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Banche Borsa Liquidità Mariella Burani

Rimbalzi (abbiamo già dato).

Rimbalzi (abbiamo già dato).

Antichi_Pellettieri

Settimana scorsa, ascoltando in macchina Sebastiano Barisoni a Radio 24, apprendo che una vecchia conoscenza, Antichi Pellettieri spa, ha fatto +148% in due giorni: interrogato da studio, il corrispondente dalla Borsa dichiara che il tutto si giustifica con la rinegoziazione del debito con il sistema bancario.

Incuriosito, vado ad esaminare i fondamentali dell’azienda, che il paziente lettore del blog può trovare qua.

Per chi non avesse voglia o tempo di ricercare lumi nel bilancio riclassificato (*), vale la pena tenere presenti alcuni aspetti:

  • il fatturato si è ridotto nel 2011 del -30% e nel 2010 del -47%;
  • in nessuno degli ultimi tre anni si è mai verificata la condizione della capacità di reddito, che risiede notoriamente nella capacità di coprire, con il risultato operativo, almeno gli oneri finanziari;
  • non solo è negativo il risultato operativo, è negativo lo stesso MOL (margine operativo lordo) ovvero il flusso di cassa potenziale o economico, il cui valore, secondo gli analisti, dovrebbe essere contenuto in non più di 4 o 5 volte nei debiti finanziari: ma il risultato della frazione è infinito, o massimo, a piacimento;
  • i debiti finanziari si sono ridotti di 65 mln.di € nel 2010 grazie ad ingenti disinvestimenti (non capacità di rimborso della gestione corrente, ma riduzione del capitale investito) e di circa 4 mln.di € nel 2011; i debiti stessi rappresentano quasi l’84% del fatturato e nel triennio precedente si attestavano comunque su livelli elevatissimi (oltre il 50% delle vendite, in assenza di margini);
  • non vi è alcuna capacità di generare cassa, come evidenziato dai dati del rendiconto finanziario.

Con l’evidente bontà di questi fondamentali il debito è stato rinegoziato: ovvero, le banche hanno accettato di riscadenzare il debito, allungandone la durata, al fine di consentire un più facile rientro all’azienda. Non ci sarebbero molti commenti da fare, ma non riesco a non pensare alle tante aziende per le quali il riscadenzamento è accordato solo previa concessione di infinite garanzie e firme, ipoteche e quanto altro: e per le quali, in ogni caso, andrebbe presentato un piano di risanamento che mostri le possibilità di ripresa. Qui si aspetta, e basta. Si aspetta che Antichi Pellettieri, una griffe del lusso made in Italy, porti a casa, in un futuro di cui nessuno sa qualcosa, i risultati che Tod’s, Louis Vuitton, Prada, riescono a conseguire già, ora.

Nulla quaestio, per carità, l’Italia è piena di debiti ristrutturati. Ma con Mariella Burani Fashion Group, mi sembrava, avevamo già dato: o no?

(*) Con la collaborazione di M.Rossi e L.Castellucci, per R&A Consulting.

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Imprese Mariella Burani

Dubai collezioni.

La notizia della cessione della Maison Ferré al Paris Group di Dubai sarebbe una non-notizia, ovvero una notizia da rubricare fra quelle che riguardano i cambiamenti degli assetti proprietari nelle imprese, come ne avvengono tante, ogni giorno, in tutte le economie del mondo. Senonché, trattasi di azienda leader del made in Italy, del settore moda, ed ecco sorgere i lamenti e le domande sul perché nessun italiano si sia fatto avanti etc…

C’è una strana attitudine dei giornali e dei giornalisti nei confronti del settore moda, che cattura spesso pagine e pagine di servizi, ampi spazi per le inserzioni ed articoli spesso benevoli o indulgenti. Solo quando lo stilista è in crisi, peggio ancora se si è macchiato di delitti amministrativi o fiscali, come nel caso di Mariella Burani, solo allora il giornalista infierisce; d’altra parte, difficilmente ci saranno nuove inserzioni ed i nuovi proprietari saranno, appunto, nuovi.

Il caso Ferré andrebbe inquadrato nella cultura capitalista -senza offesa per il capitalismo- italiana, quella che prevede che i capitali è bene che ci siano, soprattutto se li mette qualcun altro. E dove crescere a debito è la regola non deve stupire che le crisi, quando arrivano, facciano sconquassi, perché l’organismo aziendale è fragile e debole. Così si finisce a Dubai, dove pure la bolla immobiliare ha fatto molto male, perché evidentemente il concetto di accumulazione primitiva del buon Carlo Marx qualcosa vale ancora. E dove, altrettanto evidentemente, chi ha capitali sa anche quando è il momento di fare affari.

