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Alessandro Berti Banche Fabbisogno finanziario d'impresa Felicità fiducia Imprese PMI

Buona Pasqua (di speranza, di lavoro, di lotta e di governo).

Giotto, Cappella degli Scrovegni.

Buona Pasqua di Resurrezione a tutti.

A quelli che lavorano e a quelli che non lavorano, a quelli che “però il Governo Draghi è come quello di Conte“, “Speranza è ancora lì!” etc…; ho letto un post su FB, circa una settimana fa, che riprende il sito di Atlantico e che imputa al suddetto Speranza l’appartenenza a un fabianesimo di impronta dalemiana e amenità similari. E’ Speranza, suvvia, non mi pare un nuovo Hegel (lascerei da parte Carletto Marx, absit iniuria verbis).

E poiché è proprio San Paolo a ricordarci che “la speranza non delude” penso che il modo migliore per farci gli auguri, diversamente da un anno fa, sia nel senso di una responsabilità accresciuta per ognuno di noi, nei propri ambiti, nella propria realtà, in ciò che deve fare giorno per giorno. Un anno fa mi sono trovato spesso a rispondere, a chi mi chiedeva cosa si dovesse fare, che dovevamo fare bene, per quanto reso possibile dalle circostanze, il nostro lavoro, pur con tutti i limiti, nostri e delle circostanze stesse.

Un anno dopo l’augurio è lo stesso: perché riprendere a fare le cose come prima sarà solo per chi ha una vita priva di memoria. Andiamo avanti con più voglia di fare di prima, sapendo che le cose da fare, le occorrenze, anche se si possono fare più facilmente, perlomeno alcune, richiedono presenza a sé stessi e senso di responsabilità. Ovvero, saper rispondere a quello che la realtà richiede, senza lamentarsi e basta, come saremmo tentati di fare (e talvolta di fare solo quello): lottare e governare significa non smettere mai di desiderare, di cercare il bene. Significa che se sono un addetto alla sanità e non voglio vaccinarmi vivo fuori dalla realtà; significa che se sto cercando un lavoro, la realtà mi dice che il lavoro sta cambiando; significa, più modestamente, per quello di cui ci occupiamo, che anche andare in banca a chiedere dei soldi non sarà più la stessa cosa. E poiché responsabilità viene dalla stessa stessa radice del verbo rispondere, proponiamo a tutti di lavorare su questo, di discutere, di approfondire le questioni. Ne riparliamo dopo Pasqua.

Perché se arriva la salvezza, dobbiamo esserne degni.

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Professori e narrazioni.

Professori e narrazioni.

In un articolo del 16 giugno linkiesta.it titolava che “Col potere ai professori venne l’inverno della nostra civiltà“.  Qualcuno mi ha chiesto cosa ne pensassi, a quel qualcuno, così paziente, rispondo solo ora; non senza aver riflettuto, per l’ennesima volta sul lavoro di chi, come me, fa appunto il professore e dunque, secondo la vulgata (il magazziniere riminese Mario C. ne è il dimenticabile esempio), insegna perché non sa.

L’articolo di linkiesta.it è di Giulio Sapelli, professore anch’egli, di ben altro spessore rispetto al sottoscritto e non mi permetto di chiosarlo. Ma come sempre nei giornali, anche in quelli on line, contano gli articoli e, spesso, anche -se non di più- i titolisti. Del Governo Monti, che avevo tentato di esorcizzare nella sua vicinanza al mio portafoglio ed alla mia vita ho apprezzato in seguito la riforma delle pensioni ed il modo con cui è stata fatta: e la ministra Fornero è, personalmente, nella top list delle donne italiane che non solo contano, ma che fanno (ed è professoressa). Ciò che non ho apprezzato è stato il seguito, ovvero un’inconcludente concertazione, il mancato uso della forza (quella che impone di fare certe cose, costi quel che costi), i carabinieri come messi del Consiglio dei Ministri. Ma tant’è. Con il governo dei professori venne l’inverno della nostra civiltà: quale, di grazia? Quella di palazzo Grazioli? La civiltà del sorriso che raccontava un mondo neppure da sognare, un mondo già presente, dove i ristoranti erano pieni etc…un’estate fa. Perché nessuno ha titolato, il 3 agosto del 2011 per esempio, quando il Governo Berlusconi prese in giro le Camere ed il Paese con un passaggio parlamentare ignobilmente vile e ignavo, che quel governo aveva fatto scendere il buio sulla nostra civiltà?

