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Alessandro Berti Banca d'Italia Banche Banche di credito cooperativo BCE

Io non voglio pagare per qualche idiota.

Io non voglio pagare per qualche idiota.

Il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco  a Roma il  14 novembre 2012. L'incontro tra i vertici dell'Abi e il governatore della Banca d'Italia Visco di oggi è stato "molto approfondito e di forte soddisfazione": lo ha detto all'ANSA il neopresidente Antonio Patuelli precisando che "abbiamo avuto conferma dai vertici di Bankitalia della stabilità del mondo bancario italiano"ANSA/CLAUDIO PERI
Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco a Roma il 14 novembre 2012.

Io non voglio che le tasse che pago vadano a coprire i buchi nelle tasche di risparmiatori il cui comportamento non merita altro appellativo che quello di dabbenaggine. Perché a dispetto degli alti strilli dei risparmiatori di ieri di fronte ai palazzi del potere di Roma, di dabbenaggine si tratta (anche se la parola giusta sarebbe un’altra: idiozia). La dabbenaggine di chi pensa che solo a lui sia apparsa la luce di rendimenti elevati quando persino lo Stato paga in negativo. Il rischio è connesso al rendimento: capre, capre, capre. Capre: solo una capra può pensare che a lui spettino rendimenti superiori a quelli del mercato.

Non voglio pagare perché Libero, Il Giornale, Brunetta e soci, sempre allegramente assenti quando Tremonti litigava con Bankitalia e quando c’era da avere una politica del credito (avrà tanti difetti, ma questo governo una politica ce l’ha: non vi piace? Non votateli.) che nessuno ha mai nemmeno concepito, delegando tutto a Banca d’Italia, che ha fatto quel che vuole ogni vigilatore. Ha sterminato più banche che poteva, lasciandole cuocere a fuoco lento, per poter avere meno soggettida vigilare.

E infine, proprio per questo, non voglio pagare perché la Banca d’Italia che fa le ispezioni selettive (risk focused le chiamano), non si è accorta di nulla, così come la Consob, che per definizione non si accorge mai di nulla. Non voglio pagare per evitare class action a qualcuno: fate finalmente queste class action. Fatele e piantatela di strillare. Capre.

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Banche Rischi

It looks unreformed, unwieldy and ultimately unsustainable (Rischi operativi).

It looks unreformed, unwieldy and ultimately unsustainable (Rischi operativi).

UBS ha comunicato di avere perduto 2 miliardi di dollari a causa di una  frode perpetrata da Kweku Adoboli, dipendente del gruppo, arrestato a Londra. Non sarebbe niente, se fosse la prima volta che accade. Ma, come ricorda Bloomberg “How many times do we have to see huge UBS losses?” said Simon Maughan, head of sales and distribution at MF Global Ltd. in London. “It looks unreformed, unwieldy and ultimately unsustainable. This could be a critical tipping point for UBS’s strategy.”

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Barack Obama Rischi Stato USA

Fare sempre di più (cioè “lasciar fare” sempre di meno).

Fare sempre di più (cioè “lasciar fare” sempre di meno).

New York, Subway, july 2011

Il principio di precauzione è una bestia strana, che risale almeno al “Vorsorgeprinzip”, il cardine della politica ambientale tedesca degli anni Settanta il quale imponeva di “provvedere prima” ai disastri (nel senso: meglio prevenire che curare). In realtà alcuni scavano ancora più indietro, risalendo ora agli anni Cinquanta, ora alla fine dell’Ottocento, ma tutti riconoscono l’importanza della figura di Hans Jonas e del suo “Principio di responsabilità”. Il principio di precauzione piace al movimento verde, piace agli interventisti economici, piace ai governi e piace alle organizzazioni internazionali, perchè fornisce a ciascuno di questi attori una fortissima giustificazione morale per “fare” sempre di più (cioè “lasciar fare” sempre di meno), ossia, per dirla in modo un poco datato, per pianificare. Proprio in un documento dell’Onu, la Dichiarazione di Rio del 1992, sta la formulazione canonica del principio: “Laddove vi siano minacce di danni seri o irreversibili, la mancanza di piene certezze scientifiche non potrà costituire un motivo per ritardare l’adozione di misure economicamente efficienti volte a prevenire il degrado ambientale”. Il richiamo alla “cost effectiveness” è la parte più trascurata del principio. Infatti esso rappresenta un salto quantico rispetto alla tradizionale analisi costi-benefici, perchè l’accento si sposta interamente dal lato dei costi, l’onere della prova ne viene conseguentemente ribaltato (per poter fare, devo provare che non danneggerò nessuno), e l’enfasi è tutta sull’abolizione del rischio, mentre nessuna attenzione rimane per le possibilità colte oppure perse. Nelle parole di Aaron Wildavsky, lo scienziato sociale autore di “Searching for Safety”, esistono due tipi di approccio: per “tentativi ed errori” oppure per “tentativi senza errore”. Scrive: “Secondo la dottrina del ‘tentativo senza errore’ nessun cambiamento verrà consentito se non c’è una solida prova che la sostanza o l’azione proposta non farà alcun male… E’ vero che senza tentativi non possono esserci errori; ma senza questi errori, ci saranno anche meno insegnamenti”. Per Wildavsky, chi non risica non rosica, e soprattutto non impara. Poichè la dimensione dell’apprendimento è fatalmente collettiva, l’avversione al rischio demolisce il processo di creazione della conoscenza (in senso ampio, il mercato) e impoverisce tutti, intellettualmente, tecnicamente e finanziariamente. Gli esempi sono numerosi.

