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Banche Unicredit USA

Di chi è la colpa?

Di chi è la colpa?


(..) Certo, decenza e professionalità vorrebbero che un manager non chiedesse la luna. Ma in linea di principio il compenso annuale e la liquidazione dovrebbero essere decisi, in totale autonomia, dal consiglio di amministrazione, su proposta del comitato di remunerazione. Spesso i consiglieri, ansiosi di conquistarsi le benevolenze del management, offrono pacchetti estremamente generosi. Ci aspettiamo veramente che i manager dicano no, questo è troppo? Quanti di noi, in tutta onestà, farebbero altrettanto? La responsabilità dei compensi eccessivi quindi non è dei manager, ma dei consiglieri di amministrazione che votano questi pacchetti. Ancora più la responsabilità è dei consiglieri che siedono nel comitato remunerazione. Sono loro che ricevono le informazioni tecniche sui livelli di mercato. E sono loro che hanno il compito di istruire la pratica e fare le proposte al Consiglio. Nella maggior parte dei casi queste proposte sono accettate in toto o modificate in maniera marginale. Sono loro i maggior responsabili. Così Luigi Zingales sul Sole 24 Ore, chiedendosi di chi sia realmente la responsabilità dei bonus pagati ai supermanager: Zingales risponde che le colpe, se così si può dire, andrebbero cercate nelle decisioni di coloro che siedono nei comitati per la remunerazione. Il ragionamento non fa una grinza, se non per un piccolo particolare: detta così, sembra che il comitato remunerazioni sia una repubblica indipendente dal Consiglio di amministrazione e che quest’ultimo sia a sua volta autonomo ed indipendente rispetto ai soci di maggioranza, quando è noto che questi ultimi esprimono, spesso direttamente, le figure dei consiglieri. Basti pensare -non a caso Zingales parla di Unicredit e di Profumo- al ruolo svolto da Fabrizio Palenzona. Le remunerazioni ai supermanager sono funzionali ai dividendi, l’unica vera unità di misura delle scelte degli azionisti. Isolare, per dir così, la responsabilità di un comitato dal resto della società è una soluzione che non soddisfa e, soprattutto, che non tiene conto di tutti i fattori in gioco. Che sono, fra l’altro, anche culturali, se è vero che qualcuno non ha fatto altro che ripetere come un mantra la storia ormai stantìa della”creazione di valore” per l’azionista. Se ricominciassimo di qua?

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Banche Vigilanza bancaria

Compensi trasparenti.

Il Comitato di Basilea per la supervisione del sistema bancario internazionale ha pubblicato oggi un proprio documento, consultabile anche su johnmaynard, che dovrebbe servire a rendere edotti i clienti delle banche sulle politiche retributive in grado di mettere in pericolo l’equilibrio gestionale.

L’intento è sicuramente lodevole, così come era lodevole, illo tempore, l’enunciazione di uno dei pilastri di Basilea 2, il terzo per l’appunto, mai applicato nella pratica. Ora, stante quanto contenuto nel documento, si dovrebbe cominciare a concretizzarlo. Di buone intenzioni sono lastricate le strade che conducono alle caldaie di Satanasso, diceva Kit Carson, l’indimenticabile pard di Tex Willer: anche allora, quando Basilea 2 venne varata, si parlò di fair-play regulation, di disclosure sulle politiche creditizie e sui rischi assunti, sulla combinazione rischio-rendimento e quanto altro. Non si vuole apparire noiosi, ma talvolta si ha l’impressione che l’unica cosa che i banchieri davvero capiscono, perché fa loro davvero male, è l’agire sulla leva del capitale: proprio.

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Banche Crisi finanziaria Lavorare in banca Lavoro

Meglio senza-tetto.

Il Senato della Repubblica ha approvato un emendamento che prevede un tetto per i compensi dei manager bancari, che non potranno superare le indennità dei parlamentari. La questione, ad evidenza, non può essere ridotta ad una semplice valutazione di opportunità, dal momento che è chiaro a tutti come i compensi dei manager bancari, fin troppo collegati a performances di breve periodo, abbiano contribuito a fornire propellente alla crisi finanziaria ed ai suoi effetti sull’economia reale.

