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Capitale circolante netto operativo Crisi finanziaria Educazione Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese Lavoro PMI

Solo il 26% delle aziende ha usato i consulenti…

Solo il 26% delle aziende ha usato i consulenti…

…già, ma per fare cosa? Il Sole 24 Ore di oggi ci dice che per chiedere la Cassa Integrazione, in deroga e non, solo un quarto delle imprese ha fatto ricorso all’aiuto di consulenti.

La notizia merita molteplici riflessioni, soprattutto per l’argomento, di notevole importanza in questo momento storico, nel quale la questione della liquidità la fa da padrona (et pour cause). Il comportamento delle imprese, non solo PMI, nei confronti dei temi della gestione è da sempre frutto di una costante sottovalutazione di quelli strategici a vantaggio di quelli maggiormente fiscali e amministrativi, in sostanza, della gestione ordinaria.

In fondo lo si è potuto notare molto bene esaminando le varie questioni connesse ai prestiti Covid garantiti dallo Stato, per i quali si continua a sbandierare la necessità di liberarsi delle maledette “scartoffie”, impugnando la legge di conversione del decreto che avrebbe (ma non ha) eliminato ogni sorta di necessità di analizzare bilanci, budget, business plan. Ne sanno qualcosa coloro che lavorano in banca, trovatisi a operare in condizioni di totale mancanza di dialogo, certamente non favorito dall’assenza del ceto professionale proprio su un punto fondamentale, ovvero i piani e i progetti per il dopo. D’altra parte, mi giungono notizie, anche direttamente, di aziende che devono nominare il revisore legale (e, signori del Sole 24 Ore,  piantatela di dire che è solo un costo, grazie) che sono sotto ricatto del loro professionista di fiducia e che “devono” nominare Tizio o Caio. I quali verosimilmente, oltre a non approfondire troppo le questioni figlie della gestione preesistente, sottovalutando come i loro clienti il solo parziale rinvio del Codice delle Crisi di Impresa, intanto si insiederanno per constatare che gli assetti organizzativi sono inadeguati, o forse no…e poi?

La cultura d’impresa e un indirizzo più gestionale ai comportamenti imprenditoriali, comprese le relazioni di clientela intrattenute con le banche non arrivano certamente per decreto legge o DPCM, come usa ultimamente. Ma se neppure ci si vuole fare accompagnare da consulenti, peraltro a loro volta restii a una visione strategica, riusciremo certamente nel non invidiabile risultato di essere entrati nella crisi da Covid-19 per primi ed uscirne tra gli ultimi.

P.S.: quello nella foto è Luigi Malabrocca, maglia nera in numerose competizioni ciclistiche, ma lui lo faceva apposta…

 

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Banche Cultura finanziaria Educazione Mutui e tassi di interesse Ricchezza Rischi Risparmio e investimenti

Conflitti di interesse.

Conflitti di interesse.

Ed Gein, Il "macellaio" di Plainfield

Rosario Trefiletti, presidente di Federconsumatori, su Plus 24 di sabato: «È evidente che quando le banche consigliano i loro prodotti sono in conflitto di interessi. Per questo la nostra indicazione alla clientela è quella di scegliere in via prioritaria strumenti di investimento istituzionali: BoT o BTp, per esempio. Il risparmiatore in cerca di un buon consiglio lo può cercare in contrasto di interesse: chiedendo all’istituto di credito di indicargli un prodotto di un’altra banca. In ogni caso è buona regola chiedere diversi preventivi per poi scegliere a mente serena quello che risulta più conveniente: è la concorrenza che migliora l’offerta».

Chissà se Trefiletti fa il verduraio, o magari il macellaio; oppure il panettiere. Forse no. Probabilmente, per coerenza, avrebbe dichiarato fallimento, invitando i propri clienti a comprare mele e pomodori, bistecche e sfilatini presso la concorrenza. O invitandoli ad assaggiare i prodotti altrui. Nel frattempo, con proposte simili, non si dissuadono le banche dal cercare di fare raccolta a tutti i costi, anche a spese dei clienti, come ci ricorda Paolo Zucca sullo stesso giornale. «Gran parte dello sforzo delle banche – dice Giovanni Bianchini del consiglio Apb (Associazione per la pianificazione e controllo di gestione di banche e finanziarie) – è concentrato sulla raccolta, per avere la liquidità necessaria e flussi dai propri clienti. Quindi una garanzia forte contro eventuali choc esterni. Si sta tornando a un rapporto del 70-80% massimo di impieghi sulla raccolta, in parte perchè l’economia tira poco e in parte perchè una consistente raccolta diretta tranquillizza tutti, autorità comprese, ridimensionando gli eccessi nell’utilizzo dell’effetto leva. L’enfasi è quindi sulla raccolta con obbligazioni e altri strumenti “di casa”, c’è meno interesse al collocamento di prodotti di terzi».

