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Imprese PIL PMI

Ecco perché…

di Franco Alesina e Antonio Giavazzi

Il motivo per cui il governo giallo-verde e la Commissione europea (con l’appoggio di 18 sui 19 Paesi dell’eurozona) hanno idee tanto diverse sulla nostra Legge di bilancio è semplice. Roma ritiene che un aumento dei trasferimenti dello Stato ai cittadini (9 miliardi per il reddito di cittadinanza e 7 per abbassare l’età minima della pensione) e la minuscola riduzione di imposte (meno di 2 miliardi) daranno un forte impulso alla crescita, facendola salire dall’1,2 per cento previsto per quest’anno all’1,5 l’anno prossimo e 1,6 nel 2020. Bruxelles pensa invece che questi provvedimenti potrebbero addirittura rallentare la crescita.

Chi ha ragione? Il numero chiave è quello che gli economisti chiamano il «moltiplicatore della spesa». Ovvero, per un euro di maggior spesa pubblica di quanto «si moltiplica», cioè aumenta il Pil? La risposta ovviamente dipende da molti fattori: di quale spesa si tratta, quali sono i livelli iniziali di spesa, debito e pressione fiscale; dipende anche da come reagisce la banca centrale. Molti economisti hanno cercato di misurare questo moltiplicatore in tanti modi diversi e usando dati recenti. Questo è importante perché in molti Paesi spesa e tasse sono oggi pari a circa la metà del Pil, non il 20 per cento come ai tempi di Keynes. Una delle riviste ufficiali dell’American Economic Association(il Journal of Economic Perspectives) sta per pubblicare una rassegna degli studi degli ultimi decenni su questo punto.

La rassegna è opera di Valerie Ramey, una delle maggiori esperte al mondo su questo argomento, forse la più stimata in assoluto. La Ramey conclude che il moltiplicatore della spesa si aggira tra 0,5 e 1. In particolare quello della spesa per trasferimenti è più vicino a 0,5. Cioè¸ per ogni euro di spesa pubblica in più — a parità di tasse, quindi finanziata a debito — il Pil aumenta meno di un euro. Il motivo è che più spesa pubblica spiazza un po’ di spesa privata. Sia perché i tassi di interesse aumentano e gli investimenti privati scendono, sia perché consumatori e investitori si aspettano che le tasse prima o poi aumenteranno per pagare la maggiore spesa, e quindi consumano e investono di meno.

Ma c’è di più. Il moltiplicatore della manovra giallo-verde potrebbe addirittura essere negativo. Ovvero i provvedimenti previsti dalla Legge di bilancio potrebbero far scendere così tanto consumi e investimenti privati da più che compensare l’impulso derivante dall’aumento nella spesa pubblica. E’ ciò che pensa, ad esempio Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo monetario internazionale (The Italian Budget: a Case of Contractionary Fiscal Expansion?, Washington, Peterson Institute), da sempre un esponente dell’ala keynesiana della professione e un feroce critico del austerità.

Perché potremmo avere un moltiplicatore negativo? Prima di tutto più debito farà salire lo spread, e ciò si rifletterà in tassi più alti per gli investimenti delle imprese e per i mutui dei consumatori, i quali dovranno quindi tagliare altre spese. Le banche (ma anche le famiglie) che posseggono Btp subiranno delle perdite e ciò significa che dovranno ridurre le linee di credito alle imprese (si legga su questo punto Crowding out risk: Sovereign debt, banks, and firms in Italy, di Balduzzi, Brancati e Schiantarelli, pubblicato due giorni fa su VoxEU). Ovviamente nulla può fare la Bce che anzi si appresta a sospendere, dopo tre anni, gli acquisti di titoli pubblici. I tassi di interesse in Europa (senza il nostro spread ovviamente) sono bassissimi e non potranno che aumentare. Inoltre piu’ spesa e piu debito oggi significano piu’ tasse domani peggiorando le aspettative degli operatori economici.

La crescita nell’ultimo trimestre e’ stata pari a zero, anche se hanno pesato fattori specifici e temporanei nel settore delle automobili. Le previsioni di istituzioni private per il 2019 si aggirano intorno allo 0,8, alcune un po’ meno, la metà di quanto prevede il governo probabilmente scontando un possibile effetto recessivo della manovra. Questi sono i fatti. Se decidiamo di ignorarli il risultato sara’ che non avremo nessun aumento di Pil e che quindi il rapporto debito-Pil salirà più di quanto preveda il governo.

