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Alessandro Berti Banca d'Italia Banche Banche di credito cooperativo BCE

Io non voglio pagare per qualche idiota.

Io non voglio pagare per qualche idiota.

Il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco  a Roma il  14 novembre 2012. L'incontro tra i vertici dell'Abi e il governatore della Banca d'Italia Visco di oggi è stato "molto approfondito e di forte soddisfazione": lo ha detto all'ANSA il neopresidente Antonio Patuelli precisando che "abbiamo avuto conferma dai vertici di Bankitalia della stabilità del mondo bancario italiano"ANSA/CLAUDIO PERI
Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco a Roma il 14 novembre 2012.

Io non voglio che le tasse che pago vadano a coprire i buchi nelle tasche di risparmiatori il cui comportamento non merita altro appellativo che quello di dabbenaggine. Perché a dispetto degli alti strilli dei risparmiatori di ieri di fronte ai palazzi del potere di Roma, di dabbenaggine si tratta (anche se la parola giusta sarebbe un’altra: idiozia). La dabbenaggine di chi pensa che solo a lui sia apparsa la luce di rendimenti elevati quando persino lo Stato paga in negativo. Il rischio è connesso al rendimento: capre, capre, capre. Capre: solo una capra può pensare che a lui spettino rendimenti superiori a quelli del mercato.

Non voglio pagare perché Libero, Il Giornale, Brunetta e soci, sempre allegramente assenti quando Tremonti litigava con Bankitalia e quando c’era da avere una politica del credito (avrà tanti difetti, ma questo governo una politica ce l’ha: non vi piace? Non votateli.) che nessuno ha mai nemmeno concepito, delegando tutto a Banca d’Italia, che ha fatto quel che vuole ogni vigilatore. Ha sterminato più banche che poteva, lasciandole cuocere a fuoco lento, per poter avere meno soggettida vigilare.

E infine, proprio per questo, non voglio pagare perché la Banca d’Italia che fa le ispezioni selettive (risk focused le chiamano), non si è accorta di nulla, così come la Consob, che per definizione non si accorge mai di nulla. Non voglio pagare per evitare class action a qualcuno: fate finalmente queste class action. Fatele e piantatela di strillare. Capre.

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Fabbisogno finanziario d'impresa Giulio Tremonti Imprese PMI

Nessuno vuole ciaccare il ferro.

Nessuno vuole ciaccare il ferro.

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Mentre chiacchiero, in una pausa del Meeting (straordinario anche quest’anno), con un amico abruzzese con il quale stiamo organizzando un corso per nuovi imprenditori, ragioniamo sui dati delle cosiddette start-up, citati anche dal ministro Delrio durante il suo intervento, soprattutto nel Mezzogiorno. Ed entrambi dubitiamo, non tanto della bontà dei dati stessi,quanto piuttosto del loro vero significato: così lui, alla mia osservazione sul terziario arretrato, ovvero bar, ristoranti, esercizi commerciali etc…se ne esce con questa frase meravigliosa, che mi fa pensare a due o tre cose.

La prima è molto stringente in termini economici ed è persino banale ripeterla, ma purtroppo riguarda e continua a riguardare tutto il Paese, con l’eccezione, forse, dell’Alto Adige, dove la Provincia Autonoma gestisce ed indirizza la concorrenza: tutti i settori dove non vi sono barriere all’ingresso e dove è relativamente facile entrare per assenza di elevati livelli di capitale investito sono anche quelli che crescono, innovano ed investono meno. Soprattutto, sono i settori a minore valore aggiunto ed a bassa redditività.

Se di investimenti (e di incentivi) si deve parlare, allora, forse sarebbe il caso di ricordare il deleterio contributo della Tremonti alla bolla immobiliare e la cronica assenza di politica industriale: una qualunque, purché politica industriale. D’altra parte siamo e rimaniamo un Paese ad elevata tassazione su famiglie ed imprese, con le distorsioni conseguenti (si investe solo in presenza di incentivi).

Infine, ed è evidentemente un problema culturalmente connesso al precedente, si fa fatica a pensare alla manifattura, si fa fatica a pensare alla fatica: non solo perché impiantare la manifattura è più difficile e costoso ma, appunto, perchè più faticoso. E se la questione è culturale, non c’è incentivo che tenga.