Non è appena la concorrenza che migliora l’offerta, checché ne dica Trefiletti: se provassimo a migliorare la qualità della domanda?

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Banche BCE Cultura finanziaria Ripresa

Se non ora, quando?

Se non ora, quando?


Lorenzo Bini Smaghi, sul Corriere della Sera di oggi, spiega in maniera circostanziata non solo perché i tassi debbano salire, ma soprattutto perché sia un bene che lo facciano ora. Difficile non condividere le considerazioni del nostro rappresentante presso la BCE, tanto più che il segnale che il rialzo dei tassi manda all’economia è che la ripresa c’è e che si deve evitare che possa esplodere una fiammata inflazionistica.

Quanto ai risparmiatori, i giornali hanno gioco facile nell’evocazione della “stangata“, termine talmente abusato dai giornalisti da essere divenuto insopportabile. Ovviamente, va da sé, i risparmiatori sono buoni e le banche sono cattive, chi rialza i tassi è malvagio e chi subisce questi arbitrii è un miserando, da compatire e proteggere. Storie come queste fanno capire quanto l’educazione finanziaria sia distante dall’aver raggiunto, non solo nel nostro Paese, un livello accettabile di diffusione: che consenta, perlomeno, di capire che quando si stipula un mutuo a tasso variabile si accetta che gli interessi siano collegati ad una variabile esterna (i.e.l’Euribor); e che se i tassi avessero continuato nella loro discesa si sarebbe aperto il baratro della deflazione. La notizia della quale, probabilmente, non fa vendere copie.

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Cultura finanziaria Imprese informazione PMI Sviluppo

C’è un grosso limite.

C’è un grosso limite.

Insieme con il suo team di analisti, Giuseppe Campanella tra il 2009 e il 2010 ha girato l’Italia in lungo e in largo: 150mila chilometri in tutto, ha calcolato, a caccia di giovani imprese in cui vale la pena di investire. In totale ne ha incontrate 450, ma alla fine per il presidente di Fondamenta Sgr, che tra gli altri segue il fondo di venture capital TTVenture finanziato da un pool di fondazioni bancarie e dalla Cdc milanese, il bottino è stato di appena sei investimenti conclusi. Certo non moltissimi, ma in Italia il trend è questo. E nel resto d’Europa non si fa molto di più. Da un lato valanghe di dossier, dall’altro una manciata di operazioni; in mezzo, una marea di aspettative, due diligence, negoziati e deal mancati, «perché in fondo c’è ancora un grosso limite di cultura e più in generale di trasparenza», osserva Campanella.

Criticità non nuove. Che però non devono nascondere l’altra faccia di una stessa medaglia: mediamente ogni anno le operazioni di venture capital sono un centinaio, e una su dieci vede protagonista uno spin-off universitario. E soprattutto, in Italia, oggi «ci sono almeno 500 milioni di capitali raccolti dai fondi di venture capital che aspettano di essere investiti», come ha ricordato Anna Gervasoni, direttrice dell’Aifi.

Così comincia l’articolo di Marco Ferrando sul Sole 24 Ore di mercoledì, a proposito del “tesoretto” dei fondi. Che, forse, nella testa degli imprenditori assomiglia davvero ad un tesoro nascosto, difficile da trovare ma in possesso del quale saranno risolti tutti i problemi. Gli aspetti deprecati da Campanella non sono nuovi, in colloqui analoghi avvenuti oltre dieci anni fa avevo riscontrato le medesime tematiche. La vera novità -che esiterei molto a definire positiva- riguarda la lamentazione, in materia di cultura e di trasparenza, fatta propria da Campanella. Che appunto perché viaggia in lungo e in largo l’Italia dovrebbe sapere che la realtà è questa: che le Pmi o le idee di Pmi o i sogni delle Pmi sono tali perché fatti propri da piccoli imprenditori, raramente acculturati e quasi mai in possesso di preparazione manageriale. Se questa ci fosse, del resto, perché andarla a cercare?

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Borsa Cultura finanziaria Rischi Risparmio e investimenti

Neuroscienze ed esorcismi: allontanarsi dalla realtà inseguendo le spiegazioni.


Con l’aria che tira chi oggi diminuisce l’esposizione creditizia e aumenta i flussi di cassa non può che essere premiato dal mercato. Cosa puntualmente avvenuta.”