La risposta a questo enigma, quello per cui se un governo di inetti politici non fa nulla, se non leggi ad personam, nonostante sia dotato di una maggioranza bulgara, nessuno parla di tristezza, mentre se un governo di professori (certo, con molti distinguo: Martone, Ornaghi, Ugolini, non pervenuti, Patroni-Griffi vetero sindacalista del pubblico impiego etc…) fa la riforma delle pensioni, ovvero la riforma per la quale dovremmo ringraziare Fornero e Monti medesimo vita natural durante, allora siamo tutti più tristi, la risposta a tutto questo è nella narrazione. Ovvero nella condivisione che diventa pubblica, patrimonio comune (anche luogo comune, nel vero senso della parola) di un giudizio sulla realtà, che ci riguarda, che riguarda coloro che ascoltano. Il Governo di B. era scollegato dalla realtà, ma ha saputo narrare, senza giudicare la realtà, anzi, rifuggendovi. Ha blandito il popolo senza metterlo di fronte a nulla, a nessuna responsabilità, raccontando le menzogne di chi non metteva le mani nelle tasche degli italiani, pur facendolo. Il Governo Monti, che pure ha saputo mettere, ed in che modo (!), le mani nei nostri portafogli, non è mai uscito dal binario di una narrazione seria e realista. Che gli editorialisti di Libero o del Giornale, che gli on.li Alfano, Lupi, Cicchitto, Verdini non la vogliano ascoltare, non ha importanza: quella è la situazione, quella è la narrazione.

Siamo in dirittura. Ma per finire si deve, appunto, parlare di professori e di inverno della civiltà. Insegno tecnica bancaria, parlo di merito di credito, parlo di come si valutano le aziende, lo faccio da quasi 30 anni, in università e nelle banche. Ricordo perfettamente quando venni messo alla porta da una grossa società torinese che organizzava congressi con la motivazione “Lei è troppo severo, la gente viene per essere tranquillizzata e blandita”. La narrazione era troppo realista, non andava bene. Io ho continuato, invece, a narrare le imprese ed i loro rapporti con le banche ed in tutti questi anni, anche nelle ultime settimane, il riconoscimento maggiore non è mai stato lo stipendio o una parcella: sono state le facce, le mail, le strette di mano, l’amicizia, di tutti coloro ai quali sono state date ragioni, strumenti, metodi. Forse dovremmo chiederlo al Governo Monti, di studiare narrazione. Ma nessuno può decidere al posto nostro se stare, oppure no, di fronte alla realtà: secondo la totalità dei suoi fattori.

P.S.: nonostante l’essere tacciato di buonismo, JM questa sera tifa Grecia, indefettibilmente. Così come a Istanbul il 25 maggio 2005 tifava Liverpool. Con buona pace di tutti.

 

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BCE bisogni Crisi finanziaria Economisti fiducia

Scheletri contadini ed antropologia.

Scheletri contadini ed antropologia.

Di fronte dunque al rischio di morire tutti francofortesi il Censis ci consiglia vivamente di riscoprire le radici, di valorizzare il legame del nostro sviluppo con la tradizione fino a rimettere in circolo i valori fondanti della civiltà contadina, giudicata “la più coerente con la nostra attuale innegabile fatica di vivere, di adattarsi alla crisi, di cercare di andare oltre la brutta stagione”. Per dirla tutta, De Rita pensa che il modo (vacuo e banale) con il quale abbiamo importato “l’agiatezza e la modernità occidentali”, proprio perché superficiale, non abbia saputo incidere sul carattere di fondo della nostra società che, chiamata in questi mesi a lottare per sopravvivere, deve far leva innanzitutto sul suo “scheletro contadino”. Uno schema che boccia clamorosamente la modernizzazione italiana e quelle élite cosmopolite che si sono impegnate a costruirla.

Giuseppe De Rita, CENSIS

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Capitalismo Crisi finanziaria Felicità fiducia Germania

Hai una ragione per vivere (you get what you give).

Hai una ragione per vivere (you get what you give).

Hai la musica nell’anima, non lasciarla andare
Hai la musica nell’anima, c’è ancora qualche ballo
questo mondo sopravviverà, non cedere
hai una ragione per vivere
non possiamo dimenticare
abbiamo solo quello che meritiamo.