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Crisi finanziaria Cultura finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa Giulio Tremonti Indebitamento delle imprese PMI Silvio Berlusconi

La perdita del cliente spiega lo scostamento (controesodo).

La perdita del cliente spiega lo scostamento (controesodo).

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Sul Sole 24Ore di qualche giorno fa veniva riportata la conclusione di una controversia tributaria che oltre a far pensare che l’Accademia  della Guardia di Finanza debba inserire nei programmi dei suoi corsi più ore di analisi finanziaria e di bilancio, fa riflettere sull’importanza dell’analisi settoriale ai fini della relazione bancaria e del rapporto di affidamento.

In sintesi “il maggior ricavo ottenuto con Gerico non prova, da solo, una gestione imprenditoriale antieconomica se l’impresa ha perso il cliente principale. Inoltre, una differenza tra il margine di ricarico applicato dall’impresa sul costo del lavoro, e quello mediamente applicato dalle altre realtà dello stesso settore, non può fondare il recupero se non si mettono a confronto i costi di struttura. Infine, le condizioni di marginalità escludono il valore probatorio di una presunzione grave, precisa e concordante richiesta per l’accertamento dei maggiori ricavi. Così si è espressa la Ctr Lombardia 1893/15/2015 (presidente Giordano, relatore Staunovo Polacco).”

Premesso che si parla di 2004 e che l’argomento è noiosissimo (per chi volesse mettere i puntini sulle i il Governo in carica era quello di Silvio B. e Ministro dell’economia l’ineffabile Giulio Tremonti) stupisce che il Fisco -tardivamente- e la giurisdizione tributaria si accorgano prima delle banche che le imprese hanno formule competitive differenti, margini differenti rispetto ai settori e che la concentrazione del fatturato è un rischio. Quanto alla “gestione antieconomica” ricorre spesso nei commenti in aula di coloro cui faccio formazione, che immaginano scenari fantasiosi quando invece sarebbe meglio essere realisti. Nel caso in questione “l’antieconomicità della gestione è giustificata dalla perdita del cliente principale, dalla contrazione del mercato del software applicativo gestionale e dal tentativo di arginare queste perdite con l’avvio di nuove attività di siti web e counseling ai lavoratori; le spese contenute, diverse dal lavoro subordinato, provano l’assenza di una struttura aziendale e lo svolgimento di prestazioni di sola mano d’opera, mentre le imprese del campione rappresentativo hanno costi di struttura più elevati che possono influenzare i prezzi praticati ai clienti, facendo emergere così percentuali di ricarico più elevate.”

Ecco, se qualche pratica di fido in più fosse stata scritta così, forse avremmo lo stesso ammontare di sofferenze sugli impieghi, perché quando la crisi è sistemica, oltre che settoriale, c’è ben poco da fare. Ma magari qualche CdA e qualche DG avrebbero compreso meglio certi andamenti economici ed il credit crunch sarebbe stato meno duro. E forse, anche grazie alle banche, avremmo potuto comincciare ad uscirne prima. Come direbbe il Presidente del Consiglio (che apprezzo assai), cambiando direzione. Forse.

 

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Alessandro Berti Università

#scattistipendiali e #buonauniversità

#scattistipendiali e #buonauniversità

Carlo_Vincenzo_Ferraro

Oggi grazie alla capacità ed allo sforzo di coordinamento di quest’uomo, il Collega prof.Carlo Vincenzo Ferraro, Ordinario al Politecnico di Torino, oltre 8000 docenti, tra ordinari, associati (compreso il sottoscritto) e ricercatori hanno manifestato pacificamente nei rettorati di tutte le Università italiane, alle ore 12, per chiedere la cessazione di quell’iniquità che si chiama blocco degli scatti stipendiali. Da molti mesi seguo l’iniziativa del Collega e ho aderito tra i primi: vedere in Rettorato, oggi, almeno il triplo dei Colleghi che avevano rassicurato corca la loro adesione e la loro presenza mi fa pensare che si possa riuscire a far capire al Governo che la #buonauniversità comincia ri-cominciando a premiare chi in università ci lavora. Non fosse altro per smentire l’ex-ministro dell’economia Giulio Tremonti, di cui è nota la triste frase: “Con la cultura non si mangia”.

