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Pink power.

Pink power.

Dunque il Senato ha approvato la normativa che prevede l’obbligo di riservare il 30% dei posti nei Consigli di Amministrazione delle società quotate alle donne. Reputo queste ultime non solo eccellenti analiste finanziarie, così come mi è capitato di verificare personalmente a più riprese, ma anche investitrici sovente dotate di maggior fiuto per gli investimenti, nonché imprenditrici capaci di ottenere performances significative in tutti i settori (basterebbe pensare, fra le altre, a Marina Berlusconi). Ci sarebbe di che essere contenti, aggiungendo che nel lavoro bancario le donne sono spesso le migliori. La strada scelta dal nostro legislatore, spesso vittima del politically correct, è tuttavia semplicemente sbagliata. Non si fanno passi avanti con le regole, ma con una educazione ed una cultura imprenditoriale e finanziaria in grado di valorizzare il capitale umano, non in base al genere (la madre degli imbecilli è sempre incinta e non fa distinzioni di sesso: è molto egualitaria, sotto questo profilo) ma in base al merito. Confidando, da ultimo, che i sempre solerti giuristi d’impresa non trovino il sistema, una volta entrata a regime la disposizione, di fare delle quote rosa qualcosa di poco più che decorativo.