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ABI Alessandro Berti Banca d'Italia Banche Crisi finanziaria Lavorare in banca

Resilienza, valore e “risiko” bancario.

Resilienza, valore e “risiko” bancario.

Se c’è una cosa di cui essere grati al proprio Maestro, il prof.Giampaoli, è la diffidenza che mi ha insegnato nei confronti delle frasi fatte. Il titolo del post le riassume quasi tutte, manca solo “tesoretto” ma ci ha pensato Victor Massiah a tirarla fuori, nel presentare l’aggiornamento al piano industriale di UBI e nel definire come ostile e non concordata la proposta di Intesa. Tutto come da copione o quasi, salvo un chiaro atteggiamento a mio parere puramente difensivo (Intesa crescerà in Italia ma non all’estero, la fusione non crea valore per gli azionisti etc…) e, soprattutto, povero di argomenti veri. Le slides, scaricabili dal sito parlano più che altro di dividendi: e alla voce costo del lavoro si intuisce en passant che comunque, a prescindere dalla fusione, sarebbe un discreto bagno di sangue. Il vero argomento o, se si preferisce, la ciliegina sulla torta, è rappresentata  dal fatto che “si evidenzia un excess capital di circa €840 milioni di € che potranno essere distribuiti, corrispondenti a un cumulato di oltre 73 centesimi di euro per azione nel triennio. (…) . La crescita del monte dividendi disponibili rende inoltre evidente agli azionisti la dimensione del valore intrinseco della loro Banca.” 

Negli anni precedenti al 2008 Alessandro Profumo, parlava di free capital per fare acquisizioni, cresceva  e remunerava comunque gli azionisti: chissà cosa risulta a Massiah e al board di UBI simulando una bella fusione con MPS?

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Banca d'Italia Banche BCE

Ancora sui salvataggi (“bovarismo” bancario).

Ancora sui salvataggi (“bovarismo” bancario).

Il tema dei salvataggi non annoia mai. O forse, proprio perché ci si annoia, è estate, e anche senza essere il 38 luglio fa molto caldo perché era scoppiata l’afa, insomma, parlare di salvataggi è un tema che si porta.

Posto che anche JM si è occupato di salvataggi bancari qualche volta, si deve dire che gli stessi rappresentano un tema appassionante, li tiriamo fuori anche se non c’entrano, come se sapessimo già in anticipo che qualcosa sarà fatto o è già stato fatto o comunque sarà fatto per salvare qualcun altro. Un bel processo alle intenzioni (e anche a quanto detto in passato da alcuni protagonisti, istituzionali e non, del mercato bancario) è stato prontamente intentato esaminando la compagine dei volonterosi che si appresterebbero a rilevare Carige.

Carige, storia questa ormai davvero noiosa, è ancora lì, aspettando Godot, perché i suoi azionisti hanno deciso di non decidere, calciando in avanti il barattolo. Trovare dei colpevoli è davvero così interessante? Serve? Aiuterà a fare meglio in un sistema bancario, quello italiano, dove, non si deve dimenticarlo, già adesso tutte le banche contribuiscono, talvolta con pedaggi assai pesanti, al risanamento e alla messa in sicurezza del sistema stesso, aderendo obtorto collo ai fondi di garanzia e quanto altro? Quando anche gli amministratori fossero tutti messi al gabbio e privati dei loro beni, qualcuno davvero pensa che questo darebbe ristoro ai risparmiatori “truffati”, come piace dire a Giggino and co?

Salvare banche è costoso, è, appunto, un atto di violenza: ma può anche essere un’opportunità. D’altra parte, provare per credere, non salvare le banche o risolverle è forse peggio: le massaie disperate “truffate” da Pop.Etruria sono ancora là che urlano perché in fin dei conti prendere solo il 3,5% quando i tassi erano zero, be’, cosa vuoi che sia? Non si fanno fallire le banche, non quelle troppo grandi per fallire: può non piacere, ma è così. Non lo farebbe un governo normale, non dovrebbe farlo neppure questo governo di analfabeti funzionali.

Per cui, per quale motivo processare una cordata, vera o presunta, perché ragiona di entrare nel capitale di Carige? Chi decide la destinazione del capitale di rischio? Gli aumenti di capitale si fanno per essere “in bolla” ma anche per cogliere opportunità. o teniamo i quattrini in un cassetto, così salvaguardiamo i risparmiatori?