New Radicals You get what you give

 

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Crisi finanziaria Cultura finanziaria Educazione Felicità fiducia USA

Milioni di persone sole di fronte alle conseguenze dei propri atti.

Milioni di persone sole di fronte alle conseguenze dei propri atti.

New York, July 2011

Da cattolico Panayotis Kantzas ha ascoltato con attenzione la messa in guardia del cardinal Bagnasco alla comunità dei credenti. Da psicanalista si prende la libertà di qualche glossa al margine, perché ogni parola può essere interpretata. Dice al Foglio che “l’aria irrespirabile” di cui ha parlato il capo dei vescovi non deriva tanto da una dimensione etica o estetica ma logica, nel senso di logos, discorso e ragione. In tutto l’occidente, l’imperio assoluto della finanza, il denaro re, hanno indotto perdita di senso e di soggettività dell’individuo, sempre più incapace di distinguere ciò che è bene da ciò che è male, di ponderare le singole scelte. Così vive al di sopra dei propri mezzi, consuma in eccesso, compra merci di cui non ha bisogno e per lo più a debito. Kantzas sembra condividere l’opinione di quegli economisti che individuano proprio nel credito al consumo, le famose carte di debito, “revolver” puntati alla testa dei consumatori, il fattore di una crisi che potrebbe essere ben peggiore di quelle viste finora, perché centinaia di milioni di persone si ritroveranno sole di fronte alle conseguenze dei loro atti senza più contare né su una mediazione collettiva né su un possibile intervento dello stato. “E’ la conseguenza drammatica della psicosi ordinaria, della schizofrenia che dai paesi anglosassoni è dilagata in tutto il mondo”.

Lanfranco Pace, Il Foglio 1 ottobre 2010

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Felicità Rischi welfare

Un continuo e incurabile stato d’incertezza.

Un continuo e incurabile stato d’incertezza.

A livello di esperienza individuale, sono cambiate soprattutto le nostre preoccupazioni e le nostre ansie rispetto all’incapacità di far fronte con i nostri mezzi alle minacce dell’imponderabile e del caso: «A farci sentire un’incertezza più orrenda e devastante che in passato sono la novità nella percezione della nostra impotenza e i nuovi sospetti che essa sia incurabile» . Da un lato dunque l’incertezza appare insuperabile; dall’altro lato, però, questo non significa – come ci si aspetterebbe – una rinuncia a trovare assicurazioni per l’esistenza: e da tale contrasto nasce una sempre più diffusa paura.
Così l’organizzazione sociale, che nell’epoca moderna era stata pensata come un argine rispetto all’instabilità e alla conflittualità della natura (pensiamo per esempio a Hobbes), finisce per amplificare e moltiplicare i motivi dell’incertezza. Le soluzioni che finora lo Stato sociale e assistenziale presumeva di poter garantire ai cittadini sono state scaricate sulla capacità dei singoli a trovare risposte individuali a problemi di ordine sociale ; e tuttavia il più delle volte tale capacità appare come una finzione, perché non ci sembra proprio di possedere la conoscenza e la potenza adeguate per far fronte ai pericoli e agli imprevisti della vita. E questo ha come esito «perdita di autostima, vergogna per essere inadeguati di fronte al compito e umiliazione». E quasi a suggello di questa breve storia dell’insicurezza moderna, Bauman conclude: «Tutto ciò concorre all’esperienza di un continuo e incurabile stato di incertezza, cioè l’incapacità di assumere il controllo della propria vita, venendo così condannati a una condizione non diversa da quella del plancton, battuto da onde di origine, ritmo, direzione e intensità sconosciuti».

Costantino Esposito, Meeting di Rimini, 23 agosto 2011

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Felici e ricchi.

Beppe Severgnini, sul Corriere di venerdì 12 novembre ci parla di ragazzi ricchi e felici (manca solo “belli” e poi ci siamo; ma quelli belli o belle di solito sono sul Magazine del Corrierone, al giovedì).

