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Bolla immobiliare Crisi finanziaria

Gli immobili si (s)valutano sempre (di più).

Gli immobili si (s)valutano sempre (di più).

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Incontro un amico e parliamo di vita e di cose materiali, di come va la sua attività e come funzionano gli affari. Mi dice “male, non riesco a vendere i miei appartamenti e non voglio più affittarli“. Approfondisco e scopro che non li ha mai comprati, sono ereditati, dunque il valore di carico è zero: come mi fa notare mio figlio, non per caso revisore, non si sono minusvalenze che rovineranno bilanci, c’è solo da far cassa. Eppure la risposta alle mie obiezioni è quella standard (forse dettata da Confedilizia?): “sì, ma non possiamo nemmeno svendere“. Per svendere bisogna avere un parametro di riferimento in testa, ed in questo caso non è neppure il costo, no; è il sospirato valore di mercato, quello di 6 o 7 anni fa. Ci lasciamo sulla mia conclusione: “Gli immobili, a stare lì, si svalutano da soli.” Non gli è piaciuta.

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Alessandro Berti Bolla immobiliare

Disordine e regresso, Favela Chic (Riministan).

Disordine e regresso, Favela Chic (Riministan).

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Questa mattina decido di mettermi alla prova su una distanza più lunga nelle mie performance di romagnolo-walking e compio i 18,2 km tra Rimini e Riccione e ritorno in 2h e 48′ (pulsante applausi dalla regìa). Percorro dapprima il lungomare di Rimini e fino al Marano (un orrido fiume, in un orrido luogo, dove tuttavia i locali all’aperto impazzano con musica et alio tutta l’estate, richiamando orde di emiliani, bolognesi in specie, che sembrano non cercare altro) non incontro altro che stranieri. Russi che passeggiano, indiani, pachistani, qualche cinese che gestisce (?) negozi di infimo ordine, dove si vendono, al freddo e con gli espositori sulla strada, articoli di infimo ordine. I primi italiani li incontro oltrepassato il Marano, poi a Riccione cambia tutto. Bisogna andare a piedi, anche se a velocità sostenuta, per notarlo: cambia lo stile degli edifici, non ci sono locali di infimo ordine (certo, mi dicono, saranno da un’altra parte), ma l’impressione è la stessa di quando a Londra passi da una zona Londonistan ad una zona british. Il problema non è che ci sia un Riministan, che non pare oltretutto somigliare al suo preoccupante omologo britannico. Il problema è, molto semplicemente, il significato in termini economici e di offerta turistica: un’offerta turistica sempre più al ribasso coinvolge tutto, qualunque cosa intorno a sè, generando una sorta di distretto della mediocrità e dell’approssimazione. Ed è proprio nel Riministan che, d’altra parte, giganteggiano gli scheletri degli edifici delle colonie, taluni bellissimi, ma tutti tetri nel loro abbandono. Perché non c’è amministrazione che non abbia bloccato qualunque progetto che non passasse dal partito secondo regolamento. Ho sentito che a Milano, nel quartier Isola, dove abita una mia conoscente assai snob, si sono lamentati della skyline delle nuove realizzazioni edilizie. Chissà se vorrebbero fare cambio con una skyline dove troneggia -zona Marano- un locale la cui insegna (cattivo gusto? idiozia del pubblicitario?) è, esattamente “Disordine e regresso. Favela Chic”?

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Bar-collando: drink yourself (and enjoy your debt).

Bar-collando: drink yourself (and enjoy your debt).

rimini marina centro chiuso il bar barcollando

Cuore, settimanale satirico d’antan, aveva una rubrica intitolata, se non erro “Fotografa l’insegna più idiota di un negozio della tua città”.  Non so se l’insegna in questione, vista nel corso di una passeggiata di salute (letteralmente) avrebbe concorso degnamente per il titolo.

A me ha fatto riflettere, insieme alle due aperture contestuali (sabato 21 nel pomeriggio) di ben due nuovi bar in una città che fatica a tenere dietro alle chiusure di altri bar, gelaterie, ristoranti etc… Sarebbe interessante sapere se le due new-co in questione (con rispetto parlando per le new-co) abbiano fatto il tutto a debito oppure ci siano dei capitali: conoscendo il terziario arretrato riminese (e fanno due debiti di citazioni a Michele Serra) penso che il quoziente di indebitamento sia elevato e dunque ardua la riuscita.