Un pochino, appena appena,  di sguardo positivo sulle cose, non guasterebbe: in fin dei conti nel programma elettorale di Giggino c’era che la Guardia di Finanza si occupasse della Vigilanza al posto della BCE o di Bankitalia. E probabilmente questo governo di idioti ancora in materia bancaria non ha fatto nulla perché non ci capisce nulla. Per cui teniamoci stretto chi sta lavorando, chiunque esso sia: perché, oltre alle normali difficoltà del fare impresa bancaria, deve avere a che fare con Bitonci e soci. Auguri.

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ABI Banca d'Italia Banche

Un salvataggio bancario è un atto di violenza (re-load).

Un salvataggio bancario è un atto di violenza (re-load).

Un salvataggio bancario non è un pranzo di gala. Non è un convegno dell’ABI su Basilea 3, non si può fare come se fosse la rivalutazione di un immobile.

Un salvataggio bancario non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo. Non è il premio Strega, non si fa con le vignette di Vauro o le battute di Bergonzoni. Non si può fare con la carta o con i debiti, ci vogliono soldi, veri. Pubblici.

Un salvataggio bancario non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. Un salvataggio bancario non si può fare consultando la Camusso, chiedendo alle parti sociali, telefonando in Confindustria. Un salvataggio bancario non si può fare castigando i banchieri cattivi e con l’efficienza purificatrice del mercato.

Un salvataggio bancario non si può fare senza mettere le mani nelle tasche degli italiani.

Un salvataggio bancario è un atto di violenza.

Prof Ze Dong

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Banca d'Italia Banche BCE Crisi finanziaria

Se le perdite su crediti vanno (?) in ferie.

Se le perdite su crediti vanno (?) in ferie.

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Marco Ferrando sul Sole 24 Ore del 15 agosto descrive l’effetto della riduzione delle perdite su crediti sugli utili semestrali delle banche. Al riguardo “(…) emblematico il caso del Monte dei Paschi, che ha sfiorato i 200 milioni di utili nel semestre, una cifra non lontana dalla riduzione (-224 milioni) degli accantonamenti, scesi da 1,2 miliardi a 984 milioni, capitalizzando le pulizie straordinarie richieste dalla Bce e contabilizzate nel 2014; anche se la banca aspetta ancora l’esito d’ispezione condotta dalla Bce a inizio 2015 su 30 miliardi di crediti immobiliari.

Premesso che le semestrali non sono maccanicamente riproducibili a fine anno, come semplice spalmatura su due semestri di un risultato parziale, una riduzione delle perdite su crediti (la famigerata voce 130 del bilancio bancario) così determinante per gli utili fa nascere alcune riflessioni. La prima riguarda la capacità delle banche di prezzare il rischio correttamente (il c.d. pricing per gli amici di Albione) e di ricomprendere nello spread tra tassi attivi e passivi la probabilità di default del debitore: su questo punto l’esperienza ultradecennale nell’applicazione dei rating genera più di una perplessità. E dove non soccorrono gli automatismi, come si è visto, non pare sufficiente l’attuale preparazione degli addetti fidi (e/o di dirigenti e consigli di amministrazione). Detto in altre parole, lo smaltimento del picco del credito deteriorato non significa affatto che non se ne genererà del nuovo: e i tagli di personale e di costo non depongono a favore di una maggiore severità nel vaglio del merito di credito.

La seconda riflessione riguarda il tema del trattamento contabile delle perdite su crediti: nell’articolo citato si parla di perdite capitalizzate, sia pure a fronte di pulizie straordinarie richieste dalla BCE.  Si dovrebbe chiedere alle tante piccole banche, soprattutto Bcc, commissariate o gravemente sanzionate, che ne pensino di un simile trattamento, che manifesta disparità di vedute da parte del vigilatore ed una palese malevolenza nei confronti delle banche locali, soprattutto da parte di chi le ha finora vigilate e continuerà a vigilarle da via Nazionale. Se quelle pulizie straordinarie fossero passate dal conto economico, come sarebbe la semestrale di MPS? E se tutte le banche avessero potuto capitalizzare partite analoghe ora il sistema come sarebbe? Sano, come la sana e prudente gestione?