Così annota, giustamente, Fabio Pavesi sul Sole 24 Ore di domenica, registrando una peraltro inconsueta convergenza fra i fondamentali di alcune aziende e la loro quotazione di Borsa. La notazione è condivisibile e fa riflettere, tanto più che, nella stessa pagina, Marco Liera si chiede:”Da dove nascono le bolle speculative e i crolli di borsa? Perché milioni di risparmiatori (e non pochi professionisti dei mercati) puntano a comprare ai minimi e a vendere ai massimi e finiscono regolarmente per fare il contrario?” Liera prosegue citando “nuovi studi che coniugano psicologia, economia e neuroscienze stanno cercando di rispondere a questi interrogativi. Uno di questi è stato presentato lo scorso fine settimana durante l’annuale convention di Efpa Italia, l’associazione che qualifica con standard internazionali i consulenti finanziari che puntano a migliorare costantemente la loro professionalità. Caterina Lucarelli dell’Università Politecnica delle Marche e Gianni Brighetti dell’Università di Bologna hanno condotto un esperimento senza precedenti su un campione di più di 400 soggetti (investitori privati e professionisti della finanza) per analizzare le varie componenti dell’avversione al rischio degli individui. Una delle scoperte più importanti della ricerca (che uscirà a breve in un libro intitolato «Risk Tolerance in Financial Decision Making») è che esiste un pericoloso “demone nascosto” (unconscious sleeping factor) dentro molti di noi che rappresenta l’attrazione emozionale e molto spesso inconsapevole verso il rischio.”

Ho avuto modo di visionare qualche mese fa una parte dei risultati della ricerca e, soprattutto, la metodologia utilizzata. La prima sensazione, osservando lo studio dei comportamenti umani alla luce di tecniche che tentano di avvicinarli a scienze esatte, è stata di disagio. Lo stesso disagio che non si può non avvertire tutte le volte che si legge di studi e ricerche che affrontano le scelte della persona tentando di ricondurle, e quindi riducendole, a qualcosa di spiegabile meccanicamente. Lo stesso disagio provato avvertendo l’ostilità preconcetta verso gli economisti, assimilati (anche dalla regina Elisabetta II) a medici incapaci di leggere le diagnosi di laboratorio, a radiologi arruffoni, a chimici impreparati. Dice bene Marco Liera, a conclusione del suo articolo, quando evidenzia l’importanza della cultura e dell’educazione finanziaria: e non si può che concordare con la sua conclusione.

Ma il disagio resta. Resta, ripensando per esempio alle molte perizie fatte nel corso di cause sul “risparmio tradito“, quando leggendo gli atti di causa si percepiva chiaramente, anche nei casi dove più manifesta era l’imperizia o la malizia di parte bancaria, una vera e propria avidità da parte del risparmiatore. Che pone sempre le stesse domande, che vuole sempre lo stesso titolo, che lo faccia arricchire in fretta, che sia molto liquido e poco rischioso. Che forse non ha bisogno di elettrostimolatori o di cavetti mentre sceglie a quale titolo impiccarsi, ma che prima ancora avrebbe bisogno di criteri e di qualcuno che lo aiuti a farsi le domande giuste. Perché se le conclusioni della ricerca sono quelle che anticipa Liera, come si fa a non domandarsi: e gli altri? Quelli che non sono maschi, fra 30 e 60 anni, mediamente colti, non vedovi, non divorziati, gli altri che fanno, perdono sempre? E se un maschio felicemente coniugato, colto e laureato, studioso di finanza fin dalla tenera età sbaglia, a chi chiediamo il risarcimento? Anziché alla banca alla A.S.L.?

 

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Cultura finanziaria Ricchezza Rischi Risparmio e investimenti

Offrire soluzioni.

