
Simone Filippetti e Fabio Pavesi, sul Sole 24 Ore di oggi, ripercorrono la storia dei Viaggi del Ventaglio, fallita il 15 luglio scorso. L’articolo è prodigo di cifre e di dati ma, soprattutto, mette nero su bianco due tristi verità: chi ha margini modesti (il Mol inferiore al 3%, per esempio) non può giocare con la finanza, ovvero non può avere debiti pari a 13 volte lo stesso Mol e a 10 volte i mezzi propri; la quotazione in Borsa come strumento per la raccolta di capitali freschi per liberare risorse per lo sviluppo, come troppo spesso decantato in tanti manuali, è una balla colossale.
Sarebbe il caso di ricordare che nel caso in questione sia la Consob, impugnando i bilanci ed inserendo la società nella black list, sia i revisori, la Deloitte, hanno fatto il loro dovere. Le banche, sicuramente, no. Perlomeno quelle che non soltanto hanno continuato a finanziare la società ma le hanno venduto derivati per 170 milioni (con perdite per 27 milioni nel solo 2003), o prestato denari per pagare altri debiti.
Senza andare troppo indietro nel tempo, al 31 ottobre 2007, con accordi di ristrutturazione del debito già effettuati, la lettura del bilancio (sul sito di Borsa Italiana sono reperibili i bilanci degli esercizi antecedenti la messa in liquidazione ed il fallimento) mostrava alcune notizie interessanti: il risultato operativo, o EBIT, era pari allo 0,31% delle vendite, i debiti finanziari lordi (perché sarebbe ora di piantarla di pensare alla posizione finanziaria netta per imprese in crisi, la liquidità, come insegnano i casi Parmalat e Burani è solo contabile) pari ad oltre 39,7 milioni di euro, pari ad un multiplo di oltre 16 volte l’Ebit stesso. Gli oneri finanziari, pari a 6,6 milioni di euro, superavano di quasi tre volte il reddito della gestione tipica: si chiamerebbe incapacità di reddito.
Comunque, a parte Intesa, dallo stesso bilancio si evince la presenza maggioritaria fra i finanziatori dell’immancabile Unicredit, banche che ad evidenza hanno acceduto all’accordo di ristrutturazione. Difficile non chiedersi in base a quale criterio lo abbiano fatto.