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Crisi finanziaria

La ragione per cui.

La ragione per cui.

©P.B.

La ragione per cui aveva lasciato Abelson, dove comunque era stato tanto fortunato da continuare a riscuotere la vista paga durante il crollo in borsa e anche negli anni peggiori della Depressione, la ragione per cui aveva osato aprire un negozio tutto suo in un momento così brutto, era semplice: a tutti quelli che glielo chiedevano, e anche a quelli che non glielo chiedevano, spiegava:”Dovevo avere qualcosa da lasciare ai miei due ragazzi”.

Philip Roth, Everyman, Einaudi

 

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don Giussani

Il senso della storia è l’indice supremo della ricchezza dello spirito.

Il senso della storia è l’indice supremo della ricchezza dello spirito.

“(…) la storia vive un momento in cui viene meno il senso della storia: affannato e appassionato nell’opera presente, l’uomo smarrisce il senso della storia. Da questo punto di vista, un tempo come il nostro, se è ricco di una energia inusitata, se è ricco di una forza operativa impensata fino a pochi anni fa, è estremamente povero di spirito, ma non nel senso evengelico della parola; è un’epoca estremamente povera perché la ricchezza dello spirito è eminentemente un fenomeno, un avvenimento di sintesi, e il senso della storia è l’indice supremo della ricchezza dello spirito.

Mons.Luigi Giussani (citato da Julian Carrón in Giornata di inizio 2018).

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Banche Crisi finanziaria Educazione Imprese Sviluppo

Perché la musica che mettono in continuazione non mi dice nulla della mia vita (Hang the DJ).

Perché la musica che mettono in continuazione non mi dice nulla della mia vita (Hang the DJ).

Mentre la Guardia di Finanza di Rimini rileva l’irregolarità di quasi il 60% degli scontrini, mentre si discute se sia meglio trivellare per ricercare il petrolio, oppure installare l’eolico in mare (già ora non particolarmente limpido), la locandina di un giornale locale spara la notizia di una “lista civica per rilanciare il turismo“. Il giornale medesimo equivale al Sun, ma con molto meno appeal e, ovviamente, diffusione. Ma la notizia merita un commento, in una città che ha fatto un piano strategico (finito non si sa dove), una molo street parade, una Notte Rosa, una app per i chioschi di piadina ma che non riesce a disegnare il suo futuro, tantomeno per la sua banca principale, la Carim.

Una lista civica per fare cosa? Con quali contenuti? La questione dell’educazione, intesa come valori, come cultura condivisa, come capacità di leggere ed affrontare la vita, come introduzione alla realtà secondo la totalità dei suoi fattori rimane tuttora fuori: così come rimane sempre fuori la domanda sul perché tanta gente venga in Riviera, senza (quasi) mai vedere il mare, con tutto il carico culturale e comportamentale che questo comporta.

La musica che mettono in continuazione non mi dice nulla per la mia vita (hang the DJ).

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Imprese

L’imprenditore.

L’imprenditore.

Ieri sera comincio una discussione su twitter con un signore (twitter@l’imprenditore), titolare di impresa, nonchè di un blog, che dopo aver comunicato che Malaguti chiude, sottolinea la correttezza dei proprietari, che danno soldi agli operai, pagano i fornitori e, giustamente si lamentano dell’impossibilità di fare impresa in Italia. Tutto giusto, compreso il lamento. Gli dico che secondo me, tuttavia, il gesto dei Malaguti non è solo il segno della stanchezza di un imprenditore vessato dal fisco, dalle banche e dai problemi di ogni giorno. Gli dico anche che se uno chiude, è perché ha chiuso dentro di sè, ha chiuso lui: e poi, e qui non gli sono decisamente piaciuto, gli dico che l’impresa non gli appartiene. Non avevo ancora letto il sottotitolo del suo blog, Faber est suae quisque fortunae.(ognuno è artefice delle proprie fortune), mi sarei spiegato meglio l’immediatezza della risposta. “Questa me la segno” e “La prossima volta che faccio un aumento di capitale chiedo a sindacati, professori e banche” è stato, più o meno, il commento (chi vuole può rileggersi la conversazione su twitter).