Forse sarebbe il caso di ricordare (già… ma a chi? associazioni di catagoria? consulenti? commercialisti?) che le imprese neo-costituite hanno una mortalità elevatissima nei primi tre anni di vita a causa, nell’ordine di: mancato raggiungimento del punto di pareggio, carenza di pianificazione finanziaria e assenza di business plan, scarsità di capitale di rischio ed eccesso di indebitamento, volontà di creazione dell’impresa fondata sulla creazione di uno o più posti di lavoro per il titolare/i. Ovvero, ciò che in questo momento viene magnificato come eroico, anche da qualche spot ruffiano…

Il realismo, virtù cristiana anche a Natale, imporrebbe di chiamare le cose col loro nome: stiamo parlando di neo-imprese marginali, destinate a fare a cazzotti con chi è già presente su un mercato saturo ed a gonfiare, almeno in nuce, la lista degli iscritti al movimento dei forconi. Lo stesso realismo che mi fa dire, Dio mi perdoni, che la colpa per una volta tanto è davvero delle banche: che al terziario arretrato non dovrebbero più dare un centesimo.

Per scegliere solo gente con progetti callosi, mani ruvide, primario e secondario che sia: ma che producano qualcosa, qualsiasi cosa.

Buon Natale!

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Fallimenti congelati.

Fallimenti congelati.

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La notizia della presentazione di una nuova proposta di concordato per Aeradria, la società che gestisce l’aeroporto di Rimini, è stata comprensibilmente accolta con il dovuto rilievo e con la speranza che, questa volta, il giudice competente approvi la proposta stessa. La lettura delle note di cronaca, soprattutto di quanto dichiarato dagli avvocati di Aeradria, fa riflettere, soprattutto laddove si dice che la prima volta si era presentata una proposta di concordato in bianco, questa volta invece è “completa“. Difficile non pensare che la prima volta qualcuno non ci abbia provato, per vedere se una proposta pur scandalosa, nell’urgenza del momento, potesse comunque essere approvata. Un fallimento, sia pure congelato, magari etichettato altrimenti, sempre quello rimane.

In ogni caso, nell’attesa della pronuncia, qualche riflessione si può fare, soprattutto sul significato economico dell’operazione. La conversione di crediti in azioni è la classica “operazione di sistema” che accredita la nuova Carim come, appunto, “banca di sistema”, sulla scorta dell’esperienza ben più nota di Intesa. Si tratta, tuttavia, di un’operazione penalizzante per qualsiasi banca che non sia molto capitalizzata, soprattutto in tempi come questi nei quali l’essere liquidi fa la differenza a tutti i livelli, a cominciare dai criteri di vigilanza prudenziale (le pertecipazioni azionarie riducono le possibilità di fare prestiti e nel caso di Aeradria non sono neppure redditizie a breve scadenza) per finire alla redditività per gli azionisti, nel caso di Carim non proprio felici delle ultime vicissitudini: e si tratta di un’operazione che, inevitabilmente, avrà tempi lunghi, difficilmente compatibili con l’ottica di una banca locale.

D’altra parte, quella che viene presentata come una privatizzazione -e almeno formalmente lo è- non vede l’ingresso di nuovi soci industriali ma solo di nuovi finanziatori, ai quali si presenterà comunque il problema dell’inadeguatezza del volume d’affari, dello scarso utilizzo della struttura, dei margini e dei costi fissi. In buona sostanza, gli stessi problemi che hanno portata l’attuale Aeradria spa, pubblica, sull’orlo del fallimento.

Infine, se il problema di Aeradria non è finanziario, ma economico, la questione diventa strategica; ovvero dell’utilità di una struttura, come quella aeroportuale del F.Fellini, inserita in un contesto distrettuale dove si fatica a trovare un coordinamento e dove le iniziative vanno sempre bene, purché fatte con denari altrui. Che poi questi denari siano quelli di una banca non può consolare: e soprattutto, non può bastare.

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Banche

La colpa? E’ delle banche.

La colpa? E’ delle banche.

