I principali debitori insolventi (storia della Colonna Infame).
Improvvisamente, i debitori. Il problema delle crisi bancarie non è più rappresentato dai cattivi manager, dalla mala gestio, dai compensi smisurati rispetto alle performance: il problema sono coloro che non pagano. Anzi no, la loro identità. Inizialmente, la crisi era appena iniziata, coloro che non pagavano erano compatiti e compresi da tutti: le banche erano cattive (sono rimaste tali) perché non facevano più il loro mestiere, per qualcuno, ad evidenza, quello di continuare a dare soldi a prescindere, gli imprenditori erano quelli lasciati soli.
Per gli smemorati, ricordo che ci sono state varie moratorie, di iniziativa associazionistica, di singole banche, di svariati tipi sotto il profilo tecnico (mutui, crediti scaduti etc..) ma tutte tese ad aiutare e, più che altro, a ritardare, la presa d’atto che la situazione era irrimediabilmente compromessa. Resto tuttora convinto che se il credito deteriorato è esploso in Italia nel modo che tutti conosciamo, gran parte della colpa vada ascritta ai vari provvedimenti tampone che, come pannicelli caldi, hanno semplicemente alleviato il dolore, non certo eliminato il male.
Ora si vuole dare un nome a quelle sofferenze, perlomeno nelle banche salvate dallo Stato, cosicchè emerga ciò che nell’atteggiamento giacobino e moralistico, quel certo modo di urlare vaffa che fa tanto Saint-Just e tricoteuses, possa finalmente trovare espressione: dare la colpa a qualcuno. C’è qualcuno duro epuro e qualcuno impuro e corrotto, qualcuno è buono, gli altri cattivi. Le sofferenze non le abbiamo fatte noi, se dobbiamo salvare una banca e soprattutto con i soldi dello Stato, almeno che si sappia di chi è la colpa; massì, facciamogliela pagare.
In tutto questo c’è il triste moralismo indifferente di chi sferruzzava guardando teste cadere in Place de la Bastille, la ferocia di chi sente sempre dalla parte del giusto e conosce solo il colore bianco ed il nero: ma c’è anche l’ignoranza, etimologicamente e latinamente intesa, di tutti coloro, la FABI purtroppo in testa, che afferma, maramaldeggiando, che le sofferenze le hanno fatte manager e CdA. Fingendo di ignorare, appunto, o dimenticando del tutto, che comunque qualcuno le pratiche le deve firmare, proporre, portare avanti. Ed è vero che, come dicava don Abbondio, se uno il coraggio non ce l’ha non se lo può dare. Ma il reato di falso interno: all’interno delle banche, locali e non, è come la corruzione nella Prima Repubblica: tanto visibile e sfacciata, quanto impunita. Tagliare un po’ di teste, additare al pubblico ludibrio il nome di qualche bandito, mescolato a quello di qualche idiota, non servirà a ricominciare ad applicare le buone prassi. Perchè lavorare bene è bello ma è faticoso, misurare il rischio è importante, doveroso, fondamentale: ma costoso. Trovare i falliti, gli impuniti, ammesso che siano tali, appenderne il nome alla Colonna Infame, non salverà dall’abisso di ignoranza nel quale sono sprofondati gli uffici fidi e i loro responsabili. E, quel che è peggio, non aiuterà le imprese a ricominciare a correre.