Categorie
Banche Lavorare in banca Lavoro Vigilanza bancaria

Ovviamente.

(..) Secondo un’analisi di Keefe, Bruyette and Woods (Kbw), tra le banche italiane più esposte ai contraccolpi di Basilea 3 ci sono Monte dei Paschi e Banco Popolare. Le simulazioni che misurano la distanza del patrimonio di vigilanza attuale dai requisiti patrimoniali attesi al 2012 prevedono la necessità di iniezioni di capitale rispettivamente pari a 4,63 e 3 miliardi. Come dire un apporto dell’84 e del 41% dei rispettivi equity Tier 1. Apporto ridotto al 18% (ma si tratta pur sempre di 4,89 miliardi) per Intesa Sanpaolo, al 10% per UniCredit (4,06 miliardi, al 6% per Ubi (450 milioni circa), sino al minuscolo 2% (32 milioni) del Credem. Mps e Banco Popolare, secondo l’analisi, potrebbero dover ridurre drasticamente la distribuzione di dividendi per anni, o chiedere agli azionisti di metter mano al portafoglio, finanziando aumenti di capitale.

Ma gli azionisti, che hanno già visto la redditività calare in modo drastico per effetto della crisi finanziaria e della recessione, non sembrano per niente disposti a ulteriori riduzioni dei dividendi: anzi, chiedono un aumento dei payout. L’unica leva a disposizione del management, in assenza di un marcato rialzo dei tassi che ridìa ossigeno ai margini, e senza alcuna previsione che indichi alle viste una forte ripresa economica che porti ad accelerare la dinamica degli impieghi, è la compressione dei costi. Tutti i costi e, in particolare, quelli operativi. Compreso, ovviamente, quello del lavoro.

Nicola Borzi, Il Sole 24 Ore, 19 ottobre 2010

Categorie
Banche USA Vigilanza bancaria

Sic transit Basilea 3.

Alla fine un accordo è stato raggiunto. Basilea 3 vede la luce, sia pure cautamente e molto, molto gradualmente.

Le preoccupazioni espresse dal presidente dell’associazione bancaria europea, Alessandro Profumo, devono avere avuto una qualche eco nella riunione dei banchieri centrali che hanno stabilito che i requisiti di capitale debbano sì raddoppiare, ma nell’arco di ben 8/10 anni.

I nuovi requisiti sono più severi, il Tier 1 viene incrementato del 50%, il capitale di qualità primaria passa dal 2% al 4,5% ed oltre ai requisiti attuali dovrà essere stanziato un ulteriore buffer, o cuscinetto, di capitale del 2,5%, con evidente funzione anti-ciclica. Se si considera che in aggiunta a quanto evidenziato, sarà inasprito il regime delle deduzioni degli elementi non computabili, il quadro risulta indubbiamente più serio e più severo. Serietà, purtroppo per chi scrive, malauguratamente attenuata dalla constatazione che, fra una proroga e l’altra, le nuove regole entreranno in vigore fra il 2020 ed il 2023 (sic). Non resta che sperare che quanto contenuto nell’accordo di questa sera non risulti, nel frattempo, superato da nuove crisi e, soprattutto, da nuovi, innovativi, comportamenti di moral hazard. Comunicato_Comitato_Basilea_inglese

Categorie
Analisi finanziaria e di bilancio Banca d'Italia Banche Rischi Vigilanza bancaria

Scorte di attività prontamente liquidabili.