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ABI Banca d'Italia Banche Banche di credito cooperativo Giulio Tremonti

Nessuno tocca le Bcc (ci ha già pensato Visco).

Nessuno tocca le Bcc (ci ha già pensato Visco).

Bankitalia_ignazio-viscoIl tweet rassicurante del Presidente del Consiglio ieri sera “nessuno tocca le bcc”, appena terminato il Consiglio dei Ministri, è senza dubbio indirizzato a tutti coloro che paventavano una modifica della normativa in materia bancaria penalizzante per le banche di credito cooperativo. Il testo uscito dal Consiglio dei Ministri ha stralciato le norme in materia di bcc e dunque, per il momento, nulla di nuovo sul fronte occidentale. Forse.

L’apertura di una falla sul fronte della difesa di banche “differenti”, poichè improntate su un modello mutualistico e non di mera ricerca del profitto per ora tocca sole le grandi popolari, costrette (malgré-lui? ne dubito…) a diventare società per azioni, dotate di un attivo superiore ad una certa soglia. Nei fatti sancisce, prima ancora che un disfavore del legislatore, un’incomprensione culturale, un essere fuori dal tempo che la mancanza di testimonianza e di valori realizzati ha aggravato. Non si comprende il perché debbano esistere banche di credito cooperativo, piuttosto si aderisce a Banca Etica, in nome di valori che si sente difettare, ma le piccole banche, le banche di prossimità sembrano passate di moda. Eppure non è così lontano il 2008, quando Giulio Tremonti, con il suo bacio della morte, lodava le “piccole-banche-che-continuano-a-fare-credito” contro le grandi e cattive banche, colpevoli del credit-crunch.

Sono passati quasi sette anni di crisi e le piccole banche stanno peggio di prima: le loro virtù -minori sofferenze sugli impieghi, migliore capacità di assistenza alla clientela, capacità di comprendere le esigenze delle Pmi- si sono volatilizzate, non contano più o, più semplicemente, non ci sono più. I numerosi commissariamenti di piccole banche proposti da Banca d’Italia ed eseguiti dal Mef senza batter ciglio si sono accaniti sulle Bcc senza che nessuno alzasse un dito per difenderle, a cominciare da quei genii del senso dell’opportunità della Lega Nord: ed è chiaro che l’obiettivo della Vigilanza, secondo il classico trade-off della teoria finanziaria, è la stabilità, a scapito dell’efficienza. Si potrebbe aggiungere che l’operato di Banca d’Italia segue il vieto e frusto paradigma (mai dimostrato), che la dimensione più grande incorpori i vantaggi della stabilità, dell’efficienza, delle economie di scala: ho cominciato a fare il professore studiando queste cose e ancora non ci cavo le zampe, ci sarà un motivo.

Infine: è persino doloroso assistere allo scempio del credito cooperativo operato dalla Vigilanza, nella totale assenza e/o indifferenza non appena dei referenti politici (già: quali?) ma, soprattutto, delle rappresentanze istituzionali, Abi e Federcasse. Ma se dei primi è spiegabile l’indifferenza, dei secondi è peccato mortale l’ignavia. Che nulla, nemmeno la volontà di sviluppare un nuovo modello associativo, calato dall’alto, può giustificare.

 

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Giulio Tremonti Silvio Berlusconi Stato

Ce sei venuto o te c’hanno mannato?

Ce sei venuto o te c’hanno mannato?

Giulio-Tremonti

A volte ritornano. Giulio Tremonti redivivo ha emendato la manovra economica del Governo, presentando una proposta che eviterebbe IMU ed aumento dell’Iva semplicemente dando corso ai rimborsi della Pubblica Amministrazione, attraverso l’emissione di mini-bond. Giulio Tremonti è stato il marziano di tutti i governi Berlusconi, l’uomo che non si capiva bene chi lo avesse voluto lì, ma che si capiva bene che cosa facesse: diceva no, praticamente a tutto. Ora dice sì, attraverso un emendamento, ad una proposta che stima il maggior gettito Iva in termini di copertura e rende possibile la manovra. Difficile non chiedersi perché ora sia possibile, mentre prima non lo era. Tremonti, insieme a Berlusconi, Brunetta -che ora straparla-, Verdini, Cicchitto, Lupi (il c.d.”ufficio politico”) e la Lega, sono stati protagonisti di una stagione politica che, a rivederla, fa ancora più rabbia. Perché c’era una maggioranza bulgara con la quale si poteva fare di tutto e, invece, si sono blindati (male) i procedimenti giudiziari in corso del presidente del Milan: e poco altro. E’ uno spreco politico, di cui nessuna Corte dei Conti chiederà mai i danni; ma è altrettanto grave e, purtroppo, irrimediabile.

