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Banche

Un salvataggio bancario non è un pranzo di gala.

La “simpatica” -si fa per dire- Heidi (a me mai abbastanza invisa, visto che me la dovevo sorbire facendo il baby sitter di una bambina viziata, ma ahimè, i soldi all’università sono sempre pochi) riderebbe di meno o forse si farebbe qualche domanda in più su quanto accaduto tra sabato e domenica. Crédit Suisse comprato per due miliardi da UBS, che a questo punto rimane l’unica grande banca svizzera, la banca centrale della Svizzera che “presta”, dopo averli stampati (o forse no) 100 miliardi di franchi per l’operazione. Operazione a carico del contribuente elvetico, cornuto e mazziato: le obbligazioni subordinate vanno in fumo, e così anche il valore delle azioni, ma non per tutti, I soci Arabi, Qatar et similia, che avevano detto di non voler partecipare all’aumento di capitale fatto per salvare la banca, “salvati”, mantenendo intatte le loro partecipazioni azionarie. In Italia la vedrei male, perlomeno pensando all’art.3 della Costituzione. Ma come diceva Jean Ziegler, la Svizzera lava più bianco e, a quanto pare, continua a farlo.

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Alessandro Berti Banche Cultura finanziaria Educazione USA Vigilanza bancaria

Guardie e ladri.

Guardie e ladri.

C’è un rincorrersi quasi malinconico nelle notizie di queste giorni, memori della Grande Crisi 2008-2018 (molto più lunga e devastante, a mio avviso, di quella del ’29), come se si scoprisse all’improvviso che le banche (i ladri) rischiano e quando lo fanno, coefficienti patrimoniali o no, lo fanno perlopiù con i soldi degli altri, ovvero dei risparmiatori, con le autorità di vigilanza (le guardie) che spesso intervengono a misfatto ormai compiuto.
Dalla constatazione che le banche lavorano con i soldi degli altri nasce l’atteggiamento un po’ “feroce”, almeno all’apparenza, del regolatore americano, che gli istituti di credito li lascia fallire, e non per distrazione, anche se si tratta della 16ma banca degli USA (SVB), quasi che ciò servisse naturaliter a educare i risparmiatori a scegliere la propria banca in base alla comunicazione trasparente che la banca fa (?) e alla percezione che di essa ha il cliente del grado di rischio medio ponderato contenuto nelle attività delle banche.
In poche parole, se ti scegli una banca, prima dovresti averne letto i bilanci e compreso il grado di rischio, compreso il CET 1 ratio o il Texas Ratio.
Velleitario o ingenuo che sia, questo è l’atteggiamento a stelle e strisce, che funzionerebbe meglio, forse, se fossero praticate maggiormente la trasparenza e la cooperazione: nel caso americano, ma non solo, questo vuol dire applicare effettivamente le regole degli accordi di Basilea, che anche gli USA hanno sottoscritto (la trasparenza e la comunicazione sul grado di rischio) ovvero erigere il pilastro da sempre -perlomeno da Basilea 2- mancante nella costruzione degli assetti volti ad assicurare la stabilità dei sistemi finanziari.
Trasparenza sul grado di rischio che tuttora manca anche nel Belpaese (in Italia la comunicano nella pubblicità solo Mediolanum e Mediobanca, a mia notizia, e pochi altri: e la comunicano perché hanno requisiti di capitale assai elevati) così come manca la cooperazione. Se Miss Universo dichiara di essere una bella donna, oltre che volere la pace nel mondo, nessuno le dirà nulla, semplicemente perché è vero. Se la figlia del rag.Fantozzi facesse altrettanto, la smentita sarebbe altrettanto unanime e, probabilmente, più fragorosa.
Ricordo come, nel corso di un viaggio di studi presso la British Banks Association, il funzionario che mi ricevette mi donò, con giusto orgoglio, il report contenente una classifica che la stessa associazione promuoveva, basata sul livello della qualità dei servizi offerti dalla banca così come percepito da un cliente tradizionalmente debole sotto il profilo finanziario, le PMI.
Trasparenza e cooperazione -le banche, in competizione tra loro, rendevano tuttavia possibile la compilazione della classifica, aspirando a primeggiare in essa
-, in un sistema bancario dove già all’epoca (1998) si facevano i mutui on line: questa vicenda, che purtroppo non ho più seguito, insegna che non può trattarsi di una semplice questione di regole, ma di una attitudine e di una cultura che non si creano per legge o per normativa regolamentare.
Direi piuttosto che il tema è di cultura ed educazione finanziaria, quella che dobbiamo trasmettere quando spieghiamo in università ma anche quella che si respira nel sentire comune, quella che viene fuori dalla cosiddetta economia civile, dall’impresa, dal lavoro.
La fatica che ho notato presso le banche nell’accettare la normativa degli EBA-LOM, la sua scarsa o nulla conoscenza presso le imprese e spesso presso gli stessi lavoratori bancari, riflettendo che nel documento si invoca “la diffusione di una forte cultura del rischio di credito”, mostrano che le regole non funzionano se non sono fatte proprie all’interno di una visione e di una concezione del fare banca (e del fare impresa) che chiariscano in modo trasparente la missione e lo scopo dell’agire dell’impresa stessa, bancaria e non, e che lo sottopongono al mercato.
Non si tratta solo di sottolineare l’importanza della comunicazione non finanziaria nei bilanci di imprese, le PMI italiane, che faticano a spiegare il minimo sindacale, ma di qualcosa di maggior spessore, che va al di là degli adempimenti formali. La trasparenza e la cooperazione sono un lavoro quotidiano, che non si insegna: si impara praticandole.
Abbiamo di che lavorare, nelle università, nelle banche, nelle imprese.