Domenico Siniscalco, Presidente Assogestioni

In una intervista rilasciata oltre una settimana fa, l’ex-ministro per l’Economia, prof.Domenico Siniscalco, attualmente presidente di Assogestioni, sostiene con buone ragioni una messa a fuoco della politica economica sulla tutela del risparmio, auspicando incentivi in grado di stimolare investimenti di lungo periodo. Siniscalco allarga le sue valutazioni, non si limita a richiedere un fisco più clemente, soprattutto un fisco in grado di evitare la concorrenza dei Paesi esteri e la de-localizzazione finanziaria. Il Presidente di Assogestioni, in particolare, richiama i suoi associati a “cambiare: (l’industria del risparmio gestito) più che spingere prodotti deve offrire soluzioni, aiutare i risparmiatori a compiere le migliori scelte d’investimento.” Ecco, leggendo le dichiarazioni, sacrosante, di Siniscalco, è difficile non ricordare che a giugno il controvalore degli ETF (exchange traded fund) scambiati a Piazza Affari ammontava a 36 miliardi, ben oltre il 50% in più dell’anno precedente alla stessa data (il valore a giugno 2009 era pari a 23 miliardi). E che la raccolta netta dei fondi di diritto italiani, alla stessa data, è diminuita di ulteriori 10 miliardi. Una componente del successo degli ETF sono senza dubbio le basse commissioni di gestione (0,4% secondo i dati di Banca d’Italia). Ma se l’unica motivazione per comprare ETF, strumenti che replicano passivamente indici o panieri di indici, risiede nei costi, quanto è indifferenziato il mercato del risparmio gestito? E quanto poco “gioca” l’informazione e l’educazione finanziaria sull’argomento?

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Banche Crisi finanziaria Cultura finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI Relazioni di clientela

Se il problema non è solo di norme.

Molti hanno salutato positivamente l’approvazione della legge 122/2010 che consente, a coloro che intendono accordare fiducia all’imprenditore, di evitare i problemi derivanti dal fallimento, grazie alla dichiarazione di pre-deducibilità degli importi erogati e ad una sorta di sospensione dei provvedimenti cautelari. La stessa legge, accogliendo richieste di parte imprenditoriale, ha sancito la previsione dell’esenzione dalla bancarotta per le operazioni poste in essere in esecuzione del concordato o di un accordo e/o piano attestato. L’istituto del concordato preventivo e della ristrutturazione del debito viene così ad essere rafforzato dalla previsione legislativa dell’art.48 della legge 122, che tuttavia continua ad avere il suo punto debole nella dichiarazione del professionista incaricato di attestare che vi è la possibilità di soddisfare i creditori con i quali non vi siano trattative o che si siano dichiarati dissenzienti.

La riforma della legge fallimentare ed i provvedimenti successivi non hanno, infatti, modificato il punto relativo alla responsabilità del professionista, che rimane in verità assai pesante, sia per la questione relativa all’ammontare e la natura dei crediti “autodichiarati” dall’imprenditore, sia soprattutto per la sua effettiva capacità di dichiarare fattibili progetti di pagamento basati, in finale, su ipotesi di fonte aziendale. Il problema non è appena di norme, il professionista, ad evidenza, deve essere responsabile di quanto attesta, sia pure sulla base di quanto dichiarato. Il problema, come dimostrano le storie della crisi, è culturale e, perciò, tecnico. E’ culturale, perché spesso l’unica preoccupazione del professionista è quella del conseguimento a tutti i costi del risultato, anche se ciò si riduce, talvolta, ad un puro e semplice prolungamento dell’agonia. Ed è tecnico, perché i piani che vengono presentati -mi è capitato di vederne più d’uno, su incarico bancario- sono spesso inspiegabili quanto a volumi di vendite e dimensione del risultato operativo, assolutamente artigianali, quando non sbagliati, nella determinazione del fabbisogno finanziario prospettico, sempre ed immediatamente decrescente ed in miglioramento, spesso “errato” nella sua quantificazione e qualificazione. Non c’è norma che possa modificare il costume delle relazioni di clientela italiane, si può solo lavorare e sperare che la crisi spinga i protagonisti del rapporto a relazioni più virtuose ed intense, basate sulla partnership, fin da quando le cose vanno bene. Ma l’attuale dibattito non pare proprio andare in questa direzione.

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Educazione Risparmio e investimenti USA

Cialtroni (e idioti) a stelle e strisce.

La Security and Exchange Commission (SEC) americana ha smascherato e messo sotto accusa per frode Sean David Morton, sedicente guru della finanza americana, che affermava di aver “indovinato tutti i massimi e i minimi  dei mercati e le date esatte dei rialzi e dei crolli negli ultimi 14 anni”. Il mago Norton ha truffato un centinaio di persone, per circa 6 milioni di dollari, regolarmente e prevedibilmente spariti. Eppure, anche negli USA ci sono le regole, la vigilanza, non sono latini etc…che sia, per l’ennesima volta,  una questione di educazione?

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Banche Banche di credito cooperativo Cultura finanziaria Lavorare in banca USA

Buoni e bravi, persino gentili.