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Economisti Felicità fiducia Formazione Giulio Tremonti Silvio Berlusconi Università

Professori e narrazioni.

Professori e narrazioni.

In un articolo del 16 giugno linkiesta.it titolava che “Col potere ai professori venne l’inverno della nostra civiltà“.  Qualcuno mi ha chiesto cosa ne pensassi, a quel qualcuno, così paziente, rispondo solo ora; non senza aver riflettuto, per l’ennesima volta sul lavoro di chi, come me, fa appunto il professore e dunque, secondo la vulgata (il magazziniere riminese Mario C. ne è il dimenticabile esempio), insegna perché non sa.

L’articolo di linkiesta.it è di Giulio Sapelli, professore anch’egli, di ben altro spessore rispetto al sottoscritto e non mi permetto di chiosarlo. Ma come sempre nei giornali, anche in quelli on line, contano gli articoli e, spesso, anche -se non di più- i titolisti. Del Governo Monti, che avevo tentato di esorcizzare nella sua vicinanza al mio portafoglio ed alla mia vita ho apprezzato in seguito la riforma delle pensioni ed il modo con cui è stata fatta: e la ministra Fornero è, personalmente, nella top list delle donne italiane che non solo contano, ma che fanno (ed è professoressa). Ciò che non ho apprezzato è stato il seguito, ovvero un’inconcludente concertazione, il mancato uso della forza (quella che impone di fare certe cose, costi quel che costi), i carabinieri come messi del Consiglio dei Ministri. Ma tant’è. Con il governo dei professori venne l’inverno della nostra civiltà: quale, di grazia? Quella di palazzo Grazioli? La civiltà del sorriso che raccontava un mondo neppure da sognare, un mondo già presente, dove i ristoranti erano pieni etc…un’estate fa. Perché nessuno ha titolato, il 3 agosto del 2011 per esempio, quando il Governo Berlusconi prese in giro le Camere ed il Paese con un passaggio parlamentare ignobilmente vile e ignavo, che quel governo aveva fatto scendere il buio sulla nostra civiltà?

La risposta a questo enigma, quello per cui se un governo di inetti politici non fa nulla, se non leggi ad personam, nonostante sia dotato di una maggioranza bulgara, nessuno parla di tristezza, mentre se un governo di professori (certo, con molti distinguo: Martone, Ornaghi, Ugolini, non pervenuti, Patroni-Griffi vetero sindacalista del pubblico impiego etc…) fa la riforma delle pensioni, ovvero la riforma per la quale dovremmo ringraziare Fornero e Monti medesimo vita natural durante, allora siamo tutti più tristi, la risposta a tutto questo è nella narrazione. Ovvero nella condivisione che diventa pubblica, patrimonio comune (anche luogo comune, nel vero senso della parola) di un giudizio sulla realtà, che ci riguarda, che riguarda coloro che ascoltano. Il Governo di B. era scollegato dalla realtà, ma ha saputo narrare, senza giudicare la realtà, anzi, rifuggendovi. Ha blandito il popolo senza metterlo di fronte a nulla, a nessuna responsabilità, raccontando le menzogne di chi non metteva le mani nelle tasche degli italiani, pur facendolo. Il Governo Monti, che pure ha saputo mettere, ed in che modo (!), le mani nei nostri portafogli, non è mai uscito dal binario di una narrazione seria e realista. Che gli editorialisti di Libero o del Giornale, che gli on.li Alfano, Lupi, Cicchitto, Verdini non la vogliano ascoltare, non ha importanza: quella è la situazione, quella è la narrazione.

