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Poco più di un buffetto sulla guancia.

Poco più di un buffetto sulla guancia.

Sugli amministratori di Helm, l’avvocato Rescigno conclude: «Quali soggetti che materialmente hanno commesso da un lato la violazione del regolamento e dall’altro l’illecito collocamento delle quote del fondo caymano… agli amministratori si potrà contestare sia la realizzazione materiale delle violazioni, sia il mancato controllo e quindi un loro contributo indiretto alla realizzazione dei quegli atti che hanno cagionato i danni ad Igm».

L’istruttoria della Consob su Helm si è formalmente chiusa il 30 settembre 2010 con la delibera n. 17512. Avendo accertato «la mancanza di correttezza e diligenza del comportamento di Helm Finance Sgr nell’interesse degli investitori gestiti, per essersi la società disinteressata della gestione del Fondo speculativo Helm Growth Premium, in ogni fase del ciclo di vita dello stesso» la Consob delibera sanzioni amministrative per 55.100 euro ad Alessandro Angelo Rombelli, 29.900 a Maurizio Dallocchio e 16.200 a Giulia Ligresti. Poco più di un buffetto sulla guancia a tutti. Per anni, invece, Alberto Micalizzi non ha avuto neppure quello. Fino a martedì.

Claudio Gatti, Il Sole 24 Ore, 19 novembre 2011

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Economisti Strumenti finanziari Università

Avevo dei dubbi sulla possibilità di produrre rendimenti sistematicamente superiori alla media (Non ritenevo che come business fosse troppo promettente).

Avevo dei dubbi sulla possibilità di produrre rendimenti sistematicamente superiori alla media (Non ritenevo che come business fosse troppo promettente).

Andrea Gamba, dalla rete.

Tre anni dopo, a chiudere con Micalizzi fu anche un altro accademico aveva lavorato con lui e Trigeorgis sul modello che sarebbe poi stato applicato ai fondi Dynamic Decisions. Parliamo di Andrea Gamba, oggi professore della Warick Business School, in Gran Bretagna. «Avevo dei dubbi sulla possibilità di produrre rendimenti sistematicamente superiori alla media. E non ritenevo che la strategia fosse sufficientemente solida e fondata dal punto di vista scientifico», ci spiega. Il 30 giugno 2004 anche lui decise di separarsi da Micalizzi e non seguirlo nella sua avventura dei fondi Dynamic. Motivo: «Non ritenevo che come business fosse troppo promettente».

Claudio Gatti, Il Sole 24 Ore, 19 novembre 2011

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Non è facile.

Non è facile.

Alberto MIcalizzi, dalla rete.

Non è facile inquadrare Alberto Micalizzi“, scrive sul Corriere di ieri Massimo Sideri. Alberto Micalizzi, di cui JM si era già occupato due anni fa, torna alla ribalta della cronaca per essere stato indagato dalla procura della Repubblica di Milano per truffa aggravata. Vivaddio, dopo due anni, la prestigiosa Università milanese, già retta dall’attuale Presidente del Consiglio, Mario Monti, lo sospende dal ruolo di ricercatore, peraltro ricoperto, a quanto riferito da fonti anonime (meglio non esporsi neppure sui complimenti) in maniera “intelligente”. Non è facile, ma i clienti del suo fondo fanno i conti con un crac da 500 milioni. E quanto al dott.Micalizzi, del quale il The Hedge Fund Journal parlava come guru della finanza quantitativa, forse sarebbe bastato leggerne le bibliografia per capire dove sarebbe andato a parare. Ci sono voluti due anni capirlo? Infine, una domanda semplice sull’oggetto degli studi del nostro: serve a qualcuno? A qualcosa? Serve allo sviluppo? Alla crescita, all’occupazione? Qualcuno sa rispondere? Grazie.

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Mutui e tassi di interesse

A forza di parlare di trasparenza, si diventa oscuri.

A forza di parlare di trasparenza, si diventa oscuri.

Con il titolo “Prezzi poco trasparenti” comincia l’intervista di Marcello Frisone al prof.Umberto Cherubini, docente di matematica per le applicazioni economiche e finanziarie alla facoltà di Economia dell’Università di Bologna, apparsa sul Sole 24 Ore di oggi, supplemento Plus 24, che di seguito si riporta.

Occhiello “La commissione non dichiarata mina l’efficienza e la concorrenza”

Il fatto che le banche non indichino il prezzo della commissione applicata allo swap mina l’efficienza e la concorrenza del sistema bancario, imponendo costi alla collettività. La pensa così Umberto Cherubini, professore associato di matematica per le applicazioni economiche e finanziarie del l’Università di Bologna.

Professore, è vero che soltanto alla scadenza del derivato si possono quantificare gli effetti (positivi o negativi che siano)?