Il metodo, tuttavia, non sembra dei migliori. A prescindere dall’autore dell’emendamento, appartenente al gran partito dei moralisti, l’IDV -circostanza che dovrebbe far riflettere sul realismo della proposta- l’emendamento pone vari problemi, soprattutto in tema di libertà economica e di decisioni manageriali. I compensi dei manager, di tutti i manager, esclusi quelli delle imprese pubbliche, dovrebbero essere lasciati nella loro determinazione alla libertà del soggetto economico: diversamente, la proposta profuma molto di dirigismo, oltre che di populismo, il che non sembra un fatto positivo.

Quanto ai manager, la decisione, più che un tetto, sembra un incentivo per avviarli verso carriere altrettanto dorate fuori dal settore finanziario. Senza alcuna garanzia che coloro che accetteranno di assumersi responsabilità, al prezzo della carriera di un deputato, sappiano fare di meglio.

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Banche Crisi finanziaria USA Vigilanza bancaria

Anche i regolatori hanno da imparare da Goldman (Sachs).

Con una lucidità pari solo alla sua caratura scientifica, il prof.Luigi Zingales torna sul tema dei superbonus ai manager bancari, spiegando perché Goldman Sachs -che non a caso, anche prima della crisi, era la prima banca d’affari del mondo- non solo ha restituito anticipatamente i denari ricevuti dal Tesoro USA, ma si è anche adoperata per creare un fondo a favore delle Pmi toccate dalla crisi (500 mln.di $ la dotazione) e, soprattutto, ha ancorato l’erogazione di bonus ai manager in termini temporali -almeno 3 anni- e di valorizzazione -in azioni della banca e non in contante-.

Le decisioni dei Governi inglese e americano di procedere ad una tassazione aggiuntiva dei superbonus forse portano consenso elettorale, intrisi come sono di populismo e demagogia. Come insegna Goldman, e sottolinea Zingales, vi sono metodi meno populisti ma, sicuramente, più efficaci.

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Banche

Non basta essere bravi (la fine di Cazenove).

Cazenove, una delle più antiche banche d’affari londinesi, fondata, come spiega il cognome, nel 1819 da un ugonotto francese di nome Philip riparato in Gran Bretagna, è stata “disciolta” in J.P.Morgan. Il destino della banca, come segnalato da Leonardo Maisano sul Sole 24 Ore del 20 novembre, è singolare: i denari rinvenienti dalla cessione andranno perlopiù a dipendenti, premiati in funzione della performance e della fedeltà nel lungo periodo. Quindi niente superbonus ma incentivi correttamente corrisposti in una logica di lungo termine. Dispiace che una cultura aziendale come quella descritta scompaia, tanto più che Cazenove aveva rinunciato alla quotazione preferendo cedere la metà del capitale alla banca americana. Il Sole 24 Ore, nel riportare la notizia afferma che “(..) le ambizioni da Cazenove erano scandite da regole strane. “Qui il merito non conta –diceva agli aspiranti banchieri Anthony Forbes direttore generale per un decennio- apprezziamo i partner affidabili. Coloro di cui ci fidiamo diventano amici parte della famiglia. Non basta essere bravi.” Non sono d’accordo circa il giudizio di stranezza che Maisano attribuisce alle regole di Cazenove, dal mio modesto punto di vista forse un po’ antipatica per via dell’eccesso di snobismo british (scarpe marroni e cravatte slacciate erano non solo bandite, ma segnali di ostilità e fonte di pregiudizi per la carriera).

In effetti, la regola di “diventare amici” di coloro di cui ci si fida, ovvero che si conoscono, non solo è molto realista ma, come insegna la storia di Warren Buffett –e della stessa Cazenove, visti i multipli pagati- anche molto redditizia.

 

 

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Banche BCE Vigilanza bancaria

Shampoo.

Il Presidente della BCE, Jean Claude Trichet, dinanzi ad una platea di banchieri, ha rivolto  una pressante esortazione affinché le banche usino i denari che i Governi e le Autorità di Vigilanza hanno dato loro per fuoriuscire dalla crisi, non per pagare bonus e dividendi, ma per aiutare famiglie ed imprese.