Siamo in dirittura. Ma per finire si deve, appunto, parlare di professori e di inverno della civiltà. Insegno tecnica bancaria, parlo di merito di credito, parlo di come si valutano le aziende, lo faccio da quasi 30 anni, in università e nelle banche. Ricordo perfettamente quando venni messo alla porta da una grossa società torinese che organizzava congressi con la motivazione “Lei è troppo severo, la gente viene per essere tranquillizzata e blandita”. La narrazione era troppo realista, non andava bene. Io ho continuato, invece, a narrare le imprese ed i loro rapporti con le banche ed in tutti questi anni, anche nelle ultime settimane, il riconoscimento maggiore non è mai stato lo stipendio o una parcella: sono state le facce, le mail, le strette di mano, l’amicizia, di tutti coloro ai quali sono state date ragioni, strumenti, metodi. Forse dovremmo chiederlo al Governo Monti, di studiare narrazione. Ma nessuno può decidere al posto nostro se stare, oppure no, di fronte alla realtà: secondo la totalità dei suoi fattori.

P.S.: nonostante l’essere tacciato di buonismo, JM questa sera tifa Grecia, indefettibilmente. Così come a Istanbul il 25 maggio 2005 tifava Liverpool. Con buona pace di tutti.

 

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BCE Crisi finanziaria Disoccupazione Economisti Giulio Tremonti Silvio Berlusconi

#Greciasenzamedicine: per vedere di nascosto l’effetto che fa.

#Greciasenzamedicine: per vedere di nascosto l’effetto che fa.

La notizia della Grecia rimasta senza medicine, ha fatto il giro dei social network, diventando, in brevissimo tempo, l’hashtag più popolare (#Greciasenzamedicine) e l’oggetto delle dichiarazioni preoccupate di tutti. E non può che essere così, se in un Paese europeo si vive una circostanza di durezza e ferocia tali da far pensare a tempi che neppure immaginavamo essere tornati, quelli delle camicie brune (l’Alba Dorata, partito neo-nazista ellenico).

Purtroppo la durezza dei tempi non sembra aiutare la ragionevolezza, se coloro che invocano fallimenti a catena non si rendono conto che punire i banchieri pensando di non punire i risparmiatori è come spegnere un incendio in un museo selettivamente: lasciare bruciare, che so, i fiamminghi del ‘600 per salvare solo i rinascimentali italiani. Brucerà tutto ugualmente, perché l’incendio riguarda tutti. L’idea di B., quella di mettersi a stampare moneta, non è folle, anche se chi l’ha pronunciata mostra chiari segnali di avvicinamento al rimbambimento (a riprova dell’avanzare dell’Alzheimer, ha affermato che però lui scherzava, nel silenzio desolante dell’ufficio politico del Pdl e dei suoi fedelissimi): da tempo ne parla Krugman e tutti coloro che hanno a cuore l’esistenza non solo dell’euro, ma di un politica comune e di una banca centrale degna di questo nome. Solo che né Krugman, né altri economisti, italiani e non, hanno avuto a disposizione i cordoni della borsa ed il consenso semi-bulgaro del penultimo governo, quello degli inetti della libertà.

Mettersi a stampare moneta e salvare le banche non serve a salvare i banchieri: quelli li salverà solo l’inettitudine e la corruttela della magistratura e la loro contiguità al potere, in ogni caso. Mettersi a stampare di moneta serve ad evitare di assistere, non più di nascosto, all’effetto disastroso che fa la mancanza di liquidità nei sistemi economici e finanziari. Si chiama collasso.

 

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Banche Energia, trasporti e infrastrutture Giulio Tremonti Imprese Indebitamento delle imprese PMI Relazioni di clientela

Fare a meno delle banche?

Fare a meno delle banche?