Infine, il problema del credito deteriorato non è contabile e neppure di creazione di un mercato per gli NPL (non performing loans). E’ come gettare via il termometro ed ignorare la febbre o portare le scorie nucleari in Africa, tu non le vedi più, ma ci sono ancora e fanno danni. La vera prova per la vigilanza, sia italiana sia europea, sarà sulla capacità di erogare credito di qualità, ricercando l’unica efficienza che può servire all’economia, quella allocativa.

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Banca d'Italia Banche Banche di credito cooperativo

La forma cooperativa? Il vaglio?

La forma cooperativa?

La forma cooperativa ha limitato il vaglio da parte degli investitori e ha ostacolato la capacità di accedere con tempestività al mercato dei capitali, in alcuni momenti cruciale per far fronte a shock esterni. La riforma faciliterà lo svolgimento efficiente dell’attività di intermediazione creditizia in un mercato reso più competitivo dall’Unione bancaria.

Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, 26 maggio 2015

Il vaglio degli investitori sarebbe stato migliore nelle banche spa? In MontePaschi per esempio? La sensazione è quella che frasi scontate come questa nascondano solo la (comprensibile) volontà del Vigilatore di ridurre i vigilati. Meno banche, meno complicazioni. Ma per favore, non diamo la colpa alla cooperazione.

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ABI Banca d'Italia Banche Banche di credito cooperativo

I cattolici si muovono (?) per le banche popolari. Ne vale la pena?

I cattolici si muovono (?) per le banche popolari. Ne vale la pena?

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Secondo l’Huffington Post la riforma delle popolari realizzata per decreto legge (siamo ansiosi di conoscere i requisiti di necessità ed urgenza del medesimo) ha smosso l’associazionismo cattolico, pronto a “smontare” la riforma in parlamento. Dai vecchi democristiani fino al Ministro Lupi sarebbe tutto un tramare dietro le quinte per evitare la riforma. Ne vale la pena?

Ieri mattina, sul Sole 24 Ore, Marco Onado evidenziava l’ambiguità dell’intervento di Renzi, il quale nel sottolineare “l’eccesso di banchieri” sembrava parlare a nuora, le popolari, perché intendesse suocera, le bcc. Ad essere realisti, infatti, non sembrano le popolari essere troppe quanto piuttosto, se questo fosse il criterio, le banche di credito cooperativo, quelle che “nessuno (sic) le tocca”. Poiché grande è la confusione sotto il cielo, oltre a rimandare all’ottimo intervento del professor Onado, forse vale la pena fare qualche riflessione sull’opportunità di una battaglia pro o contro il modello cooperativistico che, almeno sulla carta, è messo sotto scacco con l’intervento legislativo sulle popolari.

A dispetto di tante affermazioni di facciata succedutesi nel corso degli anni, in effetti tale modello non ha mai goduto di grande favore presso le lobbies europee, che lo hanno sempre ritenuto contrario ad un’idea di mercato basato sulla contendibilità (che il principo del voto capitario, ovvero una testa un voto a prescindere dalle quote possedute impedirebbe di realizzare) e sull’efficienza. La proposizione è non solo non dimostrata nella teoria finanziaria, ma palesemente disattesa nella pratica: ovvero, maggiori dimensioni ed un modello capitalistico non comportano, automatically, maggiore efficienza ed una migliore managerialità. Basti pensare, per citare un caso macroscopicamente noto, al Monte dei Paschi di Siena, spa.

Il principio del voto capitario, come tutti gli strumenti, può essere male utilizzato o può esaltare la democrazia economica: i padri-padroni (Fiorani in Popolare Lodi, per esempio) così come il sindacato dei bancari in Popolare Milano sono pessimi esempi non già di un principio errato quanto piuttosto di una sua distorsione. Altrimenti non si spiegherebbero altri eccellenti esempi di cooperazione di credito, anche su grandi dimensioni territoriali: tra gli altri il Credito Cooperativo Ravennate e Imolese o la Cassa Rurale di Treviglio.