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Banche fiducia PMI USA Vigilanza bancaria

I molteplici mestieri di una banca “regionale”.

Quando non capisci cosa fa esattamente una banca o un’impresa io ho sempre fatto una sola cosa: sono andato a vedere i conti. Il sito di Silicon Valley Bank fornisce informazioni per la verità assai scarne, pur sempre migliori di quanto non forniscono i siti di molte società italiane, che hanno il malcostume di non depositare i bilanci e pagare una sanzione amministrativa pur di non mostrare i conti alla concorrenza.

Detto ciò, nell’illustrazione dei conti stessi*, SVB è presentata così: U.S. venture-backed technology and life science companies bank with SVB. Yahoo finance la presenta come una banca privata ma, soprattutto, come investment bank e già qui si comincia a capire che qualcosa non va se una banca regionale o di deposito fa la banca di investimento (leggendo nel sito fa molti mestieri, tutti la cerca(va)no, tutti la vo(levano)gliono.

Il totale della raccolta presso la clientela al 31.12.22 è pari a 342 miliardi di $, con prestiti che ammontano a soli 74 miliardi di dollari (poco meno del 20% della raccolta) mentre i cosiddetti assets, parola misteriosa dietro la quale si può celare la qualunque, ammontano a ben 212 miliardi di $ (pari al 62% della raccolta). Parrebbe la re-incarnazione di ciò che in Italia e in Europa non è più possibile fare (e che a Bancaria non si spiega più), ovvero la trasformazione dei rischi e delle scadenze. Non si potrebbe fare nemmeno negli States, che aderiscono agli accordi di Basilea ma che probabilmente vi aderiscono come a una bocciofila.

La domanda è: che cosa sono quei 212 miliardi di dollari di assets se questa è una banca che serve la start-up?? Quanto rischio è insito in quella voce e quanto di esso è stato coperto da capitale? A quanto pare poco, se è vera la vulgata (ma lo sa solo la FED e non lo dirà certamente a noi, per non perdere il capitale reputazione invero assai modesto in termini di Vigilanza), si trattava di titoli a tasso fisso che in caso di rialzo dei tassi si deprezzano: già, ma quali titoli?

E se solo il 20% della raccolta è destinata a prestiti come fai a definirti banca regionale, al servizio delle start-up? L’unica cosa che fai per le start-up, a parte il 44% delle IPO U.S. venture-backed technology and healthcare in 2022, è raccogliere i loro conti correnti, i loro depositi, i loro risparmi. Insomma fai la banca di deposito: che noia, che barba, che noia, sembra una qualunque BCC, con rispetto parlando. E invece rischi assai: vuoi trasformare i rischi e le scadenze, facendo contemporaneamente corporate finance e una quantità di altri mestieri che non ti si addicono, se non per la location.

C’è qualcuno che dovrebbe impedirtelo? Sì, la FED: ma il genio trumpiano ha fatto approvare una legge con requisiti patrimoniali meno stringenti proprio per questo genere di banche, legge bipartisan approvata all’unanimità.

