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Borsa

Notizie price sensitive a mercati chiusi (sto vivendo come gli antichi).

Notizie price sensitive a mercati chiusi (sto vivendo come gli antichi).

cortina-isolata-da-forte-nevicata

Riceviamo e pubblichiamo.

Ciao. Sono in montagna ancora senza corrente elettrica (immagino che tu sappia del blackout). Approfitto di un attimo di collegamento per dirti alcune cose.
(…) Io sono senza luce, acqua calda, cell e internet.
Sto vivendo come gli antichi….
A presto

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Borsa Capitalismo Energia, trasporti e infrastrutture Imprese Indebitamento delle imprese Silvio Berlusconi

Capitani coraggiosi (moriremo democristiani).

Capitani coraggiosi (moriremo democristiani).

Roberto_Colaninno

Cosa hanno in comune la madre di tutte le scalate del secolo scorso, ovvero l’operazione Telecom, e la privatizzazione fallita di Alitalia? Lo stesso “capitano coraggioso” (copyright della definizione di Massimo D’Alema), Roberto Colaninno (il cui figliolo, come verosimilmente il padre, milita nelle file del PD) che è riuscito nella doppia impresa di indebitare ultra vires Telecom e di gestire Alitalia senza scucire un centesimo, sapendo di poter poi addossare il problema, a quanto pare, alle Poste. Doppia impresa benedetta in modo bipartisan, nel primo caso dalla sinistra, appunto, di Massimo D’Alema, nel secondo caso dal centrodestra di Silvio Berlusconi.Il capitalismo straccione è prerogativa tutta italiana, che aggrava la “normale” propensione ad effettuare operazioni come quella di Telecom, che prevedono, anche negli States e ovunque nel mondo, che sia la società target, ovvero quella oggetto di take over a pagare i debiti contratti per acquisirla. Non c’è scandalo, in effetti; non sarebbe male ricordare che prima della scalata Telecom era governata dal “nocciolino duro” (6% del capitale) made in Fiat, il cui CEO Rossignolo passò alla storia per la nota ed infelice frase sulla sua potenza manageriale. Tutto normale o quasi, tranne la totale assenza di una qualunque politica industriale nel nostro Paese: per ritrovarne tracce si deve ritornare a Romano Prodi ministro dell’industria o, forse, alla buonanima di Fanfani. Così è, o appare normale, che si parli delle Poste per salvare Alitalia, senza che nessuno, a destra o sinistra, provi un minimo senso di vergogna.

Moriremo democristiani.

 

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Banca d'Italia Borsa Crisi finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI

Tu quoque, Saccomanne.

Tu quoque, Saccomanne.

saccomanni-2Come un Vincenzo Boccia di Piccola Industria di Confindustria qualsiasi, il Ministro Fabrizio Saccomanni ha detto la sua sulla situazione di difficoltà in cui versano le imprese, ritirando fuori dal cassetto i mini-bond di montiana memoria. Strumenti inservibili, di nessun vantaggio fiscale e di nessuna utilità pratica, poiché vincolati a tassi di emissione fuori mercato, e pertanto non appetibili per gli investitori. Stupisce che un ministro della preparazione di Saccomanni, già in Banca d’Italia, abbia parlato di qualcosa di cui conosce bene la sostanziale inutilità; tanto più che, perlomeno, non era mancata, con buona pace del PdL e del saccente Renato Brunetta, la chiarezza e la sincerità nell’affermare che non si intravvedono spazi per i tagli. Andrebbe aggiunta un’altra cosa, ma comprendo che nessuno voglia o possa dirlo. I prossimi tagli (p.e. i forestali calabresi?) colpirebbero il bacino elettorale di qualcuno. Un’ottima ragione per non farli: molto meglio, appunto, parlare di mini-bond.

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Banche Borsa Liquidità Mariella Burani

Rimbalzi (abbiamo già dato).

Rimbalzi (abbiamo già dato).

Antichi_Pellettieri

Settimana scorsa, ascoltando in macchina Sebastiano Barisoni a Radio 24, apprendo che una vecchia conoscenza, Antichi Pellettieri spa, ha fatto +148% in due giorni: interrogato da studio, il corrispondente dalla Borsa dichiara che il tutto si giustifica con la rinegoziazione del debito con il sistema bancario.

Incuriosito, vado ad esaminare i fondamentali dell’azienda, che il paziente lettore del blog può trovare qua.