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Apprendo, dopo averne scritto su inter-vista.it che la vicenda del salvataggio Aeradria ha visto l’inaspettato e certamente importante intervento di Banca Carim, disposta a intervenire nel capitale, assumendo di fatto il ruolo di banca di sistema (ciò che in Italia sta svolgendo da ormai molti anni Banca Intesa, ad esempio con l’intervento in Air One e non solo). Per fare la banca di sistema ci vuole certamente ciò che i francesi chiamano physique du rôle e Banca Carim risanata e rinnovata nei suoi vertici pare in grado di farlo, sia per carisma, sia per managerialità. Mi riesce più difficile immaginare i termini economici di uno sforzo che per la principale banca del territorio sarebbe duplice: se da un lato infatti essa sarebbe chiamata a mettere a disposizioni nuove risorse finanziarie, dall’altro dovrebbe trasformare in tutto o in parte i suoi attuali crediti in capitale, con un evidente irrigidimento gestionale e peggioramento dei parametri di Vigilanza (le azioni di una società non quotata nell’attivo di una banca non rappresentano nulla di buono per la liquidità). Lo sforzo di Carim, d’altra parte, è destinato a fare i conti con una vera e propria mancanza di cultura del rapporto banca-impresa, straordinariamente espressa anche in questo caso dai vertici di Aeradria. Leggo, infatti, su inter-vista.it la precisazione di Banca Carim sulla nota vicenda Aeradria. In particolare da “Carim chiariscono anche che “il progetto potrebbe consentire il salvataggio di Aeradria e tiene naturalmente conto delle indicazioni fornite dal Ministero dello Sviluppo Economico con l’”Atto di indirizzo per la definizione del Piano nazionale per lo sviluppo aeroportuale”, emanato il 29 gennaio 2013, e che “Banca Carim non si sente in alcun modo chiamata in causa da chi afferma che “Aeradria ha realizzato gli investimenti necessari confidando nella concessione di credito bancario” e che la “mancata erogazione ha provocato la crisi della società”: chi ne parla certamente si riferisce ad una nota operazione di finanziamento, organizzata da un pool di banche al quale Banca Carim era assolutamente estranea, che all’ultimo momento non si è concretizzata per il disimpegno di alcuni Istituti di Credito, e di cui a Banca Carim non potrebbe essere attribuita alcuna responsabilità diretta o indiretta”.”

Affermare che si fanno investimenti confidando nella concessione del credito bancario, ricorda il peggiore e più sprovveduto dei piccoli imprenditori, la cui sub-cultura gestionale si esprime di norma nel “qualche banca me li darà, quei soldi.” Che in aggiunta a questo non un piccolo imprenditore, ma i vertici di una grande società pubblica, e per giunta per azioni, dichiarino che “la mancata erogazione ha provocato la crisi della società” significa persino ignorare i fondamentali dell’economia aziendale. Da questo, più che da altro, dovrebbe guardarsi Banca Carim: alla quale, peraltro, non resta molta scelta.

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Di aeroporti, di seggiovie, di altre sciocchezze.

Di aeroporti, di seggiovie, di altre sciocchezze.

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Era ora di riparlare di Banca Carim e di Rimini, ci si annoiava. Banca Carim ha annunciato un utile simbolico, ma pur sempre un utile, al quale si crede per devozione, ma tant’è. Colpiscono invece i toni della polemica con Aeradria spa, la società che gestisce l’aeroporto e che ha presentato, a quanto pare, un piano di ristrutturazione dei debiti talmente approssimativo: a)-da non essere creduto fin dal principio; b)-da necessitare di precisazioni a pagamento (di Carim) sui giornali quanto al rifiuto.

L’esperienza di questo periodo di crisi, fin troppo lungo, dice che i piani di ristrutturazione, sotto qualunque forma si presentino, contengono perlopiù caratteristiche del tipo “consolidamento-del-debito-riscandenzamento-etc” che non veri e propri progetti che incidano sulla gestione industriale. Probabilmente Aeradria spa, la società a partecipazione pubblica che gestisce l’aeroporto di Rimini, non sa che pesci pigliare, come molti imprenditori in questo periodo, e pensa che la soluzione di un problema industriale sia finanziaria. Niente di più sbagliato, come curare un’infezione con l’Aspirina.

Cosa c’entrano le seggiovie con gli aeroporti? Guardando all’esperienza trentina, pur specifica e peculiare (Provincia Autonoma con bilancio ricco e budget conseguente) è facile notare che le seggiovie, così come gli aeroporti, in zone o distretti fortemente caratterizzati dal turismo, non hanno autonomo equilibrio economico (i.e. capacità di reddito, in termini bancari) ma sono infrastrutture necessarie, indispensabili al funzionamento di tutta la macchina produttiva distrettuale. Facile a dirsi quando si possiedono risorse (la P.A.T. possiede, oltre ad una sostanziosa percentuale del gettito fiscale, anche una ricca quota dell’Autostrada del Brennero spa, ovvero di una macchina da soldi che consente di finanziare anche le seggiovie in perdita), meno facile quando si è un normale Municipio (Rimini) o una normale Provincia (RN), squattrinati ed assoggettati al vincolo di stabilità.