Nei manuali definiremmo la salutare lavata di capo di Monsieur Trichet come moral suasion, ovvero come incitamento ad assumere una certa condotta sulla base dell’autorità, appunto morale, di colui che la rivolge.

Tuttavia, stando all’esperienza degli ultimi mesi, la moral suasion non basta e dunque non serve più: l’esperienza italiana delle commissioni prefettizie che dovevano vigilare sul credit crunch sta a testimoniarlo. Forse si potrebbe accordare alle banche la piena deducibilità delle perdite su crediti, incentivo peraltro “di giustizia”, dal momento che non è pensabile che sia equo trattare le perdite come se fossero ricavi. Sarebbe un incentivo interessante, rischierebbe di rimanere nell’ambito della moral suasion.

Ci sono però anche altri sistemi per vigilare sul dovere dei banchieri di erogare credito alle imprese. Chi ha avuto modo di esaminare i verbali ispettivi della Vigilanza della Banca d’Italia, sa che gli ispettori possono andare molto a fondo nelle loro osservazioni, spingendosi a valutare il merito, oltre che il metodo. E, d’altra parte, sulla base delle segnalazioni periodiche di Vigilanza effettuate alla Centrale dei Rischi, non dovrebbe essere improponibile pensare di verificare ammontare e destinatari dei nuovi crediti, rilevando quali banche facciano o no il proprio dovere. Peraltro è noto, o dovrebbe esserlo, che uno dei pilastri di Basilea 2 era rappresentato dall’esplicitazione delle politiche di rischio assunte da ogni banca. Ed anche qui non dovrebbe essere difficile ipotizzare che la Banca d’Italia richieda requisiti più stringenti, con periodicità per esempio mensile, di comunicazione.

Si tratta di volerlo.

Per le imprese, e per le famiglie, si tratta, invece, di scegliere, ora più che mai: ricordando che le banche non sono tutte uguali.

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Banche Giulio Tremonti Unicredit USA

Bonus malus

Alessandro Profumo, in un incontro con i giornalisti avvenuto ad Istanbul, nell’ambito delle riunioni del Financial Stability Board, ha affermato che i bonus non sono stati un acceleratore della crisi, perlomeno non in Italia. E ribadisce l’utilità di strumenti in grado di responsabilizzare i manager bancari, con piani articolati nel tempo ed improntati ad una visione di medio-lungo termine.

Profumo ha ragione. I bonus non sono il diavolo e, se anche fossero stati un propellente della crisi, certamente non ne costituiscono l’origine, dal momento che, in quanto tali, altro non sono che un’espressione di una certa cultura del fare impresa, del fare banca, del concepire le relazioni ed i rapporti con il territorio e con il sociale: in altre parole, i bonus -che non sono stati certamente erogati al solo settore finanziario, come tante storie di capitalismo made in USA e non solo dimostrano- sono solo la punta dell’iceberg di un certo modo di intendere (o di non curarsi) della responsabilità sociale dell’impresa.

Detto ciò, forse l’uscita di Profumo, in contemporanea con il gran rifiuto di sottoscrivere i Tremonti-bond da parte di Unicredit, poteva essere più tempestiva, magari rinviando la discussione dell’argomento a momenti migliori. Il moralismo è la melassa che avvolge gran parte della cultura contemporanea, anche in ambito economico. Ma la disinvoltura con la quale ci si rifiuta ostinatamente di mettere in discussione se stessi ed il proprio modo di intendere la banca, da parte di tutti i grandi banchieri, comincia a diventare insopportabile.

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Banche Giulio Tremonti

Adelante Pedro, con juicio.