La giornata di ieri, cominciata alle 9 con una riunione e, lavorativamente parlando, terminata alle 19, ha avuto un seguito di circa 6 ore di viaggio, dalla Brianza a Riminibirsk, come ormai andrebbe ribattezzata la città dove vivo. In 6 ore hai molto tempo per pensare, per ascoltare la radio (Isoradio e le sue comunicazioni tardive sulla chiusura di tratti autostradali nonché sul divieto di transito ai Tir superiori a 7,5 tonn., che invece circolavano impuniti), pensare alle infrastrutture ed al deficit italiano delle medesime, maledire camionari, NO TAV, Nimby vari ed assortiti. Però durante il viaggio, come una sorta di sottofondo mentale, ho continuato a pensare sia a quanto avevo discusso presenziando al CdA di una banca locale, sia a quanto ero riuscito a leggere, di contrabbando, su internet e su twitter. Ovvero, del rapporto banca-impresa e, addirittura, se si possa fare a meno delle banche. Comincio dalla fine, ovvero da un mondo senza banche: credo sia nei sogni di quel campione di liberismo che è Giulio Tremonti, che qualche sere fa in televisione ha ripetuto il noto slogan della banca rapinatrice e non rapinata. Le banche nascono per raccogliere il denaro delle persone, che non saprebbero come impiegarlo e come custodirlo, come farlo rendere e come essere sicure di ritrovarlo: possono farlo perché su base fiduciaria e regolamentata raccolgono i risparmi dei cittadini, facendo da tramite per questi verso gli investimenti. Il punto di partenza è, appunto, il risparmio, ci piaccia o no; rifletterci servirebbe a capire che l’unica vera alternativa alle banche è il materasso. O cialtroni truffaldini, di cui nessuno ha memoria, che negli anni ’80 proponevano forme di risparmio alternative e ladronesche, come i vari Cultrera dell’IFL ed altri storie simili. Possiamo discutere che lo facciano bene, possiamo esigere che lo facciano meglio: e proprio per questo dovremmo sceglierle, molto più di quanto non facciamo ora, in una sorta di pretesa che tutte si comportino allo stesso modo in automatico. Sarebbe come pretendere che tutti i whisky fossero come il Bowmore, per spiegare poi perché costano così tanto.

La seconda questione è legata alla prima, perché con altrettanta insofferenza in questo periodo di crisi ci si lamenta dei comportamenti delle banche nei confronti delle imprese (qualcuno ieri, scherzando ma non troppo, parlava sul web di banche che potrebbero de-localizzare, per guadagnare di più), razionate, tartassate, richieste di rientri cui non possono adempiere, prive dei denari per andare avanti. Sul punto è facile essere manichei e seguire il mainstream, che agevola chiunque strizzi l’occhio alle Pmi, tanto le banche sono indifendibili. Un bel post di Fabio Bolognini ci ricorda invece che se le banche talvolta non sono capaci di esaminare un piano di risanamento, è altrettanto vero che le imprese, specie le Pmi, non sono capaci di presentare un piano decente, quando lo presentano. Ovvero, si limitano a fare presente un problema, quello della mancanza di liquidità, ipotizzando che di tutto il resto, compresi gli stipendi, le ritenute etc..debbano farsi carico, appunto, le banche. Che se non lo fanno, diventano subito colpevoli. Cercare colpe, in questo momento non è molto produttivo; può essere tranquillizzante, ma non costruisce nulla. Non aiuta le imprese a guardare dentro di sé, a capire errori e problemi, lavorando sulla formula competitiva e cercando di capire dove non funziona; dare dell’untore alla banca, d’altra parte, serve per continuare ad eludere la grande questione che la crisi, da almeno 5 anni, sta ponendo, ovvero la necessità di ricapitalizzare le imprese. Con soldi veri, buoni, degli imprenditori, non di qualcun altro, come piace dire a Vincenzo Boccia. Su questo punto, con buona pace di tanti, le Pmi non ci sentono, né per amore, né per forza; auspicano piuttosto un rinnovo della moratoria, che non serve a nulla, perché sposterebbe, di nuovo, in avanti il problema. E’ giusto pretendere che le banche ti stiano almeno a sentire, magari anche che ti spieghino perché ti hanno detto no. Ma con altrettanta chiarezza andrebbe detto che non puoi pretendere che qualcuno capisca quello che nemmeno tu sai o conosci: sarebbe come se mi mettessi a spiegare reazioni chimiche o fenomeni fisici. Non è appena questione di avere un buon commercialista (altrimenti, mutatis mutandis, mi basterebbe avere delle buone slides per spiegare ciò che non conosco), si tratta proprio di un’altra cosa: si tratta di cominciare a capire le coordinate principali del lavoro imprenditoriale, si tratta di cominciare ad usare l’informazione, ad analizzare i dati, a sapere, per esempio, perché si ha bisogno di soldi. E’ un altro modo, è una cultura diversa del fare impresa, diversa dal semplice, e talvolta vano, sforzo titanico del “tirare avanti”. E proprio perché è un’altra cosa, ci vuole la pazienza, quella che solo un’educazione consente. Su questo punto ci vuole il lavoro di tutti, perché solo questo costruisce. Continuare a lamentarsi e pretendere sarebbe sterile come la protesta degli indignados. Per costruire non ci si può solo lamentare, si deve avere uno sguardo positivo sulla realtà.