Giovanni Carosio

Giovanni Carosio, vice-direttore generale della Banca d’Italia, nel corso di un’audizione alla Camera dei Deputati, ha affermato che “appare chiara sin d’ora la necessità che le banche italiane aumentino le scorte di attività prontamente liquidabili”. L’audizione di Carosio e le affermazioni che in un ambito così rilevante sotto il profilo istituzionale sono state enunciate meriterebbero molte riflessioni. Il vice-direttore generale di Banca d’Italia, infatti, pur nella consapevolezza che le banche italiane abbiano sofferto meno per la crisi ed abbiano continuato senza problemi sostanziali nella loro attività di raccolta, si è anche detto consapevole che la nuova regolamentazione, nota ormai come Basilea 3 richiederà adeguamenti significativi. Se l’introduzione del leverage ratio (il rapporto massimo fra rischi assunti ed attività a debito) non dovrebbe comportare grandi problemi, provocando semmai un “ripensamento dei modelli di business di alcune banche”, costrette altrimenti a ricapitalizzare in misura assai elevata, al fine di proseguire nella gestione di attività innovative e maggiormente rischiose, potrebbero risultare di maggiore impatto le regole per il calcolo del patrimonio di qualità primaria. Quello per il quale, appunto, le banche italiane sono chiamate ad aumentare la scorta di attività prontamente liquidabili. Premesso che non si può che concordare con la notazione di Carosio, tanto più che egli stesso sostiene che dall’inasprimento delle regole dovrebbe beneficiare l’attività tradizionale di credito, rimane una perplessità, legata alla lunga frequentazione di uffici fidi e di analisi istruttorie. Riusciranno le banche italiane a comprendere fino in fondo quanto loro richiesto, quando, per lunghi anni (e, a quanto pare anche ora) hanno continuato a considerare le scorte presenti nel bilancio delle imprese alla stregua di liquidità differite? Il dubbio rimane: così come rimane la curiosità, probabilmente destinata a rimanere irrisolta, sull’inventore di quella durevolmente dannosa scemenza contabile che identifica nel magazzino una liquidità, appunto, differita.

Categorie
Banche Imprese Indebitamento delle imprese Mariella Burani

Capitani coraggiosi.

Fabio Tamburini, sul Sole 24 Ore di oggi commenta il comportamento di Mediobanca, prudente nelle scelte, restìa ad essere coinvolta in progetti impegnativi, nonostante i tassi siano bassi. Tamburini cita un anonimo banchiere, il quale afferma che “ci vorrebbe un po’ più di coraggio”. Ma, nello stesso tempo, ci ricorda che “la leva del debito permette di finanziare su ampia scala progetti impegnativi. I problemi arrivano dopo, quando scatta l’inversione di tendenza e il costo del denaro riprende a salire.” Viste le storie, recenti e non, dai cosiddetti “capitani coraggiosi” di dalemiana memoria -che hanno indebitato fino al collo Telecom-, alla crescita, tutta finanziata con il debito, di Mariella Burani, non solo viene da elogiare il comportamento di Piazzetta Cuccia (che vanta un core tier elevatissimo e non ha risentito della crisi), ma sarebbe il caso di aggiungere, alle parole di Tamburini anche un’altra, semplice, considerazione. La leva del debito facile, infatti, esalta le possibilità di sviluppo ma non migliora di un solo centesimo la redditività caratteristica delle imprese acquisite, fuse, scalate e quanto altro; ed il vecchio concetto della capacità di reddito, che dovrebbe rappresentare il fondamento delle valutazioni, di parte bancaria e non, circa la capacità dell’impresa di mantenersi in equilibrio nel tempo, ripagando i debiti, portando ricchezza, mantenendo l’occupazione. Altrimenti il coraggio serve solo a ri-fare la cattiva finanza degli ultimi dieci anni; non ne sentiamo la mancanza.

Categorie
Banche Unicredit Vigilanza bancaria

Arretrati 1.

Non si riesce sempre ad essere sul pezzo, il lavoro chiama ed il blog viene, talvolta, a risentirne. Però, appena è possibile, si cerca di smaltire gli arretrati.

Cominciamo dal “bancone”, ovvero la nuova versione di Unicredit in chiave di rilancio verso i territori. L’aumento di capitale si è concluso con successo, il Tier 1 dovrebbe uscirne rafforzato o, perlomeno, ripristinato nei suoi valori “normali”. La vera questione, che rimane sempre sullo sfondo e che anche commentatori coraggiosi difficilmente analizzano, è la cultura dell’intermediazione, ovvero il modo di fare banca che è sotteso ad ognuna, singola banca. Del modo di fare ed operare di Unicredit si è parlato tante volte in questo blog. Ma a prescindere da ogni tipo di considerazioni critiche su tante note vicende passate, siamo davvero così sicuri che l’istituzione di 7 nuove grandi aree, 120 direttori commerciali “dotati di più ampie deleghe” e una suddivisione, per la verità non nuova, delle aree di business in segmenti (famiglie e microimprese fino a 3 milioni di fatturato, Pmi fino a 50 milioni, imprese più grandi e gestioni di patrimoni) serva a riprendere in mano il filo del rapporto con la clientela?