Carlo Stagnaro, Il Foglio, 30 agosto 2011

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Rischi

Non esiste nulla di più devastante di un futuro certo.

Non esiste nulla di più devastante di un futuro certo.


(..) in realtà per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo.

Alexander Supertramp (Christopher McCandless), lettera spedita a Ronald A. Franz

 

 

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Educazione Rischi Università welfare

Ma i rischi?

Ma i rischi?


(..) dalla malattia si esce o si può uscire. La malattia può essere affrontata e respinta, battuta. Ma i rischi? I rischi nascono, proliferano, si moltiplicano, ma non sono pressoché mai sconfitti, mai battuti, perché per un rischio che se ne va un rischio arriva, e magari due o tre, a prenderne il posto. Per le malattie ci sono le medicine. Ma per i rischi? Sono molto più infidi, segreti, oscuri, traditori delle malattie. C’è dunque in giro una vera e propria ripulsa del rischio. Che diventa psicosi, ossessione, fobia per quanto riguarda non semplicemente i bambini ma i figli più in generale – quale che sia la loro età. Il cinema, non solo quello italiano, abbonda ormai di storie di figli che non vogliono uscire di casa perché, lavoro o non lavoro, soldi o non soldi, non si sentono ancora pronti ad assumersi responsabilità, non si sentono ancora adulti e, in ultima analisi, non gli va neppure di diventarlo. Figli che dichiarano di sentirsi ancora adolescenti
a trent’anni e anche di più. E – e qui sta il bello – che non avvertono alcun
disagio a sentirsi ancora adolescenti a trent’anni e passa. Non per niente un nostro ultratrentenne su tre vive ancora nelle famiglie di origine, coi maschi in netto vantaggio sulle femmine. Sono le generazioni che non vogliono correre rischi, che prima di fare un passo pretendono di avere assicurazione che il terreno non gli cederà sotto i piedi. L’Italia le ha allevate con cura, queste generazioni, ma sembra che più in generale l’occidente si appresti a seguire
questa strada.

Roberto Volpi, Il Foglio, 25 marzo 2011.

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Educazione Felicità Rischi Università

Chi non rischia, non afferra.

Chi non rischia, non afferra.

Se non vuoi correre il rischio di trovarti male fuori dalla tua famiglia di origine, in fondo non hai che da restarci il più a lungo possibile, magari per sempre. La cosa è possibile, perché quello che non ti veniva concesso prima non raramente ti viene perfino consigliato oggi. Sono spesso i genitori a mettere in guardia i figli dall’uscire di casa senza prima avere bene concretizzato, una dopo l’altra, tutte le condizioni per una fuoruscita “senza rischi”. Chiediamoci perché l’Italia ha una proporzione tanto alta di famiglie che vivono in una casa di proprietà (oltre il settantadue per cento, più un altro dieci per cento con forme di godimento gratuito) e perché questa proporzione non conosce flessioni nonostante che da due decenni almeno non si faccia che lamentare le difficoltà dei giovani a trovare lavoro e gli alti tassi di disoccupazione giovanile.
I giovani restano più a lungo in famiglia, certamente. Ma soprattutto le famiglie si preoccupano di comprare o di costruire loro stesse in economia, se possono,
e anche quando non possono, un appartamento perché il figlio ultratrentenne possa lasciare il nido senza correre rischi. La cosa più strabiliante, a pensarci, è
che tutto questo avviene in un tempo in cui l’orizzonte mai è stato tanto carico di “rischio”: il tempo della globalizzazione, della mondializzazione delle sfide, della concorrenza aperta e a tutto campo, del niente è più acquisito una volta per tutte, perché tutto può sempre cambiare da un momento all’altro. E dunque chi non rischia non afferra, non stringe, non porta a casa alcunché. Lo dicevano i nostri nonni, mangiati via dall’era digitale, mentre noi digitalizzati a furia di voler risparmiare loro “rischi inutili” abbiamo gettato i nostri giovani in bocca al più famelico e fatale, culturalmente parlando, dei rischi: quello di mettersi a rincorrere il miraggio del posto fisso nella pubblica amministrazione saltabeccando da un concorso all’altro, da un palasport all’altro (ci vogliono i palasport, in Italia, per contenere i pretendenti a un posto di vigile urbano o di usciere in un comune).
E’ terribilmente fuori tempo tutto questo.