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Banche Mariella Burani

Crediti (non) vivi.

Stefano Elli, su Plus 24 di sabato, ripercorre le vicende di Banca MB.

“Mb, commissariata da 18 mesi e oramai giunta a fine corsa. Il commissariamento è stato già prorogato al prossimo marzo e difficilmente potrà essere reiterato. Dunque Banca d’Italia dovrà scegliere: o restituire la banca ai suoi azionisti, oppure decretarne, insieme al ministero dell’Economia, la liquidazione coatta amministrativa. Il che tecnicamente equivarrebbe a un fallimento. Ora, tramontata l’ipotesi dell’intervento di un investitore esterno (l’ipotesi Centrale finanziaria sembra archiviata), non sembra che la banca versi nelle condizioni migliori per un ritorno all’amministrazione ordinaria. A ipotecare il futuro della banca sono 433 milioni di crediti ancora vivi, di cui almeno 50 milioni incagliati eredità degli affidamenti concessi nel tempo ad azionisti di primo piano: a cominciare dal gruppo Mariella Burani Fashion Group, sul cui fallimento, a propria volta, sta indagando il pm Luigi Orsi.”

I crediti non sembrano proprio vivi, se almeno 50 milioni di essi sono vantati nei confronti di uno dei più bei crack degli ultimi anni e se i commissari hanno deciso, contrariamente a quanto accade di solito, di bloccare le disponibilità di tutti i correntisti. Se l’operatività fosse possibile, vi sarebbe una qualche sorta di liquidità utilizzabile, legata ad incassi e pagamenti dei soggetti affidati, a bonifici, etc…Insomma, i crediti sembrano vivi solo perché sono dei non-morti: e, a quanto pare, dev’esserci qualcosa di anche peggio di Mariella Burani.

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Banche Mariella Burani Unicredit

Sulla fine di Banca MB.

Al peggio non c’è proprio limite.

(thanks to Fabio for signalling)

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Banche Mariella Burani

Prezzemolo bancario.

Stefano Elli e Fabio Pavesi, su Plus24 di sabato 6 novembre raccontano una piccola storia forse non ignobile, certamente non commendevole, di Banca MB, posta dai commissari di fronte all’alternativa dell’arrivo di un cavalieri bianco o di chiudere, procedendo alla liquidazione coatta amministrativa ed il licenziamento di 112 dipendenti.

Anzitutto è singolare la compagnia di giro dei soci fondatori, i cui nomi fanno sorgere più di una perplessità. In particolare, la “banca milanese (..)  annoverava, prima della messa in amministrazione straordinaria, tra i suoi azionisti personaggi come Zenone Soave (Socotherm); il conte Gastone Colleoni; ma anche con piccole quote Banca Arner, il Credito Sammarinese e la famiglia Burani (..).”

Come se non bastasse -ma non può stupire se si pensa al ruolo di Unicredit nel crac Burani- non poteva mancare, appunto, la presenza di Unicredit. Che ha fornito a Banca MB l’ex-presidente, Mario Aramini, che ha finanziato gli stessi clienti problematici di Banca MB (Elli e Pavesi notano che a fine 2008, sette mesi prima della messa in mora, Banca Mb chiudeva i conti con perdite per 6,5 milioni) e che, a quanto pare, potrebbe essere l’unico cavaliere bianco.

Non basta. “(..) nel 2007 la perdita fu di oltre 12 milioni e nel 2006 il rosso era stato di 2,5 milioni. Ventun milioni di buco di bilancio nell’ultimo triennio. In mezzo gli interventi severi della vigilanza della Banca d’Italia che hanno più volte acceso i riflettori sull’area proprio della gestione dei crediti, con una serie di rilievi legati a procedure non corrette e a una gestione opaca. Ma l’espansione nell’area rivelatasi critica dei crediti ha costretto i soci a un aumento di capitale nel 2008 per 94 milioni. Soldi oggi di fatto bruciati e commissari non in grado di riportare in bonis la banca. Resta qualche mistero sullo sfondo. Nel bilancio 2008 sul fronte dei crediti tutto sembrava andare per il meglio. A fronte di 433 milioni di esposizione netta le partite in sofferenza e gli incagli risultavano sotto l’1 per cento. Banca d’Italia rivelò invece incagli per 50 milioni non segnalati all’Autorità. Un bilancio allegro quindi e dopo sette mesi il commissariamento. E poi c’è quella strana concentrazione dei prestiti. Nove soggetti figuravano a fine 2008 tra i grandi rischi della banca per un ammontare elevato ben 95 milioni, un quinto dell’intero portafoglio crediti dell’istituto. Un po’ troppo per una piccola banca.”