Invece i moltiplicatori delle imposte, ovvero di quanto sale il Pil per ogni euro di riduzione di tasse, sono molto piu’ alti, stimati intorno a 2 se non di più. Ovvero per ogni euro in meno di imposte si creano due euro in più di Pil. L’effetto e’ particolarmente forte se riduzioni di imposte sono accompagnate da annunci credibili di riduzioni graduali delle spese per mantenere il debito sotto controllo. I consumatori si sentono piu ricchi perché tassati di meno sia oggi che domani, e possono quindi aumentare le spese. Idem per gli imprenditori, per via di costi del lavoro piu bassi. In più tasse più basse favoriscono la partecipazione al mercato del lavoro, stimolando in particolare l’occupazione femminile che e’ molto bassa in Italia.

Dopo quasi 10 anni di espansione ininterrotta l’ economia americana potrebbe rallentare. La borsa di New York è altalenante da un paio di mesi e molti prevedono un «aggiustamento» significativo. La Federal Reserve sta alzando i tassi e continuerà a farlo anche a dicembre, come ha già annunciato, proprio per non lasciar surriscaldare un’economia in cui la disoccupazione è scesa al 3,9 per cento, cioè ai livelli minimi degli ultimi 50 anni e l’inflazione sta dando segni di riprendersi. In Europa la crescita non sta certo accelerando, anzi. Insomma, la congiuntura internazionale non pare particolarmente favorevole e cio’ potrebbe compromettere non poco le esportazioni che negli ultimi anni hanno alimentato la parte piu’ dinamica della nostra economia. Senza il successo delle esportazioni non saremmo ancora usciti dalla recessione, un dato su cui riflettere per chi auspica un’Italia sovranista isolata dal mercato comune europeo. 

Il problema di questa Legge di bilancio non e’ tanto l’obiettivo di un rapporto deficit- Pil al 2,4 per cento, il doppio di quanto avevamo promesso. Anche la Commissione europea fa male a parlare solo di decimali. Ciò che conta e’ quello che c’e in questo 2,4. Manteniamo pure il deficit al 2,4 ma usiamolo bene, non per creare una recessione. Meno tasse stimolerebbero la crescita e quindi in parte si autofinanzierebbero (non del tutto, la spesa poi andra’ gradualmente ridotta). I mercati sarebbero piu tranquilli e lo spread scenderebbe. Invece, un 2,4 che è il risultato di sussidi alle famiglie e riduzione dell’età di pensionamento (che aumenta non solo e non tanto la spesa pensionistica di oggi, ma comporterà enormi aumenti di spesa e quindi di tasse in futuro) non stimola la crescita. E con un’economia che si ferma, la disoccupazione sale gonfiando il costo del reddito di cittadinanza. Pensiamoci: un’altra recessione, proprio non ce la possiamo permettere, soprattutto se siamo noi stessi a favorirla.

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Borsa Capitalismo Energia, trasporti e infrastrutture Imprese Indebitamento delle imprese Silvio Berlusconi

Capitani coraggiosi (moriremo democristiani).

Capitani coraggiosi (moriremo democristiani).

Roberto_Colaninno

Cosa hanno in comune la madre di tutte le scalate del secolo scorso, ovvero l’operazione Telecom, e la privatizzazione fallita di Alitalia? Lo stesso “capitano coraggioso” (copyright della definizione di Massimo D’Alema), Roberto Colaninno (il cui figliolo, come verosimilmente il padre, milita nelle file del PD) che è riuscito nella doppia impresa di indebitare ultra vires Telecom e di gestire Alitalia senza scucire un centesimo, sapendo di poter poi addossare il problema, a quanto pare, alle Poste. Doppia impresa benedetta in modo bipartisan, nel primo caso dalla sinistra, appunto, di Massimo D’Alema, nel secondo caso dal centrodestra di Silvio Berlusconi.Il capitalismo straccione è prerogativa tutta italiana, che aggrava la “normale” propensione ad effettuare operazioni come quella di Telecom, che prevedono, anche negli States e ovunque nel mondo, che sia la società target, ovvero quella oggetto di take over a pagare i debiti contratti per acquisirla. Non c’è scandalo, in effetti; non sarebbe male ricordare che prima della scalata Telecom era governata dal “nocciolino duro” (6% del capitale) made in Fiat, il cui CEO Rossignolo passò alla storia per la nota ed infelice frase sulla sua potenza manageriale. Tutto normale o quasi, tranne la totale assenza di una qualunque politica industriale nel nostro Paese: per ritrovarne tracce si deve ritornare a Romano Prodi ministro dell’industria o, forse, alla buonanima di Fanfani. Così è, o appare normale, che si parli delle Poste per salvare Alitalia, senza che nessuno, a destra o sinistra, provi un minimo senso di vergogna.