Il principio del voto capitario è dunque un falso colpevole e l’intervento del Primo Ministro Renzi sembra solo rappresentare una ripresa di iniziativa della politica rispetto ad un settore dove domina incontrastata, e senza alcuna accountability, l’autorità di Vigilanza, lasciata libera di distruggere il Credito Cooperativo in nome dell’indipendenza delle autorities. Non so cosa possano concludere di buono i cosiddetti politici cattolici in materia, e forse ignoro i meccanismi della comunicazione in materia. Ma ritengo che quanto sta accadendo, prima ancora che rappresentare un campanello d’allarme per un modello di democrazia economica che affonda le sue radici nella cultura cattolica, dovrebbe richiamare un’altra, più pressante questione: la politica ha qualcosa da dire sul mondo del credito? O anche quest’ultimo, come quello delle imprese, orfano da decenni di una politica industriale degna di questo nome, può tutt’al più formare oggetto di lamentele per il credit crunch?

Aspettando la risposta, godiamoci il dibattito: magari estendendolo agli interventi al napalm della Banca d’Italia sul credito cooperativo.

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ABI Banca d'Italia Banche Banche di credito cooperativo Imprese Indebitamento delle imprese Mario Draghi PMI Vigilanza bancaria

L’arte del regolatore e la sega elettrica.

L’arte del regolatore e la sega elettrica.

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Mi ero tenuto alla larga dal dibattito (invero non proprio di spessore) sul Monte Paschi, pur potendo vantare un track record di post, scritti in tempi non sospetti, che facevano ben comprendere quanto io abbia avuto in simpatia la conduzione manageriale di quella banca. Ma se il Governatore Visco dedica 5 pagine su 17 del suo intervento di ieri al Forex, stimolati da cotanto pulpito, forse vale la pena spendere due parole.

Ignazio Visco, anzitutto, ha ben spiegato che il regolatore non è un giustiziere: e che vigilare sulle banche non è qualcosa di molto simile a un linciaggio, piuttosto che al lavoro di un giustiziere fatto in casa come Dexter. Il Governatore ha puntigliosamente ricordato che notizie false e non verificate possono danneggiare banche e soprattutto risparmiatori, questi ultimi, peraltro, notoriamente tutelati dalla “più bella del mondo“. Non si commissaria una banca al primo stormire di fronde né, d’altra parte, la Vigilanza ha i poteri per sostituire gli amministratori; per quanto mi riguarda, non solo dubito che sia una buona idea, ma sono scettico sul fatto che, nonostante questa sia stata la lettura dei giornali ieri, lo abbia chiesto lo stesso Visco. Sullo sfondo esiste il concetto di libertà e di democrazia economica che qualcuno vorrebbe sempre nelle mani di un bel commissario del popolo e che invece va difeso e tutelato, anzitutto con coscienza e responsabilità.
Infine, come ho rilevato su twitter, il Governatore ha messo al centro del suo intervento non Monte Paschi, cui pure doveva dare risalto (e lo ha fatto, fin dalle prime righe della relazione), ma il concetto di efficienza, per le banche e, per quanto mi riguarda, soprattutto, per le imprese.

Le banche sono da almeno un anno sotto la lente di ingrandimento, anche in via amministrativa, per quanto riguarda compensi, impegno degli amministratori, preparazione tecnica, riduzione dei costi: e il cenno fatto durante l’esposizione alla patrimonializzazione delle Bcc non deve trarre in inganno sul fatto che anche esse siano al centro di un imponente lavoro di revisione dei modelli di governo e, cito testualmente, di focus sulla “qualità del capitale umano“, che va rafforzata, in quanto”cruciale nelle attività di valutazione del merito di credito e nella gestione dei rischi.” D’altra parte, per ritornare a banche di più grandi dimensioni, Alessandro Profumo era in prima linea, ieri, a guardarsi la punta delle dita mentre Visco sottolineava che i compensi, buonuscite comprese, dovranno essere legati a componenti reddituali certe, anche in prospettiva. Per quanto riguarda le imprese e le Pmi in particolare, il Governatore ha fatto passaggi che sia la stampa, sia la rete si sono ben guardati dal rilanciare: per quel che vale lo faccio io.