Un po’ troppo anche per chi, gira e rigira, nelle cronache delle crisi bancarie italiane, trova sempre gli stessi nomi: fra cui, chissà perché, c’è sempre Unicredit.

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Banche Mariella Burani

Finalmente?

Dal Sole 24 Ore di sabato 16 ottobre.

Mario Boselli, presidente di Centrobanca, e l’ex direttore generale dell’istituto, Vitaliano D’Urbano (che si è dimesso il 6 ottobre), sono stati iscritti nel registro degli indagati della procura di Milano nell’ambito dell’inchiesta sul fallimento del gruppo Burani. Per loro l’accusa é di concorso in bancarotta, secondo quanto riportato da Radiocor. La procura di Milano ha inviato a Ubi Banca (controllante di Centrobanca), tramite la Guardia di Finanza, un ordine di esibizione per avere la documentazione relativa all’opa finanziata da Centrobanca su Mariella Burani Fashion Group.

«Finalmente» ha commentato Boselli con il Sole 24 Ore, precisando poi: «Il fatto che ci sia un atto formale mi consente ora di chiarire gli avvenimenti anche perché ricopro incarichi fuori dal mondo bancario che richiedono trasparenza sul mio operato». Il presidente di Centrobanca è parso del tutto sicuro sull’esito dell’inchiesta: «So cosa ho fatto e soprattutto so cosa non ho fatto. L’unico desiderio ora è quello di fare chiarezza in tempi brevi». Boselli ha ricordato i suoi precedenti: «In vent’anni ho ricevuto tre avvisi di garanzia, che per me sono decisamente troppi, e i primi due sono finiti in bolle di sapone».
Centrobanca è la corporate e investment bank del gruppo Ubi Banca specializzata nelle medie imprese. Nel 2008 Centrobanca ha finanziato l’Opa parziale volontaria lanciata da Mbfh sulla quotata Mbfg.

Il presidente Boselli dichiara “finalmente”, affermando altresì di sapere cosa ha fatto e cosa non ha fatto. Difficile immaginare che da Presidente di Centrobanca, ma anche da addetto al settore della moda, non sapesse che stava finanziando un’OPA del tutto insensata e priva di fondamento economico su un’azienda che, all’epoca, era già tecnicamente in stato di insolvenza, come si è già documentato su questo blog. Basti ricordare, fra gli altri, il valore degli oneri finanziari, pari a 4 volte il risultato operativo, ed il livello dell’indebitamento, assurto a valori insostenibili. O forse l’esclamazione del Presidente Boselli trova un sincero riscontro in altra parte delle sue dichiarazioni, quando afferma di ricoprire incarichi “fuori del mondo bancario“.

Lo si era notato.

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Analisi finanziaria e di bilancio Banche Fabbisogno finanziario d'impresa Indebitamento delle imprese Mariella Burani

Ignoranti come un banco.

Ignoranti come un banco.

Un bell’articolo dell’ottimo Fabio Pavesi su Plus24 di sabato 28 agosto, sottolinea la lezione per le banche dei tre dissesti, i primi due -Viaggi del Ventaglio e Burani- conclamati, il terzo -SNIA- in dirittura d’arrivo, che hanno fatto sfumare prestiti per circa un miliardo. Pavesi ha ottime ragioni per affermare che le banche non hanno fatto il loro dovere, ovvero non hanno valutato approfonditamente e con attenzione il merito di credito. Nel caso Burani, peraltro, il comportamento di Centrobanca, guidata da Mario Boselli, e di UBI, è ancora più grave e desta preoccupazione, perché certe decisioni sono state prese quando ormai chiunque si sarebbe accorto del dissesto.

Pavesi nel suo articolo parla di “lezione per le banche“. Ma la sensazione, leggendo sullo stesso giornale, lo stesso giorno, lo stesso giornalista che parla di “Coppola e le banche prodighe“, a proposito del ritorno sulla scena dell’immobiliarista, grazie al Banco Popolare di Pier Francesco Saviotti (le cui bizzarre tesi si è già avuto modo di commentare), è quella di alunni assai ignoranti ed impreparati. Alunni, come si dice in Romagna, “ignoranti come un banco”: che sta sempre nella stessa classe, ascolta ogni tipo di lezione, e non impara nulla.

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Banche Unicredit

Quattro mosse e molti omissis.