Soluzioni? La “banca di sistema”, se ci fosse un sistema -e se ci fosse la banca-: ma banca Carim esce da due anni di commissariamento e da “ricche” (purtroppo) perdite, non certamente imputabili all’attuale management, ingiustamente messo sotto accusa dalle istituzioni. Il vigilatore, ovvero Banca d’Italia, non esiterebbe un minuto a ri-commissariare Banca Carim se questa finanziasse, sostanzialmente a fondo perduto, le perdite inarrestabili dell’aeroporto della capitale del turismo (il cui casello della A14, del resto, assomiglia da anni ad un vicolo medievale). D’altra parte se le istituzioni non hanno risorse, quale destino per l’aeroporto?

Aeradria spa (non) ha presentato un serio piano di ristrutturazione, in grado di incidere sulla gestione industriale, anche perché probabilmente nessuno potrebbe o saprebbe farlo in questo momento: né si può imputare alle banche, soprattutto quelle in corso di risanamento, il mancato sostegno all’iniziativa, per la stessa ragione per la quale non si può chiedere ad un atleta convalescente di vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi. Poichè le accuse reciproche non servono, così come sono inutili gli interventi polemici della politica, di maggioranza e di opposizione, si potrebbe tentare di coagulare risorse pubbliche e private, attraverso lo schema, non molto di moda in questo periodo ma pur sempre valido nel suo impianto di fondo, della finanza di progetto. Coinvolgendo, per una volta, quegli stakeholder o portatori di interessi -i.e. gli albergatori- sempre pronti a lamentarsi e persi, ancora, dietro al sogno della rendita immobiliare, in un progetto che li veda compartecipi di investimenti, costi e rendimenti. Discriminando, anche attraverso servizi di qualità, come il trasporto aereo, l’offerta turistica di qualità. Si può fare, parliamone.

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Alessandro Berti Banche Capitale circolante netto operativo Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI Relazioni di clientela

Quale credito per le Pmi: alcune considerazioni.

Quale credito per le Pmi: alcune considerazioni.

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La presentazione nella giornata di ieri della seconda edizione della ricerca di CNA Piccola Industria Rimini (in Documenti) sul tema delle relazioni di clientela ha rappresentato un’occasione importante di dibattito e di approfondimento, sia per gli interventi succeditisi, sia per gli argomenti emersi. In particolare, e forse per la prima volta dopo tanti anni, banche ed imprese hanno ricominciato a parlarsi in termini di partnership, superando lamentele e pregiudizi oppure, più semplicemente, valorizzando quel che si può fare rispetto a ciò che non è stato fatto. Così il tema della trasparenza dei bilanci delle Pmi si è intrecciato a quello della condivisione di giudizi e valutazioni da parte delle banche, soprattutto locali, senza dimenticare la questione del capitale umano e dei giovani, anche in riferimento alle start-up ed alla creazione di impresa (inquietante la constatazione riguardante il mancato utilizzo di numerosi plafond a favore della creazione di impresa da parte dei giovani ed i numeri dell’emigrazione dei giovani stessi che vanno via da Rimini). Resta molto lavoro, soprattutto formativo (e perciò educativo) da fare: nella consapevolezza che, per quanto generosa, nessuna banca potrà mai sostituire la responsabilità e l’iniziativa personale con un finanziamento.

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Alessandro Berti Banche Fabbisogno finanziario d'impresa Indebitamento delle imprese PMI Relazioni di clientela

QUALE CREDITO PER LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE ?

QUALE CREDITO PER LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE ?

Presentazione della Seconda Edizione della Ricerca sul rapporto Banca – Impresa della Provincia di Rimini

Sala del Buonarrivo della Provincia di Rimini Corso d’Augusto, 231

Giovedì 11 aprile 2013 – Ore 16.00

La stretta creditizia costringe le Imprese a ridefinire le proprie politiche finanziarie. Per poter affrontare la situazione in modo efficace occorrono informazioni, competenze e strumenti adeguati. CNA Industria e CNA Servizi Finanziari illustrano i risultati di una ricerca effettuata sul campo grazie ad esperti di eccellenza e presentano le opportunità a disposizione delle Piccole e Medie Imprese.

Ai partecipanti verrà distribuita copia della Ricerca

“Le Relazioni di clientela tra Banche e Piccole e Medie Imprese. Il risultato di una ricerca empirica nella Provincia di Rimini”  

(a cura di Alessandro Berti).