Severgnini afferma che “in Italia non abbiamo bisogno di inventarci «il libro della facce» – d’ accordo, non suona altrettanto bene – per usare al meglio le università. Basta non affamarle (i ricercatori hanno ragione), non permettere che diventino feudi (i baroni hanno torto), e utilizzarle per quello che sono: fabbriche di entusiasmo e di idee. È vero. In Italia non abbiamo i campus americani, la cui promiscuità intellettuale (e non solo) produce reazioni continue, in un gigantesco esperimento di chimica umana. Ma abbiamo città che sono campus naturali: Pavia, Padova, Pisa, Parma, Piacenza, Perugia. In queste «P Cities» che il mondo c’ invidia, ma anche nelle buone università metropolitane, stanno le chiavi del nostro futuro comune: la fantasia, l’ intuizione, l’ incoscienza, l’ incapacità di ripetersi perché si è troppo giovani per avere qualcosa da ripetere.

D’altra parte, il nostro conclude sottolineando quanto sia giustoconvincere un ragazzo o una ragazza che può diventare felice, ricco e famoso con un’ idea; non mostrando i tatuaggi e le mutandine in televisione. Spiegare che creare una società commerciale può essere eccitante come partire per un viaggio; ed evitare di soffocare di regole e cavilli la partenza di quel viaggio. Andate a vedere The Social Network, e invidiateli.

Li invidiamo, certo: non guardano la televisione, sono puritani e dunque niente mutandine da mostrare, una morale salda su cui poter contare, valori solidi come una roccia. Hanno la pelle integra, nera o bianca che sia, ed i tatuaggi, si sa, sono una volgarità mediterranea, non esistono americani tatuati. Ma, soprattutto, sono consapevoli che creare una società commerciale è eccitante, tanto più se lo si può fare senza regole e cavilli.

E’ davvero tutto qua? E’ veramente tutto qua il senso dell’intrapresa? Quella che che quando il governo -o qualcuno della maggioranza, come Vignali- ha tentato di rendere più eccitante, aumentandone il sex-appeal con lo statuto dell’impresa e la modifica della Costituzione le risposte sono state che c’erano altre priorità e che la Carta non si tocca, perché è la più bella che ci sia? E’ poi tutto qua?

Sig.Servergnini, lunedì mattina, oggi, cosa racconto ai miei studenti, che non diventeranno né felici, né ricchi, per colpa dei baroni? O mi metto a lavorare e proviamo a costruire? Sig.Severgnini, provi a vedere il positivo delle cose (lo so che è difficile lavorando tutto il giorno con Rizzo e Stella, ma Lei ce la può fare) e venga a trovarci; esca dalla vulgata e dagli schemi, venga a vedere come facciamo a costruire, educando ed educandoci a stare di fronte alla realtà. A Urbino.

P.S.: perché manca Urbino, città-campus per eccellenza? Perché non comincia per P?

P.P.S.: i miei studenti non so se sono ricchi, non so se sono felici (ma ne conosco un po’ che hanno un sacco di domande su di sé e sul mondo), ma stia certo che sono bellissimi.

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Maonomics

Chissà se alla CGIL leggono certi libri. O se le donne che scrivevano scandalizzate su Repubblica del nostro lubrico Presidente del Consiglio condividono quanto affermato dall’Autrice quando sostiene che :”Tutto questo sarebbe impensabile in Cina. Anche se Mao ha avuto più di una moglie e l’ultima ha tentato di indossare i panni di Evita, i leader cinesi sembrano non possedere una vita privata. Non solo non vediamo mai le loro mogli e la loro famiglia, ma ostentatamente costoro proiettano un manierismo pudico. (…) A casa nostra succede il contrario.

Altre perle napoleoniche, anche sulla finanza islamica, sono riportate da Annalena Benini sul Foglio. Quanto a noi, qua si continua a pensare che certi cognomi non basta portarli, occorre meritarseli.

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La persona è il fondamento dell’economia.

Caspar Friedrich, Il naufragio della speranza.

Giulio Sapelli, in un bell’articolo apparso sul Corriere di oggi -e che in ossequio alla nuova politica editoriale  che vede i contenuti on-line del giornale ridotti o a pagamento non possiamo evidenziare né rimandare con alcun link– parla nuovamente della tragedia degli imprenditori suicidi veneti, sulla quale già sono state fatte riflessioni in questa sede.