Moriremo democristiani.

 

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Borsa Capitalismo Imprese IPO

(S)quotarsi un po’: delisting Benetton per non addetti.

(S)quotarsi un po’: delisting Benetton per non addetti.

Ma Piazza Affari è un problema che, con ieri, Ponzano Veneto ha cominciato a mettersi alle spalle. Al termine di una riunione del cda durata un’oretta, Edizione ha spiegato le ragioni dell’addio. Ritiene che «anche in considerazione della protratta volatilità dei mercati azionari» il delisting «possa fornire al management la flessibilità richiesta nel medio e lungo termine» per sviluppare le «azioni necessarie a fronteggiare le sfide derivanti dal mutato contesto competitivo». Di fronte a scenari nuovi, occorre «una strategia di rafforzamento del modello di business su cui sono fondati la storia e il successo di Benetton».

Alla vigilia del cambio della guardia alla presidenza, con Alessandro Benetton destinato in primavera a succedere al padre Luciano, Piazza Affari non è più considerata funzionale a un progetto di rilancio industriale. Anzi. Di qui l’obiettivo di raggiungere almeno il 95% del capitale per procedere alla revoca dalla quotazione nel giro di qualche mese.

Francesco Spini, La Stampa.

Traduzione: ci ricompriamo l’azienda a prezzo vile, dopo aver monetizzato quanto possibile con l’IPO. Poiché non siamo più quotati non abbiamo più costi e noiose incombenze. Paghiamo molto bene i nostri consulenti di comunicazione perché riescano a non dire niente facendo finta di spiegare tutto.

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Crisi finanziaria Giuliano Ferrara Giulio Tremonti Silvio Berlusconi

Lettere ad improvvidi incapaci (non leggete la realtà).

Lettere ad improvvidi incapaci (non leggete la realtà).

Caro senatore Bondi, lei se la conta giusta. Anche troppo giusta. Avete condotto al disastro una grande avventura politica, e alla fine avete anche ammazzato, imbavagliandolo, il suo e vostro padre, Berlusconi. L’ipocrisia, peraltro da noi scarsamente frequentata anche nelle dure battaglie difensive di questi anni, è finita. Non siete una classe dirigente.

Non leggete i libri e i giornali e i documenti giusti, non leggete la realtà che confligge con la vostra vanità, siete stati ineffettuali e autoreferenziali, non sentite il peso della opinione popolare e non sapete trattare le élite, vi siete comportati da isterici in difetto di volontà. L’attenuante del circo mediatico-giudiziario e di una Repubblica dei parrucconi, che vi hanno perseguitato con notorio accanimento, è appunto solo l’attenuante di un giudizio di severa e inappellabile condanna. Non altezzoso, ma definitivo. Militante, per così dire. Punto.

Sopra tutto, nell’ultima e ingloriosa curva avete buttato a mare l’unica riforma coraggiosa e decisiva che avevate prodotto con l’anomalia felice di Berlusconi: un paese sorridente e padrone di sé, un paese che vota quando si cambia il governo, con i suoi vizi odiosi ma con la capacità di dirsi e di dire la verità a un’Europa sempre più arcigna, a banchieri sempre più volitivi che si preparano a fare deflazione e recessione con un prelievo bestiale per la ricapitalizzazione del debito pubblico.

Tremonti ha responsabilità ovvie, ma bisognava dirlo a tempo, quando tentammo l’ultima battaglia per la crescita economica. Un debito che non era vostra esclusiva responsabilità, che era sostenibile e che è scoppiato perché Merkel e Sarkozy hanno deciso di deridere Berlusconi e la democrazia in Europa. Non essendo fazioso, apprezzerò, se saranno accettabili, le cose buone fatte dal governo del Preside, segno di sospensione della democrazia e di avvilimento dell’Italia a stato minore, a nazione commissariata, perché credo nel gioco duro ma corretto, ma l’operazione politica che lei mi vuole giustificare, con argomenti purtroppo penosi di scaricabarile, la denuncio come una vergogna istituzionale e come una sconfitta per tutti, sinistra e destra.