Cherchez l’argent.

*Based on PitchBook dataLearn more

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Alessandro Berti Banche

Qualcosa che non torna (Silicon Valley Bank)

Ne parla sicuramente spiegando le cose meglio di me, l’ottima Loretta Napoleoni, su Il Fatto Quotidiano di oggi, dal quale ho preso in prestito la foto (https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/03/12/il-fallimento-della-silicon-valley-bank-ecco-cosa-una-banca-non-dovrebbe-mai-fare/7093147/).

Ma qualche domanda, da modesti artigiani del mestiere tocca farsela, altrimenti va bene tutto (e ci meritiamo tutto). Certamente la stampa non ha contribuito alla chiarezza (Loretta Napoleoni, peraltro, essendo una economista) e non parlo di certa stampa spazzatura.

Ad ogni modo, volendo sintetizzare e spiegare il fallimento di SVB for dummies, alcune questioni saltano all’occhio. SVB è una banca di deposito, raccoglie denari dai risparmiatori come qualunque altra banca e li impiega prestandoli alle start-up. E già qui c’è qualcosa che comincia a non quadrare: il denaro alle start-up, proprio perché sono tali, non lo prestano le banche di deposito, ma lo investono (la differenza è sostanziale, non solo lessicale) i fondi di private equity, i business angels etc…non le banche. Che diavolo di business model è quello di prestare denari dei risparmiatori a imprese assai rischiose?

C’è qualcosa che non funziona nella divisione del lavoro nel sistema finanziario americano: da quando le banche di deposito, in un mondo dove abbiamo imparato il tema essere quello della liquidità (cfr. gli accordi Basilea 3, anche se gli Stati Uniti, as usual, fanno quello che vogliono in materia) raccolgono denaro a vista per impiegarlo in operazioni di assai lungo e rischioso ritorno? E, soprattutto, per la parte rimanente, gli impieghi finanziari, li lasciano in titoli a reddito fisso che, come sanno certamente anche i sassi, quando i tassi salgono, si deprezzano. Quindi SVB è una banca che lavora per le start-up ma investe in obbligazioni, come un qualunque Unicredit? E che titoli sono quelli che comportano perdite così elevate, forse non T-bill??

E se le start-up non avranno i soldi per pagare stipendi e spese correnti, che strana specie di imprese sono se, una volta passata la fase iniziale hanno iniziato a lavorare? Il problema non sono le start-up, ad evidenza, ma chi le finanzia (come dice Napoleoni, come in un manuale di tecnica bancaria, ma facendo l’opposto), in una fase della loro storia imprenditoriale dove probabilmente hanno ancora bisogno di capitale paziente, non di prestiti bancari.

Un’ultima questione riguarda la Vigilanza: come sanno bene i miei studenti, il Banco Ambrosiano di Calvi fu salvato in un weekend, riaprendo il lunedì dopo come se nulla fosse accaduto, poiché il regolatore Europeo, quello italiano in primis, non ha quasi mai difettato di rapidità. La FED di Jerome Powell si riunisce domani, lunedì, a mercati aperti, e con la santa calma (bisogna che siano svegli anche sulla costa occidentale, la riunione parte alle 8.30 a.m. ora di Los Angeles). Sappiamo che la vigilanza negli States non ha mai rassomigliato neppure lontanamente a quella Europea: Milton Friedman ha lasciato le sue impronte anche lì e, bene o male, il criterio è quello che il mercato deve fare il suo corso e negli USA falliscono molte più banche di quante non ne immaginiamo. Ma in questo modo?

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Banca d'Italia Banche Banche di credito cooperativo Vigilanza bancaria

Banche locali e salvataggi: senza pregiudizi si costruisce sempre.

Banche locali e salvataggi: senza pregiudizi si costruisce sempre.