Come una cura o una medicina, se ha funzionato lo scopriamo soltanto dopo ma medici e case farmaceutiche ci dicono con quale probabilità ci possono migliorare la vita oppure creare problemi. Le scelte vanno fatte sempre prima ed è l’informazione ex-ante che conta nella medicina e nei derivati. E la questione della trasparenza si riferisce a questa informazione.

Il direttore generale del l’Abi, Giovanni Sabatini (si veda articolo a sinistra, ndr) sostiene che «la banca deve essere remunerata per il servizio reso nella vendita del derivato mentre è opinione diffusa che questo margine di remunerazione è una commissione illegittima e per di più occulta». Qual è la sua considerazione?

Sabatini ha ragione quando dice che il margine di remunerazione è una commissione assolutamente legittima. Anche che non sia dichiarata esplicitamente all’inizio del contratto è legittimo. Detto ciò, è comunque un problema che mina l’efficienza e la concorrenza del sistema bancario e impone costi alla collettività. La trasparenza dei prezzi consente infatti agli utenti di scegliere il contratto migliore e scoraggia comportamenti in cui il legittimo fine di includere una commissione ha minato, se non del tutto snaturato, l’efficacia di copertura del contratto.

Ma cosa significa snaturare l’efficacia del contratto?

L’abbiamo visto nella maggior parte dei contratti con gli enti pubblici. Un ente vuole cambiare dei pagamenti da fissi a variabili e io posso fargli pagare i miei costi imputando delle rate fisse (spread) oppure mettendo una soglia inferiore ai pagamenti a tasso variabile. Se metto la soglia al 7%, è chiaro che oltre a far pagare all’ente le commissioni non gli ho offerto il servizio che mi aveva chiesto, perché di fatto paga un tasso fisso. È come se al ristorante ordinaste pasta al vostro sugo preferito e vi servissero la pasta in bianco. Chiedereste: “Dov’è il sugo?”. “Ce lo siamo trattenuto per il coperto”. È chiaro che un ristoratore così non può reggere alla concorrenza. Eppure, l’esempio sull’ente che ho fatto è vero e la concorrenza non ha fatto giustizia.

Per l’Abi è inopportuno introdurre nel regolamento per i derivati venduti agli enti «gli scenari probabilistici adottati dalla Consob perché non incrementerebbero il livello di trasparenza». Elemento, quest’ultimo, invece di facile portata con l’approccio what-if proposto dall’associazione dei banchieri. Cosa ne pensa?

Nel calcio what-if significa che il risultato può essere 1, 2 o X, non è il massimo dell’informazione. Lo è invece se diciamo che un risultato è pagato 10 volte la posta. Nel caso del convertendo Bpm, per esempio, il prospetto avrebbe potuto limitarsi a segnalare la possibilità di perdere parte del capitale ma sapere che questo aveva il 70% di probabilità è stato senz’altro più informativo. La trasparenza sulla probabilità che un prodotto funzioni è altrettanto essenziale di quella sul costo. Questa trasparenza è all’ordine del giorno e affermarla non spetta certo alle Procure, ma impedirla sarà impossibile: la realizzeranno le associazioni di utenti e i consulenti indipendenti e, se necessario, l’università.

John Maynard, quello vero, e quello fasullo, che scrive qua sopra, non hanno mai fatto uso eccessivo della matematica (lo scrivente non la ama e non le ha mai preso le misure). Ma sia John Maynard, quello vero, sia quello di paese, hanno sempre amato la chiarezza, quella che manca:

  1. in un articolo che non corrisponde, nei titoli, al contenuto;
  2. in un’intervista, fatta ad uno scienziato dei numeri, rispetto ad un problema che è di funzionamento del mercato, non quantitativo;
  3. nell’esaminare un problema, quello del regolamento sui derivati, in preparazione presso il Ministero dell’Economia, che non può essere risolto rimanendo sul tema trito e ritrito della trasparenza.
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Banche Imprese

Etica della responsabilità.

Etica della responsabilità
Riferire ogni comportamento all’etica della responsabilità, che impegna ad essere sempre orientati al servizio, all’integrità e alla trasparenza, alla correttezza negli affari, alla salvaguardia dell’ambiente ed al rispetto di tutte le persone.
Orientamento al cliente
Sviluppare l’ascolto e quindi l’attenzione alle relazioni con i clienti, migliorando la qualità dei servizi forniti e la customer satisfaction attraverso una costante attenzione all’efficienza e all’efficacia nei processi di produzione e di erogazione dei servizi stessi.