Roberto Volpi, Il Foglio, 25 marzo 2011

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Rischi Risparmio e investimenti

Dove osano le volpi.

Un investimento definito dalla società di revisione Deloitte & Touche non a rischio in una banca, la Mb finita in amministrazione straordinaria. La società dei trasporti di Parma, la Tep controllata dal Comune e dalla Provincia ora si trova con un ammanco di quasi 9 milioni di euro che difficilmente potrà recuperare, a meno che non intervenga un “cavaliere bianco” a rilevare la banca.

La vicenda che sta creando forti imbarazzi alla giunta del Pdl, guidata da Pietro Vignali è già costata il posto al presidente della Tep Tiziano Mauro e ha spinto la procura di Parma ad aprire un fascicolo. Potrebbe essere relegata nella categoria della gestione della cosa pubblica, se non fosse per i legami tra le società che ruotano attorno al comune e la stessa Mb, fondata da Fabio Arpe: Andrea Costa, ex presidente della Tep e ora numero uno della Stt la honding che controlla le municipalizzate di Parma, è socio con circa il 4% in Mb attraverso la C&C and partners, un investimento ora a rischio. La stessa Stt per sanare parte del suo debito, aveva in programma l’emissione di un bond di circa 90 milioni e per questo aveva chiesto il rating all’agenzia Standard & Poor’s. Società di revisione e agenzia di rating sono conosciute a Parma essendo state entrambe coinvolte nel crack della Parmalat.

La Deloitte è da tre anni revisore della Tep quando il presidente della società dei trasporti Tiziano Mauro, fresco di nomina, arrivato per sostituire Andrea Costa, indìce nell’aprile 2009 una gara per la scelta della banca che dovrà gestire la liquidità. La scelta cade sulla Mb che a differenza dei concorrenti offre un rendimento doppio, il 3% annuo a tasso fisso per certificati di deposito a quattro mesi, scadenza primo ottobre 2009. Tutta la liquidità viene così impiegata in Mb in due tranche da 5 e da 3 milioni di euro. La banca milanese entra in amministrazione straordinaria il 10 luglio 2009, ma i consiglieri della Tep sostengono di essere venuti a conoscenza del ruolo della banca nella società pubblica soltanto un anno dopo.

Il presidente a cui spetta il compito della gestione della liquidità è costretto alle dimissioni anche perché gli riesce difficile spiegare le ragioni di un investimento così corposo in una banca in forti difficoltà economiche. Nel tourbillon delle polemiche finisce anche la Deloitte che nell’aprile 2009 era diventata revisore di Mb. Un compito che tuttavia non eserciterà mai essendo la banca finita nel frattempo in amministrazione straordinaria.

Gli amministratori della Tep ora lamentano di non avere ricevuto alcuna segnalazione sulle alterne vicende di Mb, né dal presidente né dai revisori, i quali nelle verifiche trimestrali scrivevano che «non sono emerse irregolarità o fatti censurabili per richiedere la segnalazione al collegio sindacale e al cda della società». Una impostazione che si ritrova anche nella relazione sintetica al bilancio del giugno 2010 dove si ribadisce che «non sussistono rischi». Tanta sicurezza è giustificata dall’eventuale intervento, in caso di insolvenza, del Fondo interbancario a tutela dei depositi e della clientela. Quanto basta per non ritenere necessario agli amministratori apporre accantonamenti a copertura dei rischi di solvibilità del credito, una impostazione ritenuta dagli auditors «ragionevole e condivisibile», ribadendo in una nota di avere computo la revisione «nel pieno rispetto delle norme di leggi».