Paolo Zucca, su Plus 24 di sabato, ne “La storia di copertina” approfondisce la questione della scelta della banca, mettendo in risalto la possibilità, per i risparmiatori, di punire la banca trasferendo il conto presso un istituto concorrente: secondo i dati del consorzio Patti Chiari la mobilità, intesa come turnover, dei clienti bancari è ferma al 6/7%, spiegabile secondo il giornalista con il fatto che le banche italiane non avrebbero mai abbandonato l’attività di territorio. Il servizio riporta dati contraddittori e, soprattutto, non spiega come si concilii il turnover così modesto con l’altro fatto giustamente messo in risalto, ovvero l’esistenza di una rubrica nota come “mal di budget”, le lamentele di clienti insoddisfatti e più in generale comportamenti scorretti di parte bancaria. Forse non si tratta semplicemente di un diverso modo di comportarsi dei consumatori, come viene riportato nell’articolo, in riferimento alla più matura consapevolezza dei clienti delle banche USA rispetto a quelli europei; diversamente non si spiegherebbe come mai la cultura finanziaria difetti anche negli Stati Uniti e, di conseguenza, anche lì i risparmiatori siano impreparati, non solo tecnicamente.

Non a caso, nella stessa pagina di Plus24 che accoglie il servizio, si parla di sportellisti delle Bcc corteggiati dalle grandi banche e in un’intervista a Francesco Avallone, vice-presidente di Federconsumatori, del fatto che non basti essere gentili. Sul primo punto è bene ricordare che un modo diverso di rapportarsi con il cliente non dipende appena dall’essere stati dipendenti di una banca locale, ma dalla cultura, ovvero dal significato che la banca stessa, ed anzitutto essa, attribuisce alla propria missione e di conseguenza alla propria formula di intermediazione. Non basta avere la maglia n.22 di Diego Alberto Milito per giocare e segnare come lui, così come non è sufficiente avere giocato in una grande squadra per continuare a farlo in un’altra, magari di qualità inferiore o che utilizza tattiche di gioco e sistemi diversi. Se paghi a peso d’oro il personale delle banche locali per farlo venire a lavorare in una banca che di locale avrà solo l’immagine o la spilla sul bavero della giacca del dipendente ex-bcc, questo non basta a rendere il proprio lavoro orientato al cliente, costruendo la banca di relazione. Può essere un inizio, ma richiede un profondo ripensamento della cultura aziendale.

Infine, sempre Zucca, chiosa l’intervista ad Avallone affermando che “(…) non sempre le banche piccole o di territorio possono automaticamente definirsi migliori. E nella lunga storia bancaria italiana la cattiva gestione di banche piccole è stata poi cancellata portando gli istituti deboli nelle braccia delle big.” Non sappiamo a cosa si riferisca il giornalista con questa affermazione, in linea di principio condivisibile -la dimensione di per sé non identifica la qualità e la bontà della performance– ma troppo generica per adattarsi a quelle che in questo momento sono le uniche banche locali italiane, ovvero le Bcc, raramente in difficoltà e che, quando hanno dovuto alzare bandiera bianca, lo hanno fatto riparandosi sotto l’ombrello del Credito Cooperativo, e non del sistema bancario principale. Forse Zucca voleva riferirsi a qualche Popolare, piccola o grande che sia, che, gestita come una banca privata, in effetti ha fatto danni. Ma non ci si può dimenticare che tante altre banche locali, efficienti e funzionanti come la Cassa di Risparmio di Trento, sono state di fatto smantellate, dopo essere state pagate a caro prezzo, da grandi istituti che volevano crescere (vedi per esempio il caso Unicredit) e che, dopo l’acquisizione, hanno abbandonato il territorio non con le insegne, ma nel modo peggiore e più sostanziale, ovvero divenendo irresponsabili nei suoi confronti.

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Consob Risparmio e investimenti

Razionalità limitata (i pregi della finanza comportamentale).

The New York Stock Exchange

Un’interessante ricerca pubblicata dal Servizio Studi della Consob, ad opera di Nadia Linciano, rimette al centro della questione le motivazioni che stanno alla base delle scelte dei risparmiatori. Evidenziando come le stesse, lungi dall’assecondare i paradigmi della finanza classica, ovvero la piena razionalità e la la massimizzazione del profitto, siano in realtà frutto di comportamenti che andrebbero guidati ed indirizzati, anche e soprattutto attraverso l’educazione finanziaria. Si tratta di una ricerca importante, dalla quale i devoti delle regole a tutti i costi potrebbero trarre spunti di riflessione per capire che le regole, senza la cultura, non servono a nulla. La ricerca, infine, può aiutare a ri-definire i confini e l’importanza di quella branca degli studi economici che è la finanza comportamentale, da non assumere più come una bizzarra fuoriuscita dagli schemi della finanza classica ma come qualcosa che, finalmente, riesce a cogliere più intelligentemente e compiutamente la realtà.