Per chi non avesse voglia o tempo di ricercare lumi nel bilancio riclassificato (*), vale la pena tenere presenti alcuni aspetti:

  • il fatturato si è ridotto nel 2011 del -30% e nel 2010 del -47%;
  • in nessuno degli ultimi tre anni si è mai verificata la condizione della capacità di reddito, che risiede notoriamente nella capacità di coprire, con il risultato operativo, almeno gli oneri finanziari;
  • non solo è negativo il risultato operativo, è negativo lo stesso MOL (margine operativo lordo) ovvero il flusso di cassa potenziale o economico, il cui valore, secondo gli analisti, dovrebbe essere contenuto in non più di 4 o 5 volte nei debiti finanziari: ma il risultato della frazione è infinito, o massimo, a piacimento;
  • i debiti finanziari si sono ridotti di 65 mln.di € nel 2010 grazie ad ingenti disinvestimenti (non capacità di rimborso della gestione corrente, ma riduzione del capitale investito) e di circa 4 mln.di € nel 2011; i debiti stessi rappresentano quasi l’84% del fatturato e nel triennio precedente si attestavano comunque su livelli elevatissimi (oltre il 50% delle vendite, in assenza di margini);
  • non vi è alcuna capacità di generare cassa, come evidenziato dai dati del rendiconto finanziario.

Con l’evidente bontà di questi fondamentali il debito è stato rinegoziato: ovvero, le banche hanno accettato di riscadenzare il debito, allungandone la durata, al fine di consentire un più facile rientro all’azienda. Non ci sarebbero molti commenti da fare, ma non riesco a non pensare alle tante aziende per le quali il riscadenzamento è accordato solo previa concessione di infinite garanzie e firme, ipoteche e quanto altro: e per le quali, in ogni caso, andrebbe presentato un piano di risanamento che mostri le possibilità di ripresa. Qui si aspetta, e basta. Si aspetta che Antichi Pellettieri, una griffe del lusso made in Italy, porti a casa, in un futuro di cui nessuno sa qualcosa, i risultati che Tod’s, Louis Vuitton, Prada, riescono a conseguire già, ora.

Nulla quaestio, per carità, l’Italia è piena di debiti ristrutturati. Ma con Mariella Burani Fashion Group, mi sembrava, avevamo già dato: o no?

(*) Con la collaborazione di M.Rossi e L.Castellucci, per R&A Consulting.

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Banche Borsa Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI

A saldi invariati.

A saldi invariati.

Accade che per lavoro, che grazie a Dio non manca di questi tempi, io sia invitato a parlare di project bond e di possibilità per le Pmi organizzate sotto forma di srl, di emettere propri titoli di debito. Accade dunque che io debba studiare e prepararmi, anche grazie ad un’ottima collaboratrice che ha predisposto il materiale,  su un argomento che il Governo Monti ha inserito, tra l’altro, nel “Cresci-Italia”, sbandierando il provvedimento come possibilità di apertura al mercato dei capitali.

La lettura della normativa è stata deprimente, l’esposizione in aula, nonostante tutto, altrettanto triste (qualche partecipante, man mano che ci si inoltrava nella trattazione, chiedeva, letteralmente, un “colpo di scena“). Finanziarsi attraverso propri titoli di debito conviene, ai tassi che le normativa consente ai fini delle deducibilità degli interessi passivi dal reddito dealla società emittente, solo per elevatissimi ammontari di emissione: la ritenuta alla fonte in misura ridotta si applica solo se il tasso dell’emissione è pari all’1,25% (sic). La ratio del provvedimento è fin troppo chiara: mantenere invariata la pressione fiscale, senza agevolazioni sostanziali, ma solo formali, che servano politicamente ma che siano innocue ai fini, appunto, dei saldi di bilancio. Ma poiché i mercati non ragionano a saldi invariati ma in base alle convenienze della combinazione rischio-rendimento, per quale ragione i mercati medesimi dovrebbero “digerire” emissioni di titoli di debito privi di rating, emessi da soggetti “corporate” le cui performance, probabilmente, richiederebbero tassi di finanziamento ben più elevati? La constatazione, assai desolante, che si trae dall’esame di tutta la normativa, è che avrebbero convenienza ad indebitarsi emettendo propri strumenti di debito proprio i cattivi prenditori: che tuttavia, come è noto, sono razionati. D’altra parte, perché gli azionisti di un buon prenditore dovrebbero scegliere di indebitare la propria società attraverso un sistema così bizantino, anziché andare direttamente sul mercato? Ultima domanda, per la quale il Presidente Monti ed il ministro Passera hanno sicuramente una risposta che non possono, politicamente, condividere in pubblico: l’apertura al mercato dei capitali delle Pmi quanto dipende, davvero, da strumenti innovativi e non, piuttosto, dalla sempre scarsa voglia delle Pmi di farsi “scrutinare” dal mercato?

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Borsa Imprese profitto

Dividends and cash flow do matter (non sappia la tua destra quello che fa la tua sinistra 2).

Dividends and cash flow do matter (non sappia la tua destra quello che fa la tua sinistra 2).

