio Berlusconi Stato Unicredit

Il pericolo è che si giustifichi.

Il pericolo è che si giustifichi.

Questa disfatta non è giustificata. Il pericolo è che si giustifichi“. Così Il Sole 24 Ore di oggi riporta, nelle pagine on-line, il giudizio della Lex column del Financial Times, che esamina le conseguenze del taglio del rating operato da Standard and Poor’s dapprima al debito sovrano del nostro Paese e poi alle 7 principali banche. La disfatta delle banche italiane non sarebbe giustificata, eppure Unicredit ha attinto oggi i minimi storici o, come dicono i cronisti televisivi, ha aggiornato il proprio record negativo.

Solo l’improntitudine del nostro Premier poteva giustificare il downgrade del rating del nostro debito sovrano con la campagna mediatica in corso. Non meno ingenui e sprovveduti appaiono tutti coloro che ritengono le agenzie di rating una sorta di Spectre della finanza, che affossa intere nazioni con un semplice comunicato. Si può difendere oppure no la politica economica di questo Governo, si possono discutere le scelte operate da Tremonti e quelle non fatte dal presidente del Consiglio: ma se avessero taciuto le agenzie di rating, avrebbero parlato i numeri del nostro debito pubblico, ancora in ascesa e, soprattutto, i numeri di una manovra finanziaria che, nella migliore tradizione italiana, insegue la spesa pubblica con nuove tasse. Continuiamo a non aspettarci nulla dalla politica, forse la decenza imporrebbe appena un po’ meno ipocrisia. Quanto alle banche, non si tratta semplicemente dell’effetto-downgrade che si trasmette in automatico, causa detenzione di ingenti ammontari di titoli di Stato in portafoglio. Ciò che appesantisce le banche sono le sofferenze e le conseguenze di queste ultime, non tanto sul patrimonio, quanto sulla liquidità: le perdite su crediti, non quelle su titoli, sono la questione. E questo, purtroppo, giustifica molte cose.

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Banche Borsa Short selling

Il costo del silenzio del mercato.

Il costo del silenzio del mercato.

J.Fussli, Il silenzio.

Devo ancora trovare un esempio in cui una banca solvente sia stata distrutta dalla speculazione al ribasso, mentre posso citare molti esempi di banche insolventi che sono state tenute in vita dall’appoggio e la connivenza con il potere politico.

Ammesso e non concesso che si voglia colpire la speculazione, sarebbe meglio aumentare l’imposta sui guadagni in conto capitale realizzati su un orizzonte temporale brevissimo. Almeno questa misura è simmetrica e penalizza sia la speculazione al ribasso che quella al rialzo.

Banchieri e politici, però, vogliono punire solo la speculazione al ribasso, perché la temono. Insieme alle società di rating (altre nemiche pubbliche), la speculazione al ribasso è l’unica forma di trasmissione di notizie negative. Banchieri e politici possono intimidire o corrompere tutte le altre forme di informazione, non il mercato. Per questo cercano di metterlo a tacere. Purtroppo il costo di questo silenzio è elevato. Senza il mercato oggi il Governo italiano non farebbe nessuno sforzo per ridurre la spesa pubblica. E senza le vendite allo scoperto c’è meno pressione che induca le banche a raccogliere altro capitale e a ridurre il proprio rischio. Quando a chiedere l’aumento di capitale è il regolatore, i banchieri si difendono dicendo che costoro non capiscono le regole del mercato. Ma quando a chiedere l’aumento è il mercato, vanno a difendersi dal regolatore, dicendo che il mercato è irrazionale e sbaglia.

Cambierà qualcosa? L’esperienza ci insegna che il divieto delle vendite allo scoperto non funziona. Nel lungo periodo i titoli che devono scendere scendono. La proibizione serve solo a ritardare di qualche giorno questa discesa, al costo di innervosire il mercato che si domanda quale sarà la prossima manovra per salvare i banchieri a spese di tutti noi.

Luigi Zingales, Il Sole 24 Ore, 13 agosto 2011

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Banche

Meglio lavare i panni sporchi in famiglia.

Meglio lavare i panni sporchi in famiglia.

Molti lettori si chiederanno come posso difendere le vendite allo scoperto, come posso considerarle un diritto fondamentale come la libertà di stampa. Non è forse vero che chi vende allo scoperto è un malvagio speculatore?

Ironia vuole che oggi la maggior parte delle vendite allo scoperto su società finanziarie non venga fatta da perfidi speculatori che scommettono sulla caduta dei titoli bancari, ma da altre società finanziarie che si coprono dal rischio di controparte. Immaginiamo per esempio che la banca A si sia coperta dal rischio di un aumento del valore del franco svizzero con un derivato con la banca B, a scadenza fra tre anni. Quando il franco svizzero sale, la banca A si trova ad avere un credito verso la banca B. Se la banca B non versa in buone condizioni finanziarie, la banca A vuole coprirsi dal rischio di non essere in grado di esigere quel credito fra tre anni. Per farlo, A deve comprare un credit default swap su B o vendere allo scoperto le azioni di B, sapendo che se B fallisce perderà il suo credito, ma guadagnerà sulla sua vendita allo scoperto.

Queste vendite allo scoperto, quindi, riflettono la scarsa fiducia che gli operatori finanziari nutrono sulla solvibilità dei loro colleghi. Ciascuno millanta in pubblico la propria solidità, ma dubita in privato di quella altrui. La proibizione delle vendite allo scoperto altro non è che una iniziativa collusiva per mettersi d’accordo e non rivelare al pubblico le paure che gli uni nutrono sugli altri. Meglio lavare i panni sporchi in famiglia.

Luigi Zingales, IL Sole 24 Ore, 13 agosto 2011