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Se il problema non è solo di norme.

Molti hanno salutato positivamente l’approvazione della legge 122/2010 che consente, a coloro che intendono accordare fiducia all’imprenditore, di evitare i problemi derivanti dal fallimento, grazie alla dichiarazione di pre-deducibilità degli importi erogati e ad una sorta di sospensione dei provvedimenti cautelari. La stessa legge, accogliendo richieste di parte imprenditoriale, ha sancito la previsione dell’esenzione dalla bancarotta per le operazioni poste in essere in esecuzione del concordato o di un accordo e/o piano attestato. L’istituto del concordato preventivo e della ristrutturazione del debito viene così ad essere rafforzato dalla previsione legislativa dell’art.48 della legge 122, che tuttavia continua ad avere il suo punto debole nella dichiarazione del professionista incaricato di attestare che vi è la possibilità di soddisfare i creditori con i quali non vi siano trattative o che si siano dichiarati dissenzienti.

La riforma della legge fallimentare ed i provvedimenti successivi non hanno, infatti, modificato il punto relativo alla responsabilità del professionista, che rimane in verità assai pesante, sia per la questione relativa all’ammontare e la natura dei crediti “autodichiarati” dall’imprenditore, sia soprattutto per la sua effettiva capacità di dichiarare fattibili progetti di pagamento basati, in finale, su ipotesi di fonte aziendale. Il problema non è appena di norme, il professionista, ad evidenza, deve essere responsabile di quanto attesta, sia pure sulla base di quanto dichiarato. Il problema, come dimostrano le storie della crisi, è culturale e, perciò, tecnico. E’ culturale, perché spesso l’unica preoccupazione del professionista è quella del conseguimento a tutti i costi del risultato, anche se ciò si riduce, talvolta, ad un puro e semplice prolungamento dell’agonia. Ed è tecnico, perché i piani che vengono presentati -mi è capitato di vederne più d’uno, su incarico bancario- sono spesso inspiegabili quanto a volumi di vendite e dimensione del risultato operativo, assolutamente artigianali, quando non sbagliati, nella determinazione del fabbisogno finanziario prospettico, sempre ed immediatamente decrescente ed in miglioramento, spesso “errato” nella sua quantificazione e qualificazione. Non c’è norma che possa modificare il costume delle relazioni di clientela italiane, si può solo lavorare e sperare che la crisi spinga i protagonisti del rapporto a relazioni più virtuose ed intense, basate sulla partnership, fin da quando le cose vanno bene. Ma l’attuale dibattito non pare proprio andare in questa direzione.

Di johnmaynard

Associate professor of economics of financial intermediaries and stock exchange markets in Urbino University, Faculty of Economics
twitter@profBerti

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