Fabio Tamburini, nella sua rubrica No comment, sul Sole 24 Ore di sabato scorso, sottolinea la ripresa di Unicredit, e di Alessandro Profumo, a partire anzitutto dall’archiviazione del modello S3 (le tre banche specializzate), passando per il rafforzamento dei conti aziendali ed il superamento degli stress test, il rafforzamento della compagine azionaria (con l’ingresso dei libici) per arrivare al rilancio della squadra dei manager. E’ lecito sbagliare, per carità, ed una volta resisi conto dell’errore, sarebbe diabolico perseverare: ma il passaggio dal modello S3 a quello One4C, meglio noto come il “bancone“, sembra aver resi felici solo i consulenti di organizzazione -chissà se sono sempre gli stessi-, non certamente gli azionisti, perlomeno quelli storici. E come si può evitare di domandarsi se davvero quello che sarà adottato è il modello più adatto ad una vera e propria banca “transnazionale“, come la chiama Tamburini? La dimensione non dovrebbe servire a conseguire economie di scala e di scopo, ciò a cui dovrebbe condurre il nuovo progetto? Eppure la crescita internazionale è stata sicuramente pianificata anni fa, non ci si poteva pensare prima? Tamburini rileva il miglioramento dei conti aziendali ed il superamento degli stress test: sarebbe bene anche ricordare l’abisso nel quale i conti stessi erano precipitati, le operazioni non proprio di primaria qualità messe in atto (il coinvolgimento nella vicenda Madoff, nella crisi della Roma, nel fallimento Burani), la debolezza del Core Tier 1 all’indomani della crisi. Profumo dice che facendo credito si fanno anche le sofferenze, a significare che è stata fatta la propria parte: ma se proprio Unicredit ha ridotto di oltre il 7% i propri prestiti nel 2009, le sofferenze da dove arrivano? E, infine, se il progetto One4C serve a migliorare i conti aziendali, riducendo i costi operativi -leggi: costi del personale, in prevalenza- perché Profumo, a metà dicembre, ha dichiarato che non vi sarebbero stati esuberi?

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Borsa Mariella Burani

Pilastri.

“Forse Giovanni Burani con questa iniziativa voleva dare ossigeno ad un titolo che dopo l’infortunio di bilancio poteva crollare. (…) Sono convinta che Giovanni Burani ha promosso l’Opa per evitare che il titolo Mbfg avesse un tracollo. Le azioni Mbfg all’epoca presentavano un andamento decrescente. Giovanni era intervenuto e continuava a intervenire a sostegno con molte iniziative, gli acquisti massicci di Bdh e i derivati stipulati con Lehman, Natixis ed Euromobiliare. Per Giovanni l’andamento del titolo era un pilastro della sua visione dell’impresa”.

Maria Rita Galli, dirigente di Burani designer holding

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Borsa Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese Mariella Burani

Quotarsi un po’…(2)

L’ottimo Fabio Pavesi, sempre sul supplemento Plus 24 di sabato scorso, offre qualche buon consiglio a chi voglia investire in azioni di società neo-quotate. Consigli dettati dal buon senso e sostenuti da evidenze empiriche, che avrebbero meritato più spazio. Ma è noto che quando si vogliono inforcare gli occhiali rosa, poi si finisce per farsi male.

Aggiungerei qualche notazione a quanto scritto nell’articolo, sulla scorta di quanto emerso qualche anno fa in un convegno organizzato a Jesi dal dottorato delle tre università marchigiane alle quali aderisce anche la mia facoltà. In quel convegno, al quale partecipavano amministratori delegati e/o direttori finanziari delle società marchigiane quotate, venne affermato che quasi sempre le motivazioni per le quali si va in Borsa sono, banalmente, quelle di consentire ai soci senior di fare cassa, offrendo altresì ai medesimi la possibilità di smobilizzare, in seguito, i propri pacchetti azionari. In definitiva, il mercato secondario sembrerebbe servire più ai soci senior che ai nuovi investitori.

D’altra parte, se è vero ciò che dice Pavesi circa la necessità di indagare sulle motivazioni per le quali ci si quota, nella realtà nessuno è in grado di sapere, ex-ante, quello che accadrà ex-post: ovvero se i fondi raccolti serviranno per ripagare i debiti bancari (è accaduto nel caso di Mediaset ed è stata una storia molto positiva, per l’azienda e per i risparmiatori) oppure per fare nuovi investimenti, crescere (ma contemporaneamente fare cassa, ripianare, almeno temporaneamente, vecchi debiti, ricchi premi et cotillons) e poi fallire, come nel caso di Mariella Burani. Il vero problema è che i soldi, come dice Pavesi, dovrebbero essere investiti quando servono alle necessità dell’azienda, e non ai vecchi proprietari. Solo che nessuno è in grado di farlo prima e il mercato, spesso e volentieri, non se ne accorge.