Le responsabilità si palleggiano tra il collegio sindacale e la Deloitte che si accusano a vicenda su chi avesse dovuto controllare e informare. Sul ruolo della società di revisione, intanto, sta indagando la guardia di finanza e nei giorni scorsi è stato sentito il commissario straordinario dell’istituto Luigi Moncada. Il quale ha lasciato poche speranze sul futuro della banca: il suo mandato scade a gennaio e l’insuccesso delle strategie perseguite per la rimessa in bonis dell’istituto ne rendono sempre più prossima la sua liquidazione.

Da Il Sole 24 Ore dell’11 novembre 2010

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Banche Banche di credito cooperativo Educazione Imprese Rischi USA

La cultura del rischio.

L’iniziativa della Fondazione Mind the Bridge e del Corriere della Sera che ha raccolto e selezionato 10 progetti di start-up e che viene raccontata nell’articolo di Massimo Sideri è certamente interessante e meritoria. Lo è perché enfatizza il gusto del rischio e dell’intrapresa, proprio in un momento in cui è facile, complici interpretazioni parziali e fuorvianti, aderire al mainstream del posto fisso ed assicurato.

Lo è a maggior ragione perché sottolinea, giustamente, che non sono gli errori a definire il valore delle persone, anche dovesse trattarsi di un fallimento; arrivando alla paradossale dichiarazione di chi si dispiace di non essere mai fallito. E’ difficile, tuttavia, sottrarsi ad una sensazione di disagio, nel leggere l’articolo. Perché, al fondo, resta l’impressione che il valore dominante sia il posto fisso, a tutti i costi: e che la flessibilità e la mobilità siano, più che altro, un valore che vale per gli altri. Difficile sottrarsi al disagio nel leggere, accanto al bel servizio di Sideri, quelli di tanti altri suoi colleghi -sul Corriere anziché su Repubblica- che ammiccano alle difficoltà dei giovani, mostrando solo i problemi e non ponendo mai in primo piano il positivo. Il positivo di chi costruisce, di coloro che rischiano e non hanno paura, delle banche, e sono tante, soprattutto locali, che si fanno carico dello sviluppo delle imprese e della coesione del tessuto sociale ed economico. Quando sarà finita la crisi, da cosa ripartiremo? Dalle lamentazioni infinite di Stella e Rizzo o da questi 10 progetti?

 

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Banche Giulio Tremonti Rischi Vigilanza bancaria

Una e trina.

Dunque ci sarebbe l’accordo, in sede UE, a partire dal 2011, per il varo dell’Autorità Europea su banche, assicurazioni e mercati. Le tre Autorità avranno sede a Londra, Francoforte e Parigi, e saranno affiancate da un ulteriore organismo, il Comitato Europeo per i rischi sistemici (ESRB o European Systemic Risk Board), il cui compito sarebbe quello di “lanciare allarmi” ma senza poter dichiarare lo stato d’emergenza finanziario.

Come per gli USA, con il Financial Stability Oversight Council, la risposta alla grande crisi finanziaria è stata una moltiplicazione di autorità, nazionali e non, i cui compiti -come da dibattito ormai decennale fra gli economisti del settore- si sovrappongono e non sono sempre certi. A tacer del fatto che, di norma, si creano nuove burocrazie, come sempre, a futura memoria, dure a morire. E’ difficile immaginare l’efficacia del nuovo Comitato per i rischi sistemici senza sapere quale sia la sua dotazione di risorse, il suo osservatorio ed i dati rilevanti di cui potrà disporre, senza dimenticare che, al momento attuale, pare poco più di un cane da guardia, magari molto grosso e cattivo, ma legato alla catena. Infine, non c’è autorità senza esercizio delle medesima e dei poteri che ne conseguono: che nel caso di specie dovrebbero corrispondere alla possibilità di irrogare sanzioni, significativamente elevate e dissuasive, elemento che al momento non si intravvede. Il buon senso, per intanto, dice che si potrebbero rafforzare i coefficienti patrimoniali di Basilea 3. E checché ne dica il Ministro dell’Economia, non è proprio un gioco da bambini.

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Banca d'Italia Banche Liquidità Mario Draghi Rischi

Strumenti di qualità elevata (soldi veri).

Rinsaldare la stabilità delle banche, contenere il rischio di liquidità sono gli obiettivi principali del pacchetto di proposte regolamentari recentemente messo a punto dal Comitato di Basilea. Il patrimonio degli intermediari dovrà essere composto da strumenti di qualità elevata, veramente capaci di assorbire le perdite; la leva finanziaria verrà limitata; si attenueranno gli aspetti pro-ciclici della regolamentazione, prevedendo riserve e accantonamenti da accumulare nei periodi di forte crescita, da utilizzare quando si materializzino perdite.

Mario Draghi, intervento al Forex, Napoli, 12 febbraio 2010