Se il mantenimento in equilibrio dei conti pubblici è la precondizione e non l’ostacolo per il risanamento, il Governatore ha ricordato al mondo delle imprese che non sono i denari ad essere mancati (le cifre delle due moratorie e delle garanzie messe in campo da Cassa DDPP sono impressionanti), ma la serietà nel continuare a sostenere iniziative imprenditoriali “con precaria situazione finanziaria e prive di prospettive di sviluppo.”

Si chiama allocazione efficiente delle risorse ed è un concetto che insegnamo fin dalle prime lezioni nei corsi di economia della banca o di economia degli intermediari finanziari: ma, soprattutto, è un concetto che non può essere appaltato in esclusiva al sistema bancario, quasi che le imprese siano tutte, senza distinzioni, partecipanti a un concorso di bellezza nel quale la più brutta assomiglia a Monica Bellucci e dunque i giurati, ovvero le banche, siano degli incapaci. Le banche non sono tutte uguali, e devono poter scegliere e farsi scegliere; ma lo stesso vale per le imprese, e non è un diritto divino.

Come sempre, il lavoro più impegnativo è quello culturale.

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ABI Banca d'Italia Banche

Il silenzio degli innocenti (le colpe dell’affaire #MPS).

Il silenzio degli innocenti (le colpe dell’affaire #MPS).

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Il caso MontePaschi capita durante la chiusura delle lezioni per la sessione invernale degli esami; ma se fossimo durante il semestre, si potrebbe usare la vicenda per molte e molte ore di lezione su casi aziendali di moral hazard, benefici privati, malfunzionamento della teoria dell’agenzia, efficacia e pervasività dell’attività di vigilanza sui sistemi finanziari etc…

Dei legami tra politica e banche mi annoio persino a parlare, ricordando le nottate -ai bei tempi del centro-sinistra- nel corso delle quali il Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (CICR) nominava amministratori delegati e presidenti di tutte le banche pubbliche italiane, ovvero tutte le più importanti. E al Monte dei Paschi, che io ricordi, non è mai andato un bel democristiano doc, che so, uno come Ferdinando Ventriglia: no, solo compagni comunisti, di sicura fede. Questo accadeva prima della Legge Amato-Carli, quella che privatizzava, sui generis, le banche italiane, obbligando queste ultime a creare una spa, con la Fondazione a monte, secondo il ben noto meccanismo che vige in Unicredit, Intesa e lo stesso Monte dei Paschi. La politica, uscita dalle porte delle banche spa, è rientrata dalle finestre delle Fondazioni: le quali, come insegna la vicenda riminese della Carim, non agiscono secondo logiche propriamente economiche, nè di “sana” gestione no-profit, ma nuovamente e unicamente politiche, sia pure con una forte connotazione localistica.

Anche in MontePaschi sembra di poter rinvenire i medesimi comportamenti: la Banca è stata usata come mucca da mungere per gli interessi dell’azionista di maggioranza, talmente legato a doppio filo al proprio unico e non diversificato investimento, da non potersi permettere di scendere sotto il 51%, anche a pena di un indebitamento crescente. La Fondazione MontePaschi non solo non ha minimamente controllato l’origine e la natura delle performance (invero pessime) del proprio asset principale, ma ha compiuto scelte antieconomiche nel nome di un mantenimento del controllo che può ben essere definito finalizzato esclusivamente all’ottenimento di benefici privati. Ascoltando Focus Economia su Radio 24 ieri sera, in macchina, ho udito Fabio Pavesi ripercorrere la vicenda MPS accennando in modo velato a colpe e mancanze di Consob e Banca d’Italia. Su Consob mi permetto solo di rammentare che l’autorità è garante del funzionamento dei mercati mobiliari, non dei ribassi o dei rialzi: e che non le compete il controllo sui bilanci delle quotate. Altro discorso è quello riguardante Banca d’Italia. Mi rendo conto che è facile individuare un colpevole nel vigilatore, che non vigilerà, ovviamente, mai abbastanza, soprattutto se si deve polemizzare, come alcuni pessimi esponenti del PdL stanno facendo, dimentichi dei guai di Popolare Milano e dei banchieri legati alla Lega (oltre che di altre tante situazioni che in scala ridotta riproducono schemi analoghi di malgoverno e di ingerenza). E si potrebbe andare avanti, ma è inutile, oltre che, appunto, noioso. La questione della vigilanza è ampia e complessa, non può essere risolta da un richiamo ad una maggiore pervasività: posso immaginare le vestali dei tagli alla spesa pubblica stracciarsi le vesti medesime alla notizia di nuove assunzioni da parte dell’Ispettorato di Bankitalia. Se si guarda al passato, in URSS e in Cina non ci sono mai state crisi bancarie, per la buona ragione che la dittatura comunista garantiva (e in Cina tuttora garantisce) il controllo su ogni attività economica: d’altra parte Francisco Franco, con la dittatura, ha da parte sua garantito lo sviluppo di Santander e BBVA, libere dai condizionamenti della concorrenza. Il massimo di controlli corrisponde al minimo della libertà economica oltre che essere, appunto, assai costoso: ed il Collegio sindacale è gravato, da ultimo, da compiti che il profano neppure immagina, per complicatezza, ambiguità e rischio professionale. Da ultimo, affidarsi fideisticamente ai controlli genera irresponsabilità ed evita la fatica: la fatica dell’azionista di chiedere conto, al di là dei risultati, di ciò che gli viene presentato, la fatica degli stakeholder di valutare complessivamente le performance. E, da ultimo, la fatica dei manager di conseguire risultati che dicano, al di là dei numeri, di una strategia condivisibile e condivisa. Se il dibattito di queste ore provasse a ripartire di qua, forse si potrebbe anche sperare che una vicenda così grave e triste possa avere qualche esito positivo. Forse.