Monte dei Paschi di Siena, Valori e principi

Il 2009 è stato un anno complicato per la finanza e per l’economia italiana in generale. Un anno in cui il prodotto interno lordo è diminuito del 5%, in cui abbiamo avuto un aumento estremamente significativo della cassa integrazione, del numero dei disoccupati, delle famiglie in difficoltà, delle imprese che non riuscivano a mantenere i fatturati necessari a sostenere il proprio ciclo economico. In questo contesto, non avere smarrito la vocazione tradizionale della nostra Banca, quella di banca vicina al territorio, con un profilo profondamente retail e che mantiene la sua natura a prescindere dalle condizioni del mercato, ci ha consentito di navigare in un mare difficile senza perdere la rotta. Dentro questa navigazione, coscientemente, abbiamo perso forse delle opportunità, ci siamo rifiutati di assumere determinati rischi, siamo rimasti legati ad un concetto di ricavi tradizionali ricorrenti; e tutto questo trova la sua compiuta raffigurazione nel conto economico di fine anno.

Monte dei Paschi di Siena, Bilancio sociale 2009.
Ecco perché scegliere come banca Monte dei Paschi di Siena. Ecco perché, se in un derivato (venduto come assicurazione) il nozionale è il doppio del fido accordato, si tratta sicuramente di un’operazione orientata al servizio, all’integrità, alla trasparenza.


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ABI Banche Consob Rischi Unicredit

Swap wars (i rischi del mestiere).

Il Sole 24 Ore di domenica dà ampio spazio a quella che viene chiamata la “guerra degli swap“, registrando l’aumento dei ricorsi e la crescente litigiosità manifestata da Comuni, Province, Regioni. Nello stesso giorno, sullo stesso giornale e nella stessa pagina, Mario Sarcinelli, Presidente di Dexia-Crediop -ovvero una delle banche maggiormente attiva nella vendita di tale genere di strumenti- afferma che “non possono essere i giudici a sciogliere problemi tecnici“, lamentando sostanzialmente la disinformazione e la scarsa preparazione dei consulenti degli Enti Pubblici che hanno stipulato questi contratti. Gli enti, ovviamente, lamentano i costi occulti e la scarsa trasparenza dei contratti, tali da dar luogo ad addebiti alla sola Regione Lazio per 82 milioni.

Nel frattempo, scorrendo le pagine del principale quotidiano economico italiano, si ha notizia del prossimo convegno di Unicredit, (18 gennaio 2011 a Torino) avente per titolo “I rischi del mestiere” e come sottotitolo “La gestione del rischio di cambio e gli strumenti di copertura finanziaria nei momenti di discontinuità economica“. Fatti i complimenti al copy, e in generale all’ignoto inventore di titolo e contenuti, non sarebbe male ricordare che:

  1. le nozze non si fanno con i fichi secchi (gli strumenti di copertura sono strumenti assicurativi, non si è mai visto che siano gratuiti); magari tenere il bilancio pubblico un po’ più a dieta, pagare meno qualche compagnia di teatro all’avanguardia e chiedere pareri seri?
  2. appunto: i consulenti degli enti pubblici chi sono? Esistono davvero, sono professionisti, o colleghi preparati sul tema o si è tentato di risparmiare anche su di essi, oltre che sui tassi?
  3. ancora: per quale strana ragione un ente pubblico dovrebbe pensare che uno strumento contrattuale che prevede, simmetricamente alla perdita di uno dei contraenti, l’utile dell’altro, sia venduto dalle banche? Per perdere? Per senso civico?
  4. se perfino ABI chiede a Consob di definire delle regole, forse è davvero grande la confusione sotto il cielo, perché evidentemente le banche temono i rischi di azioni legali che le porrebbero facilmente in una luce sfavorevole, con giurisprudenza spesso a sfavore;
  5. infine, per non saper né leggere, né scrivere, Moody’s è pronta a declassare il rating del Comune di Firenze se questo non dovesse pagare le obbligazioni derivanti dallo swap, aggiungendo le beffe di un nuovo danno a quello già patito.

Anche tralasciando le affermazioni di Mario Sarcinelli, che predica pro domo sua, le lamentazioni degli enti pubblici ricordano troppo quelle di un bambino che giocando troppo col fuoco finisce per scottarsi. Solo che la pelle non è (solo) la sua.

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Banche Rischi

Italians do it less.

Un’intervista di Isabella Bufacchi al managing director di Deutsche Bank, Jeremy Monnier, sul Sole 24 Ore di ieri, riporta alla ribalta la questione derivati. Per la verità in modo surreale.

Aumento della volatilità, triplicata sul cambio euro/dollaro. E crescente correlazione tra le oscillazioni delle divise e l’andamento dell’economia. Sono queste le nuove complessità del mercato valutario: cambiamenti ereditati dalla crisi che possono avere ripercussioni pesanti sui bilanci delle aziende, soprattutto nell’import-export. Sta intanto crescendo la consapevolezza, più all’estero che in Italia, che la gestione del rischio di cambio è importante e va affinata, con strumenti di copertura più sofisticati e flessibili. È questa la chiave di lettura dei tempi che cambiano, e di come neutralizzare i cambiamenti, di Jeremy Monnier, managing director di Deutsche bank, responsabile del team di Forex structuring per l’Europa. Che di mestiere fa proprio questo: ritagliare l’abito dei derivati su misura alle mutevoli esigenze della clientela corporate e istituzionale.”