Con chi ci vuole stare, siamo pronti per questo lavoro. Vaste programme.

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Banche BCE Capitale circolante netto operativo Crisi finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa Giulio Tremonti Imprese Indebitamento delle imprese Liquidità Mario Draghi PMI

Illuminare il dibattito o le menti?

Illuminare il dibattito o le menti?

Dario Di Vico, in un editoriale sul Corriere di oggi, lamenta l’atteggiamento delle banche italiane, che hanno ricevuto denaro dalla BCE all’1% e non lo reimpiegano affidandolo alle Pmi, che ne avrebbero bisogno; al contrario, e nonostante gli inviti di Francoforte, le banche italiane mettono i denari in impieghi finanziari, per lucrare margini ridotti ma sicuri, evitando come la peste il rischio di credito.

Ho già provato a spiegare perché è un’illusione pensare che i 115 miliardi della BCE finiscano dritti sparati nelle tasche delle imprese che ne fanno richiesta: il problema, molto banalmente, riguarda la mancanza di liquidità, quella che serve non a fare nuove operazioni, ma ad impedire di troncare le vecchie con rientri e richieste di rimborso che i prenditori non potrebbero sopportare. E non più tardi di qualche giorno fa, partecipando in qualità di consulente al consiglio di amministrazione di un istituto di credito locale, ho potuto notare, letteralmente, la paura di sbagliare negli occhi dei consiglieri, della direzione, di tutti coloro che dovevano decidere. Di Vico non ne parla, non forma l’oggetto del suo articolo: ma la vera questione che le banche locali, cioè quelle che lavorano per i piccoli e con i piccoli, si trovano ad affrontare, riguarda la liquidità, ovvero il requisito che consente loro di continuare a stare sui territori mantenendo stabilità e continuità di relazioni con i risparmiatori. E se solo recentemente, grazie a Draghi, la BCE ha dato la sensazione di poter intervenire laddove ce ne fosse bisogno, come prestatore di ultima istanza, non è difficile immaginare quanto le incertezze legate all’atteggiamento della sig.ra Merkel abbiano pesato, vista anche la massiccia presenza di titoli di Stato nei portafogli bancari.

Che fare, dunque? Come rimettere in collegamento datori di fondi e prenditori di fondi, risparmio e investimenti? Di Vico rifugge da tentazioni dirigistiche, rammentando il fallimento delle commissioni prefettizie di tremontiana memoria e parla di “illuminare a giorno il dibattito tra banche e imprese“, auspicando un forum nel quale si possano confrontare le diverse opinioni e “monitorare l’utilizzo della liquidità BCE“. Più che di un forum, tuttavia, si ha la sensazione che serva un salto culturale, una concezione diversa del fare impresa e del fare banca, che sia fatta propria dal capitale umano, a tutti i livelli. E, sinceramente, non saprei a quale delle due questioni dedicarmi per primo, facendo formazione in entrambi gli ambiti. Servono imprenditori che abbiano voglia di rischiare e non solo i denari altrui, magari nell’immobiliare, che siano coscienti delle coordinate dentro alle quali si muovono, che sappiano gestire e misurare il loro fabbisogno finanziario (il grande assente delle relazioni di clientela in Italia), che siano trasparenti delle loro esigenze. Ma servono anche banche, banchieri e bancari che abbiano voglia di fare il mestiere: ovvero di fare la fatica di studiarle, le Pmi, di stare loro accanto, di capirne le esigenze, di misurare il rischio e, appunto, il fabbisogno. Dicendo anche dei no, e magari spiegandoli, ma sapendo dire dei sì che non siano semplici giri di valzer. La banca di transazione non ci serve, l’abbiamo già ed è il modello dei grandi: abbiamo bisogno di più banca di relazione. Senza dimenticarsi che per ballare bisogna essere in due.