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Priorità (?).

Priorità (?).

Ma poiché una banalità tira l’altra, non poteva mancare la constatazione che “in questo contesto le banche continuano a rappresentare il principale canale di reperimento e distribuzione delle risorse all’interno del sistema. Le peculiarità dell’intermediazione bancaria, dal lato della provvista e dal lato dell’erogazione dei fondi, hanno contribuito a orientare le scelte di investimento delle famiglie verso portafogli concentrati su prodotti con elevato rischio di liquidità, e le scelte di finanziamento delle imprese, in particolare di quelle medio-piccole, verso il debito a breve. Sia i datori sia i prenditori dei fondi risultano più esposti alle fluttuazioni del ciclo economico di quanto non accada nei sistemi finanziari caratterizzati da mercati azionari più evoluti.
La nuova disciplina dettata da Basilea III introduce obblighi in materia di gestione del rischio di liquidità e leva finanziaria e più stringenti requisiti patrimoniali per il rischio di credito, ai quali le banche si stanno già adeguando tramite rilevanti operazioni di ricapitalizzazione. Tali circostanze, oltre a porre il settore bancario in competizione con quello non finanziario nella raccolta di capitale di rischio, comporteranno inevitabilmente un razionamento del credito, soprattutto nei confronti delle imprese più rischiose e innovative.
Potenziare il ruolo del mercato azionario è dunque una priorità. È un fatto che i sistemi finanziari più evoluti tendano ad allontanarsi dalla struttura “bancocentrica”. Bilanciare la centralità del credito bancario nel modello di finanziamento delle imprese e nelle scelte di investimento delle famiglie, secondo un percorso che privilegi l’integrazione, piuttosto che la contrapposizione, è esigenza oggi non rinviabile.”
Giuseppe Vegas, Relazione annuale Consob.

Vegas sa bene che sono le banche le principali azioniste della Borsa Italiana privatizzata: e che non è affatto dimostrato che sistemi economici orientati ai mercati siano perciò stesso più efficienti di quelli orientati agli intermediari. Al riguardo ci si potrebbe chiedere quel che pensa Vegas della Germania, il cui sistema bancario, peraltro molto assistito, è anche molto frammentato ma, indubbiamente, anche al servizio di un’economia reale che traina il resto d’Europa. Da ultimo, difficile non sorridere pensando che ai supposti guasti di Basilea 3 (i.e. credit crunch) possa porre rimedio un ritrovato protagonismo della Borsa Italiana. Alla quale si rivolgono imprese medio-grandi certamente non razionate dalle banche, i cui obiettivi dichiarati, conformemente alla vulgata corrente, sono quelli della crescita, le cui ambizioni, in realtà, si fermano alla necessità di fare cassa e di sistemare azionisti junior e senior. Tutte le altre, quelle che il credit crunch lo hanno già subìto, in Borsa non andranno, né ora, né mai: ed è forse a loro che la questione della cultura finanziaria, nel senso di una sana modalità di gestione aziendale (per esempio, con meno debiti finanziari) dovrebbe rivolgersi, più che ai risparmiatori.

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Stimolando l’afflusso del risparmio (approcci culturali).

Stimolando l’afflusso del risparmio (approcci culturali).

Il neo-presidente della Consob, Vegas, nella sua relazione annuale per il 2010 non ha mancato di sottolineare che “la Consob intende adoperarsi per lo sviluppo del mercato azionario agendo sul sistema delle regole che determinano i costi di quotazione e, per quanto possibile, stimolando l’afflusso del risparmio verso la borsa.

E, sempre nell’ambito della relazione odierna, si è anche affermato che “è tempo di un diverso approccio culturale, che superi quello in base al quale è meglio disporre di una solida quota di controllo in un’impresa che, per questo motivo, è costretta al nanismo, piuttosto che mantenere una partecipazione, magari più risicata, in un’impresa che cresce ed è in grado di aggredire i mercati mondiali.”

Difficile aspettarsi che il Presidente di un’Autorità Pubblica, preposta al controllo di un mercato, rappresenti le vere criticità di quello stesso mercato, che ove rappresentate correttamente farebbero sorgere più di un dubbio a chi ancora non ne nutre al riguardo. Ma affermare che i costi della quotazione allontanano le imprese dalla Borsa significa prima di tutto sconfessare una privatizzazione che, con tutti i suoi limiti, resta il tratto caratteristico di tutti i mercati sviluppati e, in secondo luogo, non mettere mai in discussione la vera questione del capitalismo familiare italiano, i cui limiti sono quelli di un capitalismo straccione. Al quale sarebbe il caso di non tenere bordone, considerando magari che alcuni campioni nazionali, sono internazionali pur non essendosi mai quotati. Oppure Ferrero e Barilla devono essere considerati nani?