C’è stata una cultura del rapporto di clientela chiaramente improntata al transaction banking, la banca di transazione, tesa a moltiplicare quantità dei volumi intermediati, senza fare troppo caso alla qualità ed intensità della relazione. Ed ora si vuole ritrovare, quasi per magia, il filo del relationship banking, di ciò che lega più a medio-lungo termine banche e clienti, quella banca di relazione tipica delle banche locali e delle Bcc. Un po’ come se bastasse mettersi la maglietta di Diego Milito per saper giocare a pallone come lui. C’è bisogno di grandi banche, non è pensabile che l’ideale del “piccolo è bello2 possa risolvere i problemi di un sistema economico come quello italiano. Ma non c’è bisogno di una qualsiasi grande banca: e per essere grandi davvero, non basta sommare il valore degli attivi o i fondi intermediati: occorre cominciare a misurare la qualità della relazione. Su questa sfida si gioca una buona fetta dell’evoluzione della crisi in Italia nei prossimi due anni. In bocca al lupo.

Categorie
Banche

Eccesso di capitale ed idiozie (degli analisti).

Matteo Arpe, Presidente di Banca Profilo

Matteo Arpe, Presidente di Banca Profilo, ha illustrato il piano triennale della propria banca, individuando non solo target economico-finanziari molto interessanti ma, soprattutto, presentando un modello di business innovativo, finalizzato ad erogare servizi di private banking alle imprese. Matteo Arpe vanta un curriculum di tutto rispetto, anche se talune sue posizioni eccessivamente disinvolte in passato non sono esenti da critiche: ma l’essere stati scelti da Enrico Cuccia ed eliminati da Cesare Geronzi ne fa un uomo certamente non comune e di indiscutibile valore manageriale.
Le cifre snocciolate da Arpe sono interessanti. Ancor più lo è il livello del Core Tier 1, pari al 25%, superiore persino a quello di Mediobanca. Arpe ha dichiarato che tale livello sarà mantenuto elevato anche in futuro “perché crediamo che la forza patrimoniale sia un elemento distintivo che attrae e dà sicurezza”. Udito ciò, tutto quello che gli analisti (sarebbe interessante sapere quali, di quali banche: se in mezzo ad essi a fare domande idiote c’erano anche giornalisti e di quali testate) hanno saputo fare è stato, a più riprese, chiedere conto (sic) ad Arpe dell’eccesso di capitale nella nuova Profilo. La madre degli idioti è sempre incinta, ed i suoi figli scelgono spesso, come carriera, quella di analisti finanziari.

Categorie
Capitalismo Imprese Indebitamento delle imprese

Se Ferrero si mangia Cadbury (ovvero, il cioccolato non fa male, anzi).

La notizia che la Ferrero starebbe esaminando il dossier relativo all’acquisizione dello storico marchio britannico Cadbury è interessante, nel familistico capitalismo italiano senza capitali, per varie ragioni.

La prima è che si può essere, come amerebbe dire qualcuno, “global players” anche senza quotarsi in Borsa: e Ferrero, come Barilla, non lo è.

La seconda è che le imprese familiari non sono per questo meno capitalizzate: Nutella & c. hanno consentito alla famiglia di Alba di dividere utili ingentissimi negli anni e gli azionisti, d’altra parte, non si sono lasciati tentare da facili entusiasmi, mantenendo l’impresa fortemente capitalizzata ed una forte riserva di liquidità interna.

La terza è che l’advisor scelto da Ferrero è Mediobanca: ovvero la vera ed unica -ma anche la migliore, perché più forte e più seria- merchant bank italiana, solida al punto da vantare un core-tier 1 del 12%.

E infine, la quarta notizia è che si può crescere in maniera sana, mantenendo nel tempo l’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale. Quando il fatturato non è vanità, l’utile è reale e la cassa regna sovrana.

Categorie
Banche Fabbisogno finanziario d'impresa Indebitamento delle imprese PMI Rischi Unicredit Vigilanza bancaria

Braccino corto 2.

Il Sole 24 Ore di ieri riporta, a firma di Alessandro Graziani, la notizia che “Unicredit rafforza il capitale”.