Vale la pena dire due parole su questo punto, senza pretese, solo per spiegare che non si stanno discutendo diritti di proprietà, maggioranze assembleari, poteri. La vera questione è un’altra e riguarda la concezione che hai dell’impresa. Può essere qualcosa che è solo tuo, che dipende solo da te, rispetto alla quale tu decidi tutto massimizzando, come diceva l’amico imprenditore, il rendimento dopo avere valutato i rischi: e allora siccome è solo tua, decidi che sei stanco, che quelle persone che lavorano con te vanno licenziate, che ti tieni il capitale e morta lì. E’ legittimo, ma non è una scelta da imprenditore, è la scelta di uno che ha ormeggiato, ha gettato l’ancora ed ammaina le vele. Che lascerà dei soldi ai figli, se li ha, ma che non costruisce più nulla. Dire che l’impresa non ti appartiene vuol dire, prima di tutto, che sei consapevole che non è vero che tutto dipende da te, anzi, che gli esiti sono di un Altro, con la A maiuscola. Vuol dire che combatti fino alla fine, lasciando a Dio gli adempimenti, vuol dire che sai che non sei solo, che ci sono le storie di quelli che hanno lavorato con te e per te, ci sono culture e modi di concepire la realtà con i quali hai fatto un pezzo di strada. Tu puoi decidere che non vuoi più combattere. Ma la battaglia non sarà più la stessa. E nemmeno tu.

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Banche Crisi finanziaria Liquidità

Ogni valore evapora nel Pin di una carta di credito.

Ogni valore evapora nel Pin di una carta di credito.

In nome di Sua Maestà Fiscale la cancellazione del denaro sonante è ormai un processo irreversibile, quale che sia il governo in carica. Questo processo muta in profondità le nostre azioni, il nostro vissuto quotidiano. Se devi pagare in banconote il tuo cappotto nuovo, gli attribuirai un valore; ma ogni valore evapora nel Pin della carta di credito. Non percepisci più la spesa, e in conseguenza non ti accorgi nemmeno di cosa stai acquistando. Resta l’acquisto in sé, resta una transazione astratta, una forma senza spessore.

Michele Ainis, Corriere della Sera LA LETTURA, 24 dicembre 2011

 

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Crisi finanziaria Disoccupazione Educazione Lavoro

Sono stanca (non ho un senso per il lavoro).

Sono stanca (non ho un senso per il lavoro).

Alexander Deineka, Donbass

sono nata il 31 dicembre 1953. Ho iniziato a lavorare il 1 marzo 1973, senza mai interruzioni, di cui due anni come co.co.co, 10 mesi con l’enpals. Non vedo l’ora di andare in pensione. Nella mia famiglia, non ho parenti, solo cognati, tutti impiegati presso lo Stato, sono in pensione da più di vent’anni, e mi prendono in giro. Mi accorgo che passando gli anni non ho più la prontezza e la forza fisica degli anni addietro. Lavoro presso un studio di commercialisti e avvocati, ogni lavoro oltre la routine mi pesa da morire; il mese di maggio è diventato un incubo. Ma per chi devo lavorare ancora? Tempo addietro è stato messo un annuncio per trovare del personale che mi aiutasse: le prime domande che mi fecero i canditati: “quanto si guadagna? quante ore di lavoro durante la settimana? quante ferie mi spettano? il sabato non si lavora, vero? Quando ho inziato a lavorare io, si lavorava tutti i sabati mattina, ed il mese di maggio si attaccava il 2 maggio e si terminava il 31, sabati, domeniche, alcune notti quando si era in ritardo, e tutto a mano, non esistevano i computer, si battevano a macchina tutte le dichiarazioni dei reddit! Chi ora lo farebbe? Mi auguro solo, una volta andata in pensione, di potermi godere tutti i sacrifici fatti durante la vita lavorativa.

Lettera di Bianca Maria a Corriere.it

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Capitalismo Crisi finanziaria Felicità fiducia Germania

Hai una ragione per vivere (you get what you give).

Hai una ragione per vivere (you get what you give).