 

Programma dei lavori:

Fabrizio Moretti – Presidente di CNA Industria Rimini: saluto introduttivo

Prof. Alessandro Berti – Università di Urbino: relazione a commento della Ricerca

Fabio Bianchi – Responsabile CNA Servizi Finanziari: gli strumenti di CNA per le Imprese

Alessandro Rapone – Responsabile Cna Industria: conclusioni

 

La partecipazione è gratuita, ma è consigliata l’iscrizione.

Info: Cna Industria – Tel. 0541-760243 – email: arapone@cnarimini.it

 
 

 

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Più imprese, meno case (cosa deve fare #Carim, banca del territorio).

Più imprese, meno case (cosa deve fare #Carim, banca del territorio).

La telenovela Carim pare essersi conclusa ieri, con la nomina del nuovo Consiglio di Amministrazione e la fine del commissariamento più lungo che a memoria di prof io ricordi di aver visto.

La fine della triste vicenda dovrebbe recare qualche insegnamento, al di fuori dei facili schematismi del “dopo” e delle petizioni di principio che già affollano i servizi giornalistici: uno su tutti, lo slogan della locandina di un giornale locale “Meno soldi per case ed alberghi” che, se fosse vero (ma Carim si è affrettata a smentire), dovrebbe stimolare solo brindisi di gioia ed un corale “finalmente!”.
Delle tante questioni che il ritorno in bonis di Carim mette sul tappeto, le due principali mi paiono quelle riguardanti il credito alle imprese del territorio, da una parte e, dall’altra, il ruolo dell’azionista di maggioranza, la Fondazione, negli scorsi ottusamente cieca ed ignava di fronte allo scempio della banca fatto dagli uomini da lei stessa nominati (solo gli ingenui possono pensare che Carim sia stata commissariata due anni per colpa della ex-controllata sanmarinese CIS).

Se Carim sarà davvero attenta alle esigenze del territorio, non concederà credito per alimentare la rendita immobiliare o turistica, ma accompagnerà quello che, molto ambiziosamente, il Sindaco Gnassi definisce piano di riqualificazione dell’offerta turistica: vaste programme, varrà la pena riparlarne. Quanto alla Fondazione, che conta i giorni che la separano dal 2015 (data prevista per il ritorno del dividendo: ma il piano strategico è tutto da fare), non sarebbe male se riflettesse, in tutte le sue componenti, su quanto possa far male intromettersi senza vigilare, decidere senza controllare, chiedere ritorni senza esigere responsabilità. Il commissariamento morale della Fondazione Carim è nei fatti, prenderne atto sarebbe un gesto di sano realismo.

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Chi guiderà la #Carim

Chi guiderà la #Carim

La lettura dei nomi dei candidati alla  carica di consiglieri di amministrazione di Banca Carim, così come appare oggi sulla stampa locale,  fornisce più di un motivo di riflessione non solo sulle Fondazioni Bancarie e sui loro processi di governo interni, ma anche su come si debba interpretare, in questo momento storico, l’atteggiamento della Banca d’Italia rispetto alla soluzione delle crisi degli intermediari creditizi.

Anche evitando facili battute sul governo dei professori, non si puo’ evitare di notare che il più lungo commissariamento della storia bancaria recente si concluda con l’imposizione, da parte di Banca d’Italia, di nomi di tecnici quasi del tutto slegati (con l’eccezione della prof.ssa Brighi) dal territorio,  e soprattutto, molto legati alla Vigilanza stessa. Si pensi al riguardo ai nomi del presidente in pectore, Bonfatti ed al vice-presidente, Vera Zamagni. Per il resto, scarseggiano gli imprenditori, il che per una banca a vocazione locale non e’propriamente commendevole: al contrario, l’abbondanza di liberi professionisti  dovrebbe far riflettere sui meccanismi che, all’interno delle Fondazioni Bancarie, regolano i meccanismi decisionali. Rebus sic stantibus il nuovo CdA di Carim e’fatto  per tranquillizzare Banca d’Italia, non certamente per percorrere sentieri di gloria. E, paradossalmente, proprio questo forse e’il limite che più di altri ricorda il passato (un CdA che lasciava fare ad una direzione megalomane e fuori controllo): il direttore generale designato, probabilmente, avra’ le redini della banca, all’interno di un percorso che di strategico avrà ben poco, perché il risanamento avrà la priorità, su qualunque altro discorso, compresi quelli dello sviluppo del territorio. Ad ogni modo, buon lavoro.