Lasciando per un attimo da parte la questione organizzativa, sulla quale varrà la pena ritornare -Profumo ha affermato che si tratta di un “Progetto nato per migliorare i servizi ai clienti”– perché ci si chiede, allora, a cosa servisse la struttura precedente, a prescindere da questo, nell’articolo viene riportata  una notizia significativa. Il Core Tier 1 si è incrementato di 70 punti base. “Livello raggiunto”, prosegue l’articolo, “grazie all’opera di riduzione dell’attivo ponderato a rischio, incidendo dunque sul numeratore del Core Tier 1, dovuto da una parte alla fisiologica riduzione della domanda di credito da parte della clientela e dall’altra dall’azione di riduzione dei risk weighted assets. Non sono d’accordo con la notazione del giornalista, che afferma che l’aumento di 70 punti base è assimilabile a un aumento di capitale: aumentare il capitale effettivamente -e per ora siamo agli annunci- e ridurre il rischio non rappresentano la stessa cosa, anche se incidendo in misura opposta sul denominatore e sul numeratore dei coefficienti di vigilanza prudenziale permettono di raggiungere lo stesso scopo, ovvero di rafforzare il patrimonio in rapporto al rischio. Ridurre le attività ponderate per il rischio non significa necessariamente fare una cosa buona, peraltro: sarebbe interessante sapere di che si tratta, se di attività di trading o di credito, magari alle Pmi.

La conclusione trionfante di Profumo, che peraltro non lascia presagire nulla di buono per le Pmi è la seguente: “Abbiamo un bilancio forte e disponiamo del capitale necessario per fare credito, a patto che sia “buono”. La sensazione è che si ricominci, come prima della crisi, a razionare de facto le Pmi, semplicemente negando loro credito, per la ragione che sono le imprese più rischiose: e che l’arte del banchiere non sia più quella di gestire il rischio ma, più semplicemente, di evitarlo.

Categorie
Banche Unicredit Vigilanza bancaria

Braccino corto.

Logo Unicredit

I conti trimestrali di Unicredit, comunicati ieri, mostrano segnali interessanti ed importanti, soprattutto tenendo conto che l’utile, in calo, era stato correttamente stimato dagli analisti.

Ciò che colpisce, tuttavia, è la misura del Core Tier 1, ovvero del patrimonio di Vigilanza di primo livello, quello rappresentato dal capitale versato e dalle riserve disponibili, attestato a, 7,55%, dal 6,85% di giugno. Con l’aumento di capitale annunciato, ma non ancora effettuato, si attesterà all’8,39%. In altre parole: per essere in linea con i coefficienti patrimoniali richiesti dalle Autorità di Vigilanza, è preferibile ricorrere agli strumenti ibridi (il Tier 2), piuttosto che al capitale di rischio. E riesce difficile immaginare che l’aumento di 4 miliardi sarebbe stato realizzato se non vi fosse stata la crisi. Appunto, braccino corto.

Categorie
Banche Crisi finanziaria

Meglio cambiare gli IAS che ricapitalizzare.

iasc

La lobby bancaria sta facendo pressioni sullo IASB (International accounting standard boards), perché riveda il principio contabile che consentiva il de-consolidamento delle sofferenze (parola soave per ripulitura dai bilanci: i giornalisti economici dovrebbero evitare di usare il gergo delle lobbies che giustamente criticano). In altre parole, le banche gradirebbero che venisse accordata loro nuovamente l’agevolazione contabile che, in passato, consentiva loro di cartolarizzare i crediti in sofferenza, pur ricomprandosi tutto o quasi il rischio. A parte che tutto questo ricorda vagamente la definizione dei farisei-banchieri come “sepolcri imbiancati” -le sofferenze, che sono in frutto di operazioni azzardate e sbagliate sarebbero fatte sparire con una magia contabile imbellettando bilanci pieni, nella realtà, di problemi- Alessandro Graziani e Morya Longo, in un bell’articolo sul Sole 24 Ore di ieri mettono in evidenza che, chiuse le possibilità di cartolarizzare, rimane solo quella di trovare un acquirente che, a saldo e stralcio, compri i crediti in questione. Ma la crisi li ha fatti sparire, dicono giustamente i due commentatori. E allora? Forse, anziché sperare, come fa la lobby bancaria, che si riapra un mercato “bloccato da anni”, sarebbe meglio guardare in faccia la realtà e dire l’unica cosa che serve: le sofferenze in bilancio si fronteggiano solo con il capitale.