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Banche

Abbiamo una banca (che fa porcate).

Abbiamo una banca (che fa porcate).

Mi scrive un Collega ed amico e mi fa ricordare che il Partito ha ancora una banca, le cui azioni sono scambiate 5 a 1 con un caffé e che, nonostante questo (o forse proprio per questo?) fa le porcate di cui di seguito.

te la ricordi? è quella porcata di cui mi aveva chiesto lumi quel mio studente che lavorava per MPS; l’altro giorno Penati l’ha citata in un articolo su La Repubblica che ti allego
ciao

BANCHE ITALIANE SALVE A SPESE DEI CITTADINI

DI TRASPARENZA e costi dei servizi bancari non si parla più. La crisi finanziaria ha cambiato le priorità: oggi il risparmiatore viene sacrificato sull’ altare della stabilità. Le banche continuano vendere alla clientela, a tassi inferiori a quelli di mercato, obbligazioni proprie con liquidità limitata; spesso «strutturate», cioè contenenti uno strumento derivato che il risparmiatore non sa come valutare. Complessità e opacità mascherano costi esorbitanti che rendono inadeguati i rendimenti (che le banche stesse ammettono nei fogli informativi). Ci sono poi gli strumenti ibridi, dalla rischiosità elevata, collocati come semplici obbligazioni: i subordinati (ricomprati con profitto dalle banche dopo che il loro valore è crollato); o le convertibili, con clausole variate a favore della banca; o il famoso convertendo della Bpm: di fatto un contratto forward su azioni della banca. L’oscar va a Casaforte di Mps: una cartolarizzazione degli affitti degli sportelli della banca (acquistati coi soldi della banca) e finanziato con un bond emesso da un veicolo ad hoc, e interamente collocato presso i clienti di Mps. Ci sono le polizze assicurative, di fatto normali strumenti finanziari, ma con commissioni esorbitanti (i «caricamenti» che arrivano facilmente al 7%). L’industria del risparmio gestito rimane essenzialmente bancaria, captive e costosa; così non si sono sviluppati fondi-indice a costi risibili, in concorrenza agli Etf. C’è poi la discriminazione di prezzo: lo stesso servizio o strumento della stessa banca offerto a prezzi diversi a clienti diversi. E “fogli informativi” sterminati per il costo dei servizi bancari (ho contato fino a 32 pagine!), che vengono contabilizzati singolarmente nei rendiconti dei clienti, senza che venga mai comunicata la somma totale pagata nell’ anno. Rendendo difficili i confronti. La scarsa trasparenza è frutto della struttura assunta dal nostro sistema finanziario. Il processo di aggregazione ha trasformato le banche in grandi reti commerci! ali con una presenza capillare sul territorio: banche-supermercato che necessitano di un volume crescente di commissioni, generate dalla vendita di prodotti agli sportelli. Venti anni fa, le commissioni rappresentavano il 30% del margine di interesse, al netto delle sofferenze; oggi supera il 100%. Le banche dipendono quindi dalla capacità di estrarre commissioni, da un bacino di risparmio che la crisi sta erodendo. Una situazione aggravata da una pessima scelta di tempo: la svolta commerciale è avvenuta poco prima che internet rendesse obsoleta la distribuzione fisica dei servizi finanziari. Circa 60% delle transazioni avviene online; così si chiudono sportelli pagatia peso d’ oro pochi anni fa. La regolamentazione ha poi aumentato il costo del capitale per i prestiti, rendendo gli interessi un ricavo meno attraente. Inoltre