Francesco Giavazzi, in un duro e lucido editoriale sul Corriere di oggi “Troppa cautela verso le banche”, nel deprecare l’eccesso di cautela verso le banche, sottolinea, al pari di altri commentatori, lo spostamento del baricentro delle decisioni mondiali, verso un equilibrio che vede la progressiva diminuzione del peso dell’Europa e in essa, fatalmente, dell’Italia. Giavazzi ha buon gioco, ed è difficile dargli torto, anche nel sottolineare che l’Italia ha smarrito un’occasione, quella di emergere alla ribalta internazionale, dal momento che dei Legal Standards di cui ha parlato il Ministro Tremonti non viene fatta menzione nel documento finale del G20.
L’editoriale di Giavazzi, che brilla per sintesi ed efficacia, dovrebbe essere fatto studiare per comprendere di che si parli quando, a lezione, viene trattato l’argomento del trade off fra efficienza e stabilità. E che cosa significhi, vivaddio, l’espressione “vigilanza prudenziale”. Di quanto il professore bocconiano evidenzia due cose vanno ricordate.
La paradossale soluzione alla questione dei maxi bonus, non aboliti ma temperati da regole tipiche degli hedge fund (i quali, sarà un caso, ma dalla crisi sono usciti bene: forse perché legano le retribuzioni ai risultati di medio periodo?) è sicuramente importante, perché evita di introdurre regole di Stato e, al contempo, può essere efficace per contrastare gli eccessi del recente passato.
L’altro punto riguarda la “negoziazione di titoli non governativi e di altri strumenti finanziari”, sottratta, per il lobbying delle grandi banche, all’ipotesi di piattaforme pubbliche e, perciò stesso vigilate. Ciò che farebbe aumentare la trasparenza e diminuire la possibilità di extra-profitti. Tuttavia è evidente che la sottolineatura di Giavazzi, se da un lato pone in evidenza come il problema non siano i requisiti di capitale per il rischio di credito –Basilea 2, in verità, è da rifondare alla radice sui criteri di calcolo e di copertura dei rischi di mercato-, dall’altro rimette in discussione il principio della Mifid, del cui fallimento, peraltro, si è già parlato. Ovvero che moltiplicare le piattaforme di negoziazione, abolendo il principio della contrattazione accentrata, serva all’interesse dei risparmiatori perché riduce i costi: a quanto dice Giavazzi, i costi li moltiplica. Senza benefici, se non per le banche che, notoriamente, tali piattaforme gestiscono.

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Banche Crisi finanziaria

Liberté, égalité, mobilité

Bandiera_Francese.svgCirca 30 manager bancari, fino alla settimana scorsa alle dipendenze di Société Générale, hanno abbandonato la banca, che senza, peraltro, attendere le direttive del Presidente Sarkozy, aveva già provveduto ad autoregolamentare, riducendoli, i compensi ai dirigenti.

I 30 manager in questione hanno fondato un hedge fund, anche grazie a capitali di matrice americana.

Difficile immaginare che il caso rimanga isolato: la crisi non può eliminare o appiattire -nè lo possono fare le varie direttive governative- le aspirazioni professionali di individui preparati, ben addestrati e formati, in grado di generare ricchezza con l’applicazione del loro lavoro. Resta però da chiedersi se questo flying to quality (o flying to money) non possa, nel medio termine, penalizzare le istituzioni creditizie e finanziarie, e sono molte, che a causa dei finanziamenti statali ricevuti, dovranno assoggettarsi in maniera più stringente a limiti sulle retribuzioni; rischiando di limitare, perciò stesso, la qualità del capitale umano impiegato.

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Banche USA

Moralismo & superbonus

“Non ho mai apprezzato, e l’ho scritto, la violenta campagna contro le banche che si è scatenata con l’esplodere della crisi finanziaria.

Mentre altrove si spendeva un’enorme quantità di denaro pubblico per salvare gli istituti di credito, da noi si è accompagnata la creazione dei cosiddetti Tremonti bond con un lancio di pietre contro banche e banchieri cui quasi nessuno, dalla politica ai media, si è sottratto. Un vero e proprio sport nazionale: affamatori del popolo, strozzini, ladri, furbi e furbetti. Senza capire che le banche sono imprese come le altre, che se c’è una colpa di cui si sono macchiate nel passato è di aver dato troppi soldi a troppi e che dunque oggi un ritorno al merito di credito è sacrosanto.”

Enrico Cisnetto, Tre palle, un soldo, Il Foglio, 4 settembre 2009