E sempre a proposito di finanza etica, nella stessa storia di copertina di Plus24 di cui ci si è occupati ieri, appare un’intervista al prof.Perrini, a cura di A.Criscione, che fa “il punto con Francesco Perrini, direttore del Cresv (Centro Ricerche su Sostenibilità e Valore) presso l’Università Bocconi. Il quale spiega come il filtro dell’«etica» permetta di evitare spesso situazioni spiacevoli e ricorda come Parmalat fosse inciampata sulla trasparenza in questo tipo di valutazione ed esclusa dai fondi etici prima del crack finanziario. Innanzitutto cosa è la finanza etica? Il secondo termine forse oscura il primo e più che alla finanza e quindi agli investimenti, poi si pensa alla beneficenza e alle buone azioni.
È vero. Il termine “etica” da noi crea qualche complicazione. Tanto che nel mondo anglosassone si parla di investimenti sostenibili e l’acronimo più corretto Sri, socially responsible investing, in italiano dovrebbe essere «risparmio gestito in modo socialmente responsabile». Preferisco per questo: finanza sostenibile nella dimensione finanziaria sociale e ambientale. In Italia è però ormai in uso il termine di finanza etica ed è vero che “etica” oscura “finanza”. Anzi può creare fraintendimenti perché non fa pensare immediatamente a quello che invece è chiaro nel resto del mondo, ovvero che si investe in imprese che rispettano tutta una serie di parametri.
Quali parametri?
Sono essenzialmente tre: la responsabilità sociale, la sostenibilità ambientale e la trasparenza nella corporate governance, che si aggiungono ai classici criteri di valutazione di tipo finanziario relativi alle azioni e alle obbligazioni. Questi criteri permettono di selezionare quei titoli che nel tempo danno i migliori risultati e minori rischi.”

L’intervista prosegue fino al punto in cui Perrini, a domanda, risponde: “A cosa è dovuta la “tenuta” di questi titoli?
Certamente se compriamo un titolo di aziende che rispettano parametri di responsabilità sociale, di sostenibilità ambientale e di trasparenza nella governance, che perciò hanno una serie di rischi inferiori e una aspettativa di sopravvivenza superiore, rendono un po’ di più degli altri.”

L’affermazione è un po’ apodittica e lascia perplessi, così come altre nel corso dell’intervista; che d’altra parte, appunto, è un’intervista e non un saggio accademico, al quale richiedere fonti e citazioni bibliografiche.

Mi resta una domanda: la performance (vedi Prospetto nei Documenti) di un fondo come il Vice Fund, che dal 2002 batte regolarmente l’indice S&P 500, nel 2012 è tornato ai livelli precedenti il 2009 e che investe in titoli di aziende che si occupano di armi, case da gioco, tabacco e bevande alcooliche come si spiega?

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Borsa Capitalismo Imprese IPO

(S)quotarsi un po’: delisting Benetton per non addetti.

(S)quotarsi un po’: delisting Benetton per non addetti.

Ma Piazza Affari è un problema che, con ieri, Ponzano Veneto ha cominciato a mettersi alle spalle. Al termine di una riunione del cda durata un’oretta, Edizione ha spiegato le ragioni dell’addio. Ritiene che «anche in considerazione della protratta volatilità dei mercati azionari» il delisting «possa fornire al management la flessibilità richiesta nel medio e lungo termine» per sviluppare le «azioni necessarie a fronteggiare le sfide derivanti dal mutato contesto competitivo». Di fronte a scenari nuovi, occorre «una strategia di rafforzamento del modello di business su cui sono fondati la storia e il successo di Benetton».

Alla vigilia del cambio della guardia alla presidenza, con Alessandro Benetton destinato in primavera a succedere al padre Luciano, Piazza Affari non è più considerata funzionale a un progetto di rilancio industriale. Anzi. Di qui l’obiettivo di raggiungere almeno il 95% del capitale per procedere alla revoca dalla quotazione nel giro di qualche mese.

Francesco Spini, La Stampa.

Traduzione: ci ricompriamo l’azienda a prezzo vile, dopo aver monetizzato quanto possibile con l’IPO. Poiché non siamo più quotati non abbiamo più costi e noiose incombenze. Paghiamo molto bene i nostri consulenti di comunicazione perché riescano a non dire niente facendo finta di spiegare tutto.

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Borsa Capitalismo Keynes

Siamo stati ricostruiti dal capitalismo, siamo la sua sostanza peccatrice.

Siamo stati ricostruiti dal capitalismo, siamo la sua sostanza peccatrice.