Sapelli parla delle PMI come luoghi dove “si pensa e si fatica e si soffre e si gioisce e si vive nel lavoro gomito a gomito, faccia a faccia, famiglia a famiglia, strada per strada del paesino o della cittadina.” E dell’impresa che “dopo anni di lavoro diventa una proprietà condivisa moralmente prima che giuridicamente.” Il venir meno della possibilità di condivisione fa al contempo venir meno, secondo Sapelli, il patto morale sottoscritto e questo fatto diventa un peso insopportabile, fino al punto di compiere il gesto estremo. Così, nonostante i “codici etici e la Corporate Social Responsability, l’imprenditore è solo. Sapelli non arriva a giudicare del senso di questa solitudine, e questo è probabilmente il limite del suo, peraltro bellissimo, articolo. Ma arriva a definire con nettezza e lucidità che cosa sia l’economia, con buona pace degli economisti, della regina Elisabetta e di tutti quelli che ragionano per teoremi e per modelli. “L’economia è frutto del comportamento umano, è frutto dell’azione e della cultura delle persone. Nel bene e nel male. Sempre.”

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Le conseguenze economiche dell’infelicità (americana?).

Bo Bartlett, Summer

Dal Corriere della Sera on line di oggi apprendiamo che in un’intervista su Io Donna che comparirà domani, l’economista Stefano Bartolini, dell’Università di Siena, afferma essere l’infelicità americana l’origine e la causa della crisi economica. Il Corriere, come quasi tutti i giornali, non è nuovo a titoli ad effetto e che, soprattutto, non corrispondono realmente ai contenuti del pezzo. In particolare -il testo è virgolettato- Bartolini afferma che «il denaro offre molte forme di protezione, reali e illusorie. Se gli anziani sono soli e malati, la risposta è una badante. Se i nostri bambini sono soli, la soluzione è una baby-sitter. Se la nostra rete di amicizie diviene scarsa e poco attraente o se la nostra città diviene troppo pericolosa per uscire, possiamo passare le serate in casa dopo esserci comprati ogni sorta di divertimento casalingo. Se il clima frenetico e invivibile delle nostre vite e delle nostre città ci angustia, una vacanza in qualche paradiso tropicale ci risolleverà. Se litighiamo con i nostri vicini, le spese per un avvocato ci proteggeranno dalla loro prepotenza. Se abbiamo paura, possiamo difendere i nostri beni con sistemi di allarme. Se siamo soli, o abbiamo relazioni difficili e insoddisfacenti, possiamo cercare un riscatto identitario nel consumo, nel successo, nel lavoro».

Ho letto e riletto le affermazioni dell’illustre Collega e non riesco a capire perché, a differenza di quanto scrive il giornalista, Pier Luigi Vercesi, la colpa della crisi sia, anche ragionando nel modo singolare e stimolante di Bartolini, solo a stelle e strisce. Può essere che la rincorsa ai consumi ed agli acquisti che fa lievitare il PIL origini dall’infelicità americana, ma leggere quanto affermato da Bartolini mi fa pensare anzitutto all’Italia: a questa Italia, quella nella quale vivo e lavoro, senza andare tanto lontano, a Rimini. L’intervistato mette le mani avanti, il suo non è un nostalgico ritorno al bel tempo che fu, tampoco ruralismo d’antan. Ma, sostiene Bartolini, si è passato il segno, “la crisi ha dimostrato che nessun sistema economico funziona bene se basato solo sull’avidità: sono sempre necessarie etica e cooperazione.” Ovviamente gli americani più degli europei avrebbero smarrito senso dell’etica e solidarismo, o forse questa è solo la lettura, un po’ capziosa, che Vercesi vuole che risulti. La realtà che ci sta di fronte dice che non siamo affatto più coesi degli americani, etici o solidali: forse siamo più moralisti, il che, per chi è nato in un paese cattolico è assai grave, perché il moralismo sono le regole distaccate da qualunque senso e significato, fini a sé stesse. In altre parole, ciò che manca, sia Oltreoceano, sia in Europa, non sono le regole, non sono i valori, non sono i buoni sentimenti, ma l’educazione. Come ha ricordato ad Assago Julian Carròn a proposito della modernità: “il clamoroso fallimento di questa impostazione è oggi davanti a tutti, malgrado i tentativi di nasconderlo. Non ci saranno mai abbastanza regole per ammaestrare i lupi. Questo è l’esito tremendo quando si punta tutto sull’etica invece che sull’educazione, cioè su un adeguato rapporto tra l’io e gli altri.”