Così l’incipit dell’articolo.

Che procede poi con una sottolineatura singolare da parte della giornalista, notoriamente preparata ed attenta, quella per cui le “opzioni non sono nulla di nuovo“. Come se la capacità di copertura dai rischi dipendesse dall’esser “nuovo” oppure no di uno strumento. Se i derivati utilizzati prima della crisi fossero stati opzioni, negoziate su mercati regolamentati ed accentrati, la crisi avrebbe fatto meno danni, e ci sarebbe stato meno azzardo morale. Non volendosi far mancare nulla, l’articolo conclude con questa sacrosanta e patriottica domanda:

Le imprese italiane sono attive e attente in termini più generali alla gestione del rischio di cambio?

Gli italiani ricorrono meno alla copertura dei derivati per proteggersi contro l’andamento dei cambi. In generale, le imprese non italiane fanno un uso più ampio di questi derivati. In altri paesi la percezione di questi prodotti è più positiva di quanto non accada in Italia. I derivati, se ben utilizzati, possono essere molto utili per gestire e coprire i rischi.

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Banca d'Italia Banche Mario Draghi Vigilanza bancaria

Bontà sua, è sicuro.

«Non sarà mai possibile – spiega un operatore del settore che preferisce l’anonimato – far confluire tutti i derivati (sopratutto quelli “strutturati”) dentro le clearing house. Ci sono troppi problemi burocratici, informativi, gestionali da risolvere. Si farebbe prima a bandirli definitivamente (quelli strutturati), ma trovo che essa sia una soluzione irrealistica e controproducente. Inoltre – continua il professionista – il libero commercio è un diritto inalienabile e risulta esagerato dover riferire a qualcuno dei gusti degli acquisti seppur “esotici”. Voler ingabbiare tutti i derivati del mondo è una lotta contro i mulini a vento. Detto questo – conclude l’operatore – sono sicuro che al fine di evitare il “far west” si può istituire la clearing house per i credit default swap e gli Irs plain vanilla»

Marcello Frisone, Il Sole 24 Ore Plus24, 6 novembre 2010

Nei Documenti il testo delle 21 raccomandazioni del Financial Stability Board in preparazione del G20 di Seul.

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Banche Unicredit

I rating delle banche.

Da un articolo del Sole 24 Ore on line apprendiamo che “Il settore bancario italiano secondo Moody’s si merita nel complesso un rating “C” che indica un’adeguata «forza finanziaria intrinseca». La media del comparto, ponderata per le dimensioni, «è fortemente influenzata dai rating più elevati di Unicredit (C) e Intesa Sanpaolo (B-). La media non ponderata dei rating Bfsr delle banche italiane è «C-» segno che la maggioranza delle banche è vulnerabile alle avversità». Il livello di rating, relativamente solido, delle due banche maggiori secondo Moody’s fa eccezione in quanto, nonostante una qualità degli attivi non forte, riflette la forza della rete commerciale.

Qui si deve confessare la propria ignoranza: sinceramente non si era giunti a pensare che, nonostante una “qualità degli attivi non forte“, si potesse tuttavia confidare nella “forza della rete commerciale“.

Sarebbe interessante spiegare lo stesso concetto ai molti titolari di Pmi che stanno assistendo al razionamento del credito verso le loro imprese in questo periodo. Ma sarebbe anche interessante sapere che cosa si intende veramente per “forza della rete commerciale”: per esempio, la forza di saper vendere derivati come se fossero caramelle?

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Banche Unicredit

Fondazioni.

“(…) è singolare  le fondazioni ampiamente rappresentate nel board di Unicredit (9 consiglieri su 23 sono di loro nomina) non abbiano trovato nulla da ridire quando è emerso che la banca aveva collocato un’enorme quantità di prodotti derivati presso piccoli e grandi enti locali, esponendo a gravi rischi i loro bilanci futuri. Peccato, perché la diversificazione avrebbe reso le fondazioni al contempo meno vulnerabili a una crisi che per lungo tempo è destinata a ridurre i profitti delle banche e in grado di allargare il proprio raggio di azione, sentendosi meno vincolate alla base locale tradizionale. Peccato, perché dare in gestione le banche (come qualunque impresa) a un manager compiacente significa anche darla a uno poco competente. A pagare saranno i cittadini che oggi i sindaci dicono di difendere.”

Tito Boeri e Luigi Guiso – www.lavoce.info