L’avidità quando si diffonde capillarmente non torna più indietro. Si può stemperare ma non scompare. Restiamo freddi di fronte al film maledetto che il “tedesco” Erich von Stroheim girò a Hollywood per denunciare la rapacità umana, la partita infernale che inizia con cinquemila dollari vinti alla lotteria e si conclude con due cadaveri nel deserto in mezzo al nulla, fra i riflessi abbaglianti di monete d’oro che nessuno userà più. Non ci stiamo più a credere che l’avidità sia il buio dell’anima, disgreghi l’uomo e lo porti alla rovina, alla morte. Tra il professore di liceo di mezzo secolo fa e il compendio dell’utilitarismo inversione hollywoodiana non c’è scelta possibile. Veniamo dalla cultura greca ma siamo stati ricostruiti dal capitalismo, siamo la sua sostanza peccatrice. Alle generazioni a venire, Keynes raccomandava di distinguere tra l’amore per il denaro come possesso, morboso e leggermente ripugnante, e l’amore per il denaro come mezzo per ottenere le gioie e sperimentare la realtà della vita. Se improvvisamente proviamo vergogna, ricordiamoci almeno della lezione del genio scapestrato che giocava in Borsa e non disdegnava il piacere.

Lanfranco Pace, Il Foglio, 21 gennaio 2012

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Banche Borsa Crisi finanziaria fiducia Giulio Tremonti Indebitamento delle imprese Liquidità Ripresa Silvio Berlusconi Stato Unicredit

Il pericolo è che si giustifichi.

Il pericolo è che si giustifichi.

Questa disfatta non è giustificata. Il pericolo è che si giustifichi“. Così Il Sole 24 Ore di oggi riporta, nelle pagine on-line, il giudizio della Lex column del Financial Times, che esamina le conseguenze del taglio del rating operato da Standard and Poor’s dapprima al debito sovrano del nostro Paese e poi alle 7 principali banche. La disfatta delle banche italiane non sarebbe giustificata, eppure Unicredit ha attinto oggi i minimi storici o, come dicono i cronisti televisivi, ha aggiornato il proprio record negativo.

Solo l’improntitudine del nostro Premier poteva giustificare il downgrade del rating del nostro debito sovrano con la campagna mediatica in corso. Non meno ingenui e sprovveduti appaiono tutti coloro che ritengono le agenzie di rating una sorta di Spectre della finanza, che affossa intere nazioni con un semplice comunicato. Si può difendere oppure no la politica economica di questo Governo, si possono discutere le scelte operate da Tremonti e quelle non fatte dal presidente del Consiglio: ma se avessero taciuto le agenzie di rating, avrebbero parlato i numeri del nostro debito pubblico, ancora in ascesa e, soprattutto, i numeri di una manovra finanziaria che, nella migliore tradizione italiana, insegue la spesa pubblica con nuove tasse. Continuiamo a non aspettarci nulla dalla politica, forse la decenza imporrebbe appena un po’ meno ipocrisia. Quanto alle banche, non si tratta semplicemente dell’effetto-downgrade che si trasmette in automatico, causa detenzione di ingenti ammontari di titoli di Stato in portafoglio. Ciò che appesantisce le banche sono le sofferenze e le conseguenze di queste ultime, non tanto sul patrimonio, quanto sulla liquidità: le perdite su crediti, non quelle su titoli, sono la questione. E questo, purtroppo, giustifica molte cose.

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Borsa Crisi finanziaria Economisti Mercato Strumenti finanziari

La qualità dei mercati.

La qualità dei mercati.

Paolo Pasquariello, professore di finanza all’Università del Michigan, sul Corriere Economia di lunedì scorso, afferma che “i mercati finanziari operano sulla base di una serie di immutabili (sic) principi (come le leggi della fisica), il più importante dei quali stabilisce che due identiche attività finanziarie debbano avere lo stesso prezzo, pena l’emergere di un’opportunità di arbitraggio che produce profitti senza rischio. E’ ragionevole aspettarsi che questo principio sia sempre soddisfatto (anche se non perfettamente) in mercati finanziari ben funzionanti. E’ dunque possibile misurare l’abilità dei mercati di operare correttamente esaminando i prezzi di azioni, obbligazioni e valute in termini relativi, anche in assenza di criteri condivisi di valutazione in termini assoluti. Ebbene, la ricerca accademica evidenzia che a causa delle sunnominate frizioni (NdA: imperfezioni, barriere e vincoli) questo basilare principio della finanza moderna viene spesso violato dai mercati, soprattutto durante periodi di stress ed elevata volatilità. In breve, la qualità dei mercati finanziari tende a deteriorare specialmente in corrispondenza di drammatici movimenti di prezzo, proprio quando governanti e investitori sembrano prestar loro la più grande attenzione.

Perché qualcosa suona stonato, in questa ineccepibile esposizione? E, soprattutto, perché? E ancora: perché se i mercati operano su una base di immutabili principi (come le leggi della fisica) a un certo punto la qualità viene meno? Sarebbe come domandarsi perché a 100 gradi l’acqua non bolla oppure a zero gradi non geli: cosa accade? L’articolo di Pasquariello si intitola “La saggezza (dubbia) dei mercati finanziari“: forse si dovrebbe ripartire da lì.