Giuliano Ferrara, Il Foglio, 19 novembre 2011

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Crisi finanziaria fiducia Giulio Tremonti Mercato Silvio Berlusconi

Scollegati dalla realtà.

Scollegati dalla realtà.

Il vice-presidente della Camera, on.le Maurizio Lupi, ha affermato che “Mario Monti è il premier di Sarkozy e dei mercati.” Se ne deduce che non deve aver gradito la scelta del Presidente Napolitano di affidare l’incarico di formare un nuovo governo al sen.prof. Mario Monti. Se non vado errato, lo stesso Lupi, insieme al Presidente della Lombardia, Formigoni, hanno affermato che sarebbe una follia andare alle elezioni in questo momento. Nulla di male, si cambia idea, l’ho fatto anche io. Quello che dalla riflessione di Lupi non emerge è la totale mancanza di autocritica circa la nullità del Governo Berlusconi, azzoppato da Fini e dai giudici solo dopo due anni di totale spreco di tempo e di maggioranza bulgara. Per la verità l’assenza di riflessione, che pare una vera e propria mancanza di collegamento con la realtà, è evidente anche nei tanti interventi televisivi effettuati, compreso quello, surreale, a Ballarò, dove il nostro incolpava la (peraltro colpevolissima, ma di altro) Confindustria del disastro del debito pubblico italiano.

Ecco, ascoltando Lupi si capisce perché sia ragionevole non aspettarsi nulla dalla politica: perché non si può cavare il sangue dalle rape.

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Crisi finanziaria

Ognuno è chiamato a dare il proprio contributo.

Ognuno è chiamato a dare il proprio contributo.

Scholz: «No a elezioni anticipate, l’Italia  ha bisogno di un Governo basato su un ampio consenso delle forze politiche.

«L’Italia ha urgentemente bisogno di un Governo basato su un ampio consenso delle forze politiche, che si assuma la piena responsabilità di fare le riforme indispensabili per il futuro del Paese». Così il presidente di Compagnia delle Opere, Bernhard Scholz, commenta il delicato passaggio politico in atto. «Andare alle elezioni in questo momento sarebbe un ulteriore indebolimento del Paese – aggiunge Scholz – e avrebbe il solo effetto di aumentare la litigiosità partitica, che è una delle cause della crisi attuale». «Ognuno è chiamato dare il proprio contributo – conclude il presidente – per affrontare l’emergenza politica, economica e morale che stiamo attraversando».
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Banche Giulio Tremonti Indebitamento delle imprese Mutui e tassi di interesse PMI Silvio Berlusconi

Perché non si può essere indifferenti allo spread.

Perché non si può essere indifferenti allo spread.

I differenziali di tasso fra Bund e BTP sono stati definiti, dai difensori del Governo dimissionario, come l’espressione di una congiura dei due pasticcioni franco-tedeschi (qualcuno, se non sbaglio, ha parlato anche di signorina spread), nonché della finanza internazionale ed altre amenità. Con il che sottacendo un effetto disastroso (Il Fatto Quotidiano lo ha chiamato l’effetto B. sulle banche), quello che ha generato l’immediato rialzo dei tassi attivi, quelli che le banche praticano sui tassi alla clientela. Il perché ciò accada non è difficile da capire, anzi è molto semplice: i titoli di Stato hanno rendimenti elevatissimi, che fanno concorrenza ai tassi passivi che le banche applica(va)no alla clientela. In questo momento, se va bene, le banche raccolgono offrendo tassi al 4/5 %: ne deriva che i tassi attivi non possono che essere più alti, portandosi, sui finanziamenti a breve termine, perlomeno sul 7% o più, per i prenditori più rischiosi. A questo punto l’indebitamento delle Pmi, elevato in tempi normali, elevatissimo in tempi di crisi, non può che diventare insostenibile. Questo comporta lo spread, tutto il resto non ha importanza. Ci si risente lunedì.

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Crisi finanziaria Economisti Università

Mario, stai lontano dalla mia vita e dal mio portafoglio.

Mario, stai lontano dalla mia vita e dal mio portafoglio.