Il Sole 24 Ore on line di ieri riporta un lancio di Radiocor di questo tenore: “Si sblocca il dossier Carige ma non è ancora tempo di sospiri di sollievo perché l’operazione di salvataggio dovrà passare dal via libera decisivo dell’assemblea degli azionisti che potrebbe tenersi nel mese di settembre. Intanto però la struttura dell’operazione sembra aver ricevuto i consensi necessari da parte del sistema bancario e dalla Cassa Centrale Banca, partner industriale intorno a cui ruota l’intero riassetto della banca genovese. Secondo quanto anticipato da Radiocor, è stato trovato l’accordo tra il Fondo interbancario di tutela dei depositi e la holding delle banche cooperative per la copertura dell’intero ammontare dell’aumento di capitale da 700 milioni necessario al rafforzamento patrimoniale di Carige: lo Schema Volontario del Fondo ha approvato ieri la conversione del Bond da 313 milioni di euro, mentre 65 milioni arriveranno da Cassa Centrale che ha tenuto oggi il suo consiglio di amministrazione, il resto dell’ammontare (oltre 300 milioni) sarà comunque garantito dal Fondo interbancario che chiude così il cerchio dell’aumento anche nel caso in cui gli azionisti attuali decidessero per non partecipare alla operazione.”

E’ singolare che la Banca indicata come il peggiore concentrato del “localismo” e dei danni che esso ha compiuto (ampiamente dimenticabile la stucchevole polemica portata avanti da Sebastiano Barisoni dai microfoni di Radio 24 proprio sul tema di Carige e delle banche locali) stia per essere salvata da Cassa Centrale Banca, la più rapida delle tre banche uscite dalla riforma del credito cooperativo a darsi una struttura organizzativa e manageriale di livello nazionale, con un management che, lungi dal ripiegarsi su sé stesso e sugli immani problemi che comporta diventare uno dei primi dieci gruppi italiani, decide addirittura di rilanciare, grazie ad un free capital evidentemente adeguato. Solo due cose, in attesa di vedere gli sviluppi: alla faccia di Barisoni e dei molti uccelli del malaugurio, il localismo nelle banche è vivo e lotta con noi (forza CCB); se anziché lamentarsi e avere pregiudizi, provi a costruire, vengono fuori “cose belle”.

P.S.: per chi l’avesse dimenticato, la riforma delle BCC l’ha fatta Matteo Renzi.

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Banca d'Italia Banche Banche di credito cooperativo BCE

Semplificazioni (?).

Semplificazioni (?).

Il Sole 24 Ore di oggi nella sezione Finanza e Mercati riporta un articolo di Davide Colombo dal titolo significativamente attrattivo “Bankitalia lancia la semplificazione per banche minori”. Si tratta delle nuove modalità con cui saranno attuati gli orientamenti e le raccomandazioni delle autorità europee in materia di banche less significant, appunto, le banche minori. Premesso che di banche minori ne esistono e ne esisteranno sempre di meno, stante una legislazione (vedi leggi di riforma delle banche popolari e delle banche di credito cooperativo, tutte di fatto confluite in Gruppi “significant”) ed un indirizzo del regolatore palesemente orientati alla concentrazione del mercato e all’uso degli strumenti di Vigilanza strutturale, la semplificazione pare più di tipo formale che sostanziale.

Chi ha avuto modo di lavorare con e dentro le banche, soprattutto di minori dimensioni, sa bene che il principio di proporzionalità cui doveva essere informata tutta l’attività di vigilanza e la relativa compliance(ovvero l’adesione alle regole) è stato più che altro enunciato ma mai effettivamente applicato, sia per il “profluvio regolatorio” di cui parla Colombo nel suo articolo, sia per la chiara volontà di BCE e Bankitalia di non mollare la presa sul sistema bancario, riducendo il numero dei competitor.

La semplificazione, in poche parole, consisterebbe nel fatto che gli “orientamenti di vigilanza” a differenza degli “atti aventi natura normativa” potrebbero essere disattesi in quanto non vincolanti, a condizione che la banca che usi modalità diverse dimostri che le stesse soddisfano le disposizioni di legge e regolamentari cui gli “orientamenti” stessi si riferiscono. La comunicazione di Bankitalia relativa alla semplificazione, d’altra parte, dimentica un piccolo-grande particolare, ovvero che lo strumento della moral suasion, da sempre insegnato in tutte le aule universitarie dove si parla del ruolo della Banca Centrale, non solo non passa mai di moda ma è stato sempre più utilizzato negli ultimi tempi. BCE e Bankitalia sanno come farsi rispettare ma, soprattutto, sanno come farsi ascoltare: io non semplificherei.

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Banca d'Italia Banche BCE

Modelli interni, esternalità negative.