Hai la musica nell’anima, non lasciarla andare
Hai la musica nell’anima, c’è ancora qualche ballo
questo mondo sopravviverà, non cedere
hai una ragione per vivere
non possiamo dimenticare
abbiamo solo quello che meritiamo.

New Radicals You get what you give

 

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Banche Crisi finanziaria Disoccupazione Lavorare in banca Lavoro Regno Unito

Escape the City (unhappy in banking).

Escape the City (unhappy in banking).

Bloomberg riporta le storie di alcuni ex-manager bancari che hanno colto opportunità di business dall’insoddisfazione e dall’infelicità di coloro che lavorano nelle banche di Londra o New York.

Escape the City was created specifically to help talented people escape from unfulfilling corporate jobs after we realized that our own feelings of misery and frustration at work were shared by a lot of people,” Symington said in an interview in London. “We stumbled upon a business opportunity by following a hunch about job dissatisfaction to its logical conclusion.”

E ancora: “I don’t think I’ve ever met more people who are highly trained and unhappy in banking — except when it comes to the money,” said Peter Hahn, 53, a former Citigroup Inc. (C) banker”.

Per educazione e per cultura dubito che la fuga sia una soluzione: un lavoro difficile ed impegnativo può essere faticoso e duro, oltre che pieno di significato, così come un lavoro fatto a favore dei poveri della Mongolia o dell’Africa può risultare privo di senso e vacuo per chi si affida solo ad esso per riempire il vuoto di ogni giorno. Ma al di là dei programmi di Escape the City, riassunti efficacemente con “fai qualcosa di differente”, la questione che viene posta è interessante, perché riguarda il senso di quello che si fa: e pone ad ognuno, qualunque cosa faccia per vivere, la stessa domanda.

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Educazione Formazione Lavoro Università

Manutenzioni e riparazioni.

Manutenzioni e riparazioni.

Vedendo quanto a lungo i giovani restano prigionieri di lauree, specializzazioni e dottorati, dovremmo allarmarci. A trentacinque anni e più sono ancora studenti, eterni apprendisti, sempre in attesa di “perfezionamento” e di “specializzazione”,
mai pronti a fare qualcosa. Al liceo gli studenti si annoiano e non imparano a fare niente. Potrebbero almeno insegnare ai ragazzini di scuola elementare e media, capirebbero finalmente cosa vuol dire imparare, studiare, sapere, insegnare.
L’Italia è stata per decenni malata di accaparramento di “posti di lavoro” nei quali di lavoro se ne faceva ben poco. Ma un paese in cui non si sa più lavorare va verso l’autodistruzione. Ricordo la Cuba di Fidel Castro: nessuno che facesse bene quello che faceva, sembrava che fare bene le cose non avesse senso. Una società che è stata in coma per decenni: simpatica, forse, ma sapeva di cadavere. Troppa politica, troppa estetica anche in Italia. Dedichiamoci di più alla manutenzione e alla riparazione. Si attendono corsi a puntate di falegnameria e di pronto soccorso.

Alfonso Berardinelli

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Banche Lavorare in banca Lavoro

Informazioni di funzionamento (road show).

Road show è parola abusata, come quella “comunità finanziaria” che la utilizza e che, probabilmente, non sa nemmeno cosa sia una comunità, di qualunque tipo. Paolo Zucca, nel numero di sabato di Plus 24, tutto incentrato sul lavoro bancario, ha ragioni da vendere quando sottolinea i rischi di una formazione che sia poco più che funzionale all’attività di vendita e di collocamento di prodotti alla clientela.

La formazione tocca a quadri professionali e dirigenti, dice il giornalista, ai neo-assunti vengono passate, testuale “informazioni di funzionamento“, quelle che una volta in italiano si chiamavano istruzioni per l’uso. Fra formazione on-line -dequalificante come poche altre attività- e obblighi contrattuali, ovvero la formazione che si deve fare, nessuno (salvo la consueta eccezione delle banche locali) si preoccupa di aiutare il bancario a servire davvero il cliente, per quelle che sono le sue esigenze, sia esso un risparmiatore o una piccola impresa. E, soprattutto, nessuno lo aiuta a dare un senso al proprio lavoro.