le banche hanno acquisito il quasi monopolio dell’intermediazione dei flussi finanziari in Italia: Parmalat e Cirio hanno distrutto il mercato dei corporate bond; la crisi del 2008, quello delle cartolarizzazioni; per capitalizzazione e società quotate, la Borsa è tornata indietro di 25 anni e non è mai diventata un vero mercato della proprietà e del controllo; e i capitali stranieri sono tenuti fuori, con il pretesto dell’ interesse nazionale. L’intero onere di finanziare il sistema ricade pertanto sulle banche. I depositi non bastano più. Le obbligazioni sono diventate la prima fonte di finanziamento. Ma con la crisi dell’euro, si è inaridito il canale istituzionale ed estero per le banche italiane, che devono pertanto ricorrere sempre di più ai soliti clienti per collocare i bond, e a tassi inferiori al mercato. Mors tua (risparmiatore), vita mea (banca). In nome della stabilità. Inutile poi invocare più concorrenza e regolamentazione, se non si ha il coraggio di invertire l’evoluzione del sistema finanziario, in direzione di una disintermediazione delle banche, una maggiore permeabilità ai capitali stranieri, e la costruzione di un mercato efficiente dei capitali.
ALESSANDRO PENATI
Alessandro Penati non si commenta, si cita con il cappello in mano e la dovuta umiltà. Quanto al Partito, quello con la P maiuscola, quello di cui si celebrano le primarie il 25 novembre, quello che esprime i soci di maggioranza e che ha sempre scelto manager ed amministratori attraverso gli enti locali che controlla, ebbene, quel Partito non ha proprio nulla di nulla da dire?

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Banche

Non sappia la tua destra quello che fa la tua sinistra.

Non sappia la tua destra quello che fa la tua sinistra.

Il precetto evangelico sottolinea la virtuosità dei comportamenti di coloro che compiono opere di bene e le tengono nascoste, non se ne vantano, non tengono comportamenti farisaici, tipici di coloro cui Gesù Cristo si rivolgeva. Lo stesso precetto, ma decisamente distorto, sembra presiedere alle scelte di quelle banche, Monte dei Paschi in primis, che, come afferma Vitaliano D’Angerio sulla storia di copertina di Plus24 di ieri, si fanno un “esame di coscienza“, promuovendo investimenti etici. E’ nota l’avversione di JM al moralismo che presiede certe scelte, rese possibili, appunto, dal non sapere la destra quel che fa la sinistra. Sono paradossali, al riguardo, due esempi, entrambi ripresi nel reportage. Il primo riguarda proprio Monte dei Paschi, che mentre dichiara solenni principi morali nelle proprie scelte etiche, dall’altra non si scompone nell’impacchettare derivati ed altri prodotti similari per la propria clientela (a tacere della performance della banca, su cui è meglio tacere per non stancare il lettore ferragostano di queste note). Dall’altro c’è la stessa Banca Etica le cui scelte, appunto, etiche, sono rese possibili, per esempio, dall’applicazione di prezzi e tariffe tutt’altro che popolari ai propri utenti, è il caso di dirlo, aficionados. Peraltro lo stesso giornalista cita, a supporto dell’etica delle scelte della banca, innumerevoli esempi di finanziamento di impianti fotovoltaici, sulla cui effettiva sostenibilità e convenienza mi sono persino annoiato di parlare. Resta un interrogativo: quando sarà finita la sbornia delle rinnovabili, a cosa si dedicheranno gli etici amministratori delle (poche) banche etiche?