Modelli interni, esternalità negative.

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La notizia che la Bce abbia messo in discussione i modelli interni di rating delle banche sulle quali vigila direttamente non dovrebbe di per se rappresentare una novità di cui stupirsi, poiché già nelle regole dettate da Basilea 2 (oramai abbastanza datate) si contemplava, nei cosiddetti pillar, la valutazione nel continuo dell’adeguatezza dei modelli stessi e la loro capacità di collegare effettivamente rischio e assorbimento di capitale. A suo tempo tutti i modelli di rating interni furono validati da Bankitalia, compreso quello di MPS: ed è verosimile che, così come nel caso di altre grandi banche obbligate a redigere un proprio modello, le maggiori società di consulenza nazionali ed internazionali abbiano contribuito alla costruzione.

L’ottimo Luca Davi, nel suo articolo di oggi sul Sole 24Ore, ci ricorda che spesso i rating erano/sono fatti per limitare al minimo l’assorbimento di capitale, ovvero che, come dimostrato dalla crisi finanziaria del 2007, la capacità di assorbimento delle perdite era nella pratica molto più bassa che sulla carta.

Solo che, ora come allora:

  1. i modelli erano stati validati dalla Vigilanza di Via Nazionale;
  2. i modelli obbedivano ed obbediscono alle leggi della statistica e della matematica, non dell’economia aziendale.

Sarebbe ora di mettere in discussione l’assunto che il merito di credito sia valutabile in base alla statistica e che la probability of default sia un mero accidente stocastico: sarebbe ora di tornare all’economia aziendale. Ma costa troppo, e non è cosa, in questo momento: e poi, soprattutto, si dovrebbe buttare al macero gran parte della produzione scientifica degli ultimi 20 anni.

Buon lavoro a tutti i robot che stanno per arrivare, auguri a chi rimane: cosa sarà lavorare in banca?

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ABI Banca d'Italia Banche Banche di credito cooperativo Giulio Tremonti

Nessuno tocca le Bcc (ci ha già pensato Visco).

Nessuno tocca le Bcc (ci ha già pensato Visco).

Bankitalia_ignazio-viscoIl tweet rassicurante del Presidente del Consiglio ieri sera “nessuno tocca le bcc”, appena terminato il Consiglio dei Ministri, è senza dubbio indirizzato a tutti coloro che paventavano una modifica della normativa in materia bancaria penalizzante per le banche di credito cooperativo. Il testo uscito dal Consiglio dei Ministri ha stralciato le norme in materia di bcc e dunque, per il momento, nulla di nuovo sul fronte occidentale. Forse.

L’apertura di una falla sul fronte della difesa di banche “differenti”, poichè improntate su un modello mutualistico e non di mera ricerca del profitto per ora tocca sole le grandi popolari, costrette (malgré-lui? ne dubito…) a diventare società per azioni, dotate di un attivo superiore ad una certa soglia. Nei fatti sancisce, prima ancora che un disfavore del legislatore, un’incomprensione culturale, un essere fuori dal tempo che la mancanza di testimonianza e di valori realizzati ha aggravato. Non si comprende il perché debbano esistere banche di credito cooperativo, piuttosto si aderisce a Banca Etica, in nome di valori che si sente difettare, ma le piccole banche, le banche di prossimità sembrano passate di moda. Eppure non è così lontano il 2008, quando Giulio Tremonti, con il suo bacio della morte, lodava le “piccole-banche-che-continuano-a-fare-credito” contro le grandi e cattive banche, colpevoli del credit-crunch.

Sono passati quasi sette anni di crisi e le piccole banche stanno peggio di prima: le loro virtù -minori sofferenze sugli impieghi, migliore capacità di assistenza alla clientela, capacità di comprendere le esigenze delle Pmi- si sono volatilizzate, non contano più o, più semplicemente, non ci sono più. I numerosi commissariamenti di piccole banche proposti da Banca d’Italia ed eseguiti dal Mef senza batter ciglio si sono accaniti sulle Bcc senza che nessuno alzasse un dito per difenderle, a cominciare da quei genii del senso dell’opportunità della Lega Nord: ed è chiaro che l’obiettivo della Vigilanza, secondo il classico trade-off della teoria finanziaria, è la stabilità, a scapito dell’efficienza. Si potrebbe aggiungere che l’operato di Banca d’Italia segue il vieto e frusto paradigma (mai dimostrato), che la dimensione più grande incorpori i vantaggi della stabilità, dell’efficienza, delle economie di scala: ho cominciato a fare il professore studiando queste cose e ancora non ci cavo le zampe, ci sarà un motivo.