Per quel che valgono le considerazioni di un professorino di provincia, l’ipotesi di un incarico a Mario Monti non mi piace. Non è in discussione la competenza del grande economista, tantomeno il suo kilometrico curriculum vitae. E’ in discussione la sua non-nomina da parte del popolo sovrano, la sua chiara provenienza dalle élites -i c.d.poteri forti- che sanno sempre cosa fare meglio degli altri, soprattutto se con i soldi degli altri. Il milieu di Monti è quello della buona borghesia milanese e della finanza illuminata, quella che ha fatto del nostro sistema economico-finanziario un capitalismo straccione, senza capitali (e basterebbe riandare alla privatizzazione Telecom o ad altre storie similari per chiarire il concetto).

Infine, last but not least, Monti è bocconiano. Ovvero proviene da quella università che, lungi dall’aver messo in guardia contro la crisi, esprime, soprattutto nelle materie che il sottoscritto insegna, banche ed intermediari finanziari, il mainstream degli ultimi 10/15 anni: la creazione di valore a tutti i costi. Non abbiamo bisogno di essere ripuliti con una patrimoniale, non abbiamo bisogno di qualcuno che ci tratti da deficienti: voglio dirmelo da solo, del caso, per avere votato sino ad ora Silvio Berlusconi. Proprio per questo, anzi, solo per questo, Sig.Presidente della Repubblica, ci lasci votare presto, è molto meglio votare.

Grazie.

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Banche Borsa Crisi finanziaria fiducia Giulio Tremonti Indebitamento delle imprese Liquidità Ripresa Silvio Berlusconi Stato Unicredit

Il pericolo è che si giustifichi.

Il pericolo è che si giustifichi.

Questa disfatta non è giustificata. Il pericolo è che si giustifichi“. Così Il Sole 24 Ore di oggi riporta, nelle pagine on-line, il giudizio della Lex column del Financial Times, che esamina le conseguenze del taglio del rating operato da Standard and Poor’s dapprima al debito sovrano del nostro Paese e poi alle 7 principali banche. La disfatta delle banche italiane non sarebbe giustificata, eppure Unicredit ha attinto oggi i minimi storici o, come dicono i cronisti televisivi, ha aggiornato il proprio record negativo.

Solo l’improntitudine del nostro Premier poteva giustificare il downgrade del rating del nostro debito sovrano con la campagna mediatica in corso. Non meno ingenui e sprovveduti appaiono tutti coloro che ritengono le agenzie di rating una sorta di Spectre della finanza, che affossa intere nazioni con un semplice comunicato. Si può difendere oppure no la politica economica di questo Governo, si possono discutere le scelte operate da Tremonti e quelle non fatte dal presidente del Consiglio: ma se avessero taciuto le agenzie di rating, avrebbero parlato i numeri del nostro debito pubblico, ancora in ascesa e, soprattutto, i numeri di una manovra finanziaria che, nella migliore tradizione italiana, insegue la spesa pubblica con nuove tasse. Continuiamo a non aspettarci nulla dalla politica, forse la decenza imporrebbe appena un po’ meno ipocrisia. Quanto alle banche, non si tratta semplicemente dell’effetto-downgrade che si trasmette in automatico, causa detenzione di ingenti ammontari di titoli di Stato in portafoglio. Ciò che appesantisce le banche sono le sofferenze e le conseguenze di queste ultime, non tanto sul patrimonio, quanto sulla liquidità: le perdite su crediti, non quelle su titoli, sono la questione. E questo, purtroppo, giustifica molte cose.

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Banche BCE Crisi finanziaria Germania

Ammaina bandiera.

Ammaina bandiera.

“Il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, è impegnato a sostenere la stabilità dell’euro”. Weidmann però – notano i più maliziosi – non potrebbe comunque dimettersi, essendo membro di diritto del consiglio direttivo della Bce, a meno di non lasciare allo stesso tempo il vertice della Bundesbank. D’altronde l’insofferenza tedesca rispetto all’attuale gestione della crisi europea è innegabile. “Aus personlichen Grunden”, ovvero sempre “per ragioni personali”, a febbraio anche il tedesco Axel Weber si era dimesso dalla guida della Bun- desbank (decadendo quindi dal consiglio della Bce) e aveva rinunciato alla futura presidenza di Francoforte. Anche allora in polemica con l’interventismo troppo marcato della Bce. Ancora: ieri il commissario Ue per l’Energia, il tedesco – anche lui – Gunther Oettinger, in un’intervista alla Bild ha suggerito provocatoriamente che i paesi indebitati siano costretti, per punizione, ad ammainare le rispettive bandiere davanti alla sede brussellese della Commissione.