Infine: è persino doloroso assistere allo scempio del credito cooperativo operato dalla Vigilanza, nella totale assenza e/o indifferenza non appena dei referenti politici (già: quali?) ma, soprattutto, delle rappresentanze istituzionali, Abi e Federcasse. Ma se dei primi è spiegabile l’indifferenza, dei secondi è peccato mortale l’ignavia. Che nulla, nemmeno la volontà di sviluppare un nuovo modello associativo, calato dall’alto, può giustificare.

 

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Analisi finanziaria e di bilancio Banca d'Italia Banche Banche di credito cooperativo BCE Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI Relazioni di clientela Vigilanza bancaria

Default è quando Banca Centrale Europea dice (La misurazione del rischio di credito 3: quello che le imprese neppure lontanamente immaginano).

Default è quando Banca Centrale Europea dice (La misurazione del rischio di credito 3: quello che le imprese neppure lontanamente immaginano).

Vujadin-Boskov

Riassunto delle puntate precedenti: come si misura il rischio di credito? E cosa comporta tale misurazione nei comportamenti e nei rapporti bancari?
Dopo gli incagli oggettivi, le sofferenze oggettive: ovvero se ci sono criteri per rendere meno opinabile la constatazione dello stato di difficoltà temporanea, devono esisterne altrettanti per dichiarare lo stato di insolvenza irreversibile e conclamato.
In altre parole, la dichiarazione dello stato di insolvenza non a sentimento, non dopo un bel “parliamone”, non in una riunione del consiglio di amministrazione nella quale si dice che “però poi i suoi dipendenti sono “mutualizzati” da noi” o ancora “però così poi smette di pagare i fornitori”. No, semplicemente una bella definizione di default oggettivo, rispetto alla quale non resta che prendere atto che la posizione del cliente è da svalutare, portare a sofferenza etc…
Anche in questo caso, se ci si chiede la genesi di un simile provvedimento (per amor di precisione il tutto trovasi all’art.178, regolamento UE 575/2013) è facile rintracciarla nella ritrosìa delle banche –in questo sempre incoraggiate da imprese altrettanto restìe a prendere atto della realtà- a dichiarare lo stato di deterioramento di crediti derivanti da operazioni spesso nate male e proseguite peggio.
E poiché la discrezionalità in materia implica, molto semplicemente, la sostanziale falsità dei bilanci bancari e l’inconsistenza del patrimonio in rapporto ai rischi, meglio eliminare la discrezionalità.
Ecco come:
“Il default di un debitore:
1. Si considera intervenuto un default in relazione a un particolare debitore allorché si verificano entrambi i seguenti eventi:
a) la banca giudica improbabile che, senza il ricorso ad azioni quale l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie verso la banca stessa;
b) il debitore è in arretrato da oltre 90 giorni su una obbligazioni creditizia rilevante verso la banca (n.d.a.: ovvero è in situazione di incaglio oggettivo).”
E ancora:
• “la rilevanza di un’obbligazione creditizia in arretrato è valutata rispetto a una soglia fissata dalle autorità competenti. Tale soglia riflette un livello di rischio che l’autorità competente ritiene ragionevole;
• gli enti hanno politiche documentate in materia di conteggio dei giorni di arretrato (una banca popolata da genii, recentemente commissariata, si vantava di aspettare 99 rate di impagato per dichiarare l’incaglio NdA) Queste politiche sono applicate in modo uniforme nel tempo e sono in linea con i processi interni di gestione del rischio e decisionali dell’ente”.
Inoltre, a parte ovviamente incagli, fallimenti e ristrutturazioni del debito con saldo e stralcio, si ha default quando:
• “la banca riconosce una rettifica di valore su crediti specifica derivante da un significativo scadimento del merito di credito successivamente all’assunzione dell’esposizione (traduzione dell’autore: bisogna monitorare il credito, sempre, e soprattutto bisogna evitare che scada…);
• la banca cede il credito subendo una perdita economica significativa”.

Infine, tanto per non dimenticare che il merito di credito non è un’opinione, la stessa direttiva disciplina all’articolo 179 “i requisiti generali per il processo di stima”, e in particolare, stabilisce che:
• “Le stime di basano sull’esperienza storica e su evidenze empiriche e non semplicemente su valutazioni discrezionali (…) Quanto più limitati sono i dati di cui dispone una banca, tanto più prudente deve essere la stima”.

L’ultimo punto merita un piccolo commento, rimandando altre considerazioni alla prossima puntata.
Esperienza storica ed evidenze empiriche fanno rientrare dalla porta l’analisi fondamentale, quella che i rating avevano scacciato nelle grandi banche e quella che la conoscenza diretta (e la storicità del rapporto) avevano fatto accantonare nelle piccole.
Non solo: appare evidente come la conoscenza del cliente non possa che essere fondata su dati (bilanci, performance, etc…) e non su mere opinioni di confidenza: “In Dio infatti noi confidiamo, ma tutti gli altri ci portino dei dati”, ci ricorda uno studioso USA.
Ne deriva che (chissà se di queste cose Sebastiano Barisoni ne parla a Radio 24?) minori sono i dati disponibili, scarni i bilanci e semplificate le contabilità, minori dovranno essere i rischi assunti: in altre parole, le idee le finanzi qualcun altro.

(segue: la puntata precedente è stata pubblicata il 1 luglio 2014)

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ABI Analisi finanziaria e di bilancio Banca d'Italia Banche Bolla immobiliare Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI Vigilanza bancaria

Alibi.

Alibi.

Matteo_Renzi Matteo Renzi mi piace. Alle “prime” primarie, quelle dove perse con Bersani, lo votai pure. Mi piace quel che dice, avverto sintonia con gran parte dei suoi intendimenti, potrei pure rivotarlo alle politiche. Premesso che il Presidente del Consiglio non necessita dei miei inutili endorsement, quella frase sulle “banche che non hanno più alibi” continua a farmi pensare. Mi fa pensare perché mi sarei aspettato che Confindustria la cavalcasse immantinente, mentre Squinzi si è messo a dire che le imprese hanno salvato l’Italia. Gli ri-chiedo (l’ho già fatto retoricamente su twitter): quali? Quelle che hanno comprato il terzo capannone mentre ne avevano già due anzichè investire in tecnologia? Quelle che si lamentano dello Stato che non paga e poi però tengono i trentenni come co.co.pro. per anni? Forse Squinzi non è interessato. L’ABI, allora: forse l’ABI, per bocca del suo ineffabile presidente Patuelli o di qualcun altro. No, l’ABI ci ha tenuto a far sapere che la domanda di mutui è in ripresa: non sappiamo per comprare cosa, probabilmente “garanzie” che nel frattempo si sono certamente ri-valutate e che così diventano di nuovo liquide. All’ABI di Renzi non interessa. La Banca d’Italia? La relazione del Governatore è stata una delle più modeste degli ultimi anni, persino umiliante per il prestigio dell’Istituto quando afferma che gli interventi effettuati per crisi bancarie riguardano l’1% del mercato. Alla Banca d’Italia, a quanto pare, importa la corretta “classificazione a voce propria”, ovvero che gli incagli siano chiamati col loro nome e così le sofferenze. Non importa la cura per il credito deteriorato, ma che la febbre sia ben misurata.

L’impressione è che la frase del Presidente del Consiglio, certamente scaltra sotto il profilo politico e del consenso, sia caduta in una sorta di terra di nessuno. Una no man’s land sospesa da una parte tra banche (purtroppo e soprattutto locali) che ancora oggi dicono di voler portare a casa ricavi da servizi ma non facendo consulenza alle Pmi sulla gestione del fabbisogno, bensì vendendo polizze, carte di credito e fondi di investimento (e il margine di interesse? e la remunerazione della raccolta? e il fare banca per davvero?) E dall’altra tra imprenditori -o presunti tali- che continuano a chiedere denari per aprire bar, tabacchini, pubblici esercizi, edicole, ed altre ignobilia del terziario arretrato. Senza mai mettere un soldo. Senza calli nelle mani, mai, neppure in prospettiva. Oppure rinviando l’affronto dei problemi, quasi sempre economici e mai finanziari, come ormai accade da 7 anni.

Le banche non hanno più alibi. Ma